domenica 30 settembre 2012

Vasi comunicanti, reggiani e reggini.

Da tempo, le cosche mafiose hanno intrapreso una marcia di infiltrazione nel tessuto economico e sociale emiliano. In Romagna, ci sono da tempo.In particolare, la zona che gli n'dranghetisti hanno privilegiato per il loro insediamento, anche attraverso massicce emigrazioni, è la provincia di Reggio nell'Emilia, nella quale risiedono, sostanzialmente appartati, migliaia di originari, imparentati, in vari gradi, fra di loro, di Cutro, in provincia di Crotone, che il Procuratore generale presso la Corte d'Appello di Bologna ha detto di "ritenere, per la maggior parte, brave persone". Ci mancava la mafia, in una zona ricca, ma particolare, chiusa com'è dall'egoismo di una oligarchia di ricchi e possidenti o ex possidenti agrari, teatro di sanguinose contese prima e dopo il fascismo e fino ai giorni nostri. Culla di uno dei fondatori delle Brigate rosse, ogni tanto, nei suoi cascinali e nei suoi fossi vengono rinvenuti depositi di armi. A metà degli anni '70, dopo una kermesse di assemblee semipubbliche, un giovane militante della sinistra extra parlamentare fu ucciso, in una faida politica, di cui, però, non si sono mai riusciti a ricostruire le motivazioni, gli scopi e i contenuti. Il Comune di Reggio Emilia, che ha promosso la cultura partecipata in tutte le sue forme ed è riuscito ad accreditarsi in tutto il mondo per la qualità, imitata, delle sue scuole materne, nelle quali la formazione della personalità infantile - da zero a tre anni - viene coltivata con metodi scientifici, non è riuscita o non si è curata di difendersi da un'abnorme invasione di droga e di drogati e di comunità border line, cioè di immigrati da diversi continenti, non tutti per ragioni lavorative. Gli ampi e belli giardini pubblici reggiani sono infestati di siringhe e l'AIDS vi è molto diffuso. La borghesia reddituaria ha diversificato - in parte - nel tempo, i suoi investimenti e vive appartata, egoista e particolaristica. La massoneria esercita sul territorio un peso notevole. Pur protagonista di importanti sperimentazioni, in ambito formativo e culturale, a sera il centro si spopola e la noia invade le vie, lungo le quali è più facile ottenere utili informazioni da qualche extracomunitario di passaggio, che dai rari cittadini barricati in casa. L'informazione, l'analisi su questi fenomeni latita, è inadeguata. Ho trovato un'analisi di Benny Calasanzio, in proposito. La riproduco sul mio blog. Parliamo, ancora una volta, di Reggio nell’Emilia, non di Reggio di Calabria. Perché qualcuno potrebbe fare confusione, qualcuno di quelli che ancora sostiene che la mafia nella Rossa non c’è e che la Prefettura ha un accanimento terapeutico quando emette interdittive antimafia ai danni di povere aziende in odor di mafia colpevoli solo di subappalti a rischio o di avere qualche semplice pregiudicato per mafia tra gli operai. La vicenda della “cena” che tiene banco in questi giorni a Reggio è l’esempio della pretesa impunità e del volto bronzeo di coloro che sono ancora convinti di poter fare tutto alla luce del sole perché si sentono più forti delle istituzioni e dei loro uomini; un incontro trimalchionico che ricorda “La cena dei cretini”, il film in cui un gruppo di ricchi amici organizzava cene in cui i partecipanti portavano uno “stupido” e di lui ridevano sadicamente: il 21 marzo i convitati di pietra erano lo Stato (e le sue interdittive piene di pregiudizi) e la stampa nemica. La cena ad alta densità calabrese è proprio quella del primo giorno della scorsa primavera: nel ristorante “Antichi Sapori” di Pasquale Brescia (originario di Crotone) in una frazione di Reggio Emilia, Villa Gaida, si ritrovano una trentina di persone, tra cui Giuseppe Iaquinta, papà dell’ex attaccante di Juventus e Nazionale, Antonio Muto e Alfonso Paolini, tutti originari di Cutro. Con loro ci sono anche due uomini