venerdì 31 ottobre 2014

Nel museo delle cere.

Non era del tutto imprevedibile la sentenza che assolve tutti gli aguzini di Stefano Cucchi, per violenza, sudditanza ed omissione, dato che la prima aveva scagionato i poliziotti e gli infermieri dell'ospedale Pertini e condannato solo i tre medici, rei di aver lasciato morire di fame e sete il povero giovane. Una sentenza del genere, che escludeva infermieri e poliziotti, dalla facoltà, anzi dall'obbligo di un'assistenza così elementare, anche se i imedici se ne fossero disinteressati, apriva la strada ad ogni sorta di accomodamento "cautelare" e così è stato. Mi sembra che la giurisprudenza assecondi il mantenimento delle apparenze del potere, nelle sue sembianze formalistiche, barocche od untuose, ma anche l'irresponsabilità di fatto quando si consumano le abiezioni più turpi. Il corpo di quel povero ragazzo era pieno di tumefazioni, lungo tutta la sua superficie. Come si poteva ignorarle in nome di qualche utile formalismo "decongestionante"? Ormai è inutile aspettarsi giustizia da funzionari statali inibiti, comodosi e impantanati in quella palude giuridica capitolina che, se insabbia meno di prima, non è certamente consona ad aggredire i fenomeni di corruzione, che a Roma si concentrano, e l'abiezione dell'animo che porta agli abusi impuniti sugli inermi. La battaglia testimoniale va condotta nella società civile, non aspettandosi che la sensibilità e la partecipazione alla realtà che si constata alligni fra i paludamenti.

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