del Pdl: il consigliere provinciale Giuseppe Pagliani e il suo omologo comunale Rocco Gualtieri: due esponenti locali di punta del Titanic costruito da Berlusconi e al varo definito “inaffondabile”. Tra di loro però erano presenti alcuni eterei individui con banali precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso. Ecco i nomi: Alfonso Diletto, Nicolino e Gianluigi Sarcone, Giuseppe Sarcone Grande, tutti ritenuti dagli investigatori vicini al clan mafioso Grande Aracri. Poi c’era anche Gianni Floro Vito, fratello di Giuliano Floro Vito, in passato sottoposto ad arresti domiciliari in provincia di Reggio Emilia e sorvegliato speciale per fatti riconducibili all’associazione per delinquere finalizzata all’usura, già oggetto di segnalazioni all’Autorità giudiziaria per associazione per delinquere di tipo mafioso. Infine era dei “loro” anche Michele Colacino, imprenditor raggiunto da interdittive antimafia. Ma cosa ci facevano due politici del Pdl insieme ad alcuni sospetti mafiosi? La cena, stando agli astanti, era stata organizzata per discutere soprattutto dell’“attacco” della stampa locale e nazionale alla libera imprenditoria reggio-emiliana e delle interdittive prefettizie che marchiavano a fuoco le imprese. Ingiustamente, of course. Informata dalle forze dell’ordine dell’allegro convivium, la Prefettura di Reggio Emilia emette nei confronti di Brescia, Iaquinta ed altri personaggi un divieto di detenzione di armi ed esplosivi: in particolare Iaquinta era titolare del porto d’armi per difesa personale e poteva per questo girare armato. Per il Palazzo del Governo la loro vicinanza, anche saltuaria, a personaggi vicini alla ‘ndrangheta, non consentiva di ritenerli “affidabili” e dunque di lasciarli “armati”; così li obbliga entro 30 giorni dalla notifica a consegnare tutto il materiale esplodente. Iaquinta e Brescia fanno ricorso. E proprio nei ricorsi emerge come l’organizzatore dell’incontro sia stato il Pdl Pagliani. Nonostante si dica che l’incontro era stato promosso pubblicamente, fosse aperto a tutti e “auto-convocato”, alcuni commensali si definiscono “invitati”; qualcuno dovrà averli, appunto, “invitati”. Compresi coloro che sono gravati da precedenti di polizia. O erano degli imbucati? Questo ancora non è emerso. Il ricorso dell’avvocato del papà del bomber Iaquinta è un trattato di sociologia antropologica: “Non si deve incorrere nell’errore di gravare in sé d’una stigmate sociale e di pericolosità tutt’una area geografica del suolo nazionale per il sol fatto che un individuo abbia la ventura di nascere, crescere e vivere entro di essa, e che entro di essa vengano ad incidere capillarmente fenomeni connessi ad un tessuto sociale venutosi strutturando secondo determinate modalità d’interazione”. In sostanza errore ci fu, di tipo razzista per la precisione. Il Tar però boccia il ricorso e dà ragione alla Prefettura: “Il provvedimento impugnato si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali non sindacabili in questa sede se non in presenza di elementi suscettibili di palesare un distorto distorto esercizio del potere esercitato”. E quegli elementi, ahiloro, non ci sono.

Monumenti alla memoria.

Riproduco e propongo un illustrativo articolo di Gian Antonio Stella, apparso sul Corriere della Sera di oggi, sulle virtù di un nostro prototipo nazionale, sui sentimenti e...i voti che ancora apporta, nella sopita e violenta coscienza della provincia italiana, dove il progresso non è mai arrivato e il fascismo non è mai morto. «Mai dormito tanto tranquillamente », scrisse Rodolfo Graziani in risposta a chi gli chiedeva se non avesse gli incubi dopo le mattanze che aveva ordinato, come quella di tutti i preti e i diaconi cristiani etiopi di Debra Libanos, fatti assassinare e sgozzare dalle truppe islamiche in divisa italiana. Dormono tranquilli anche quelli che hanno speso soldi pubblici per erigere in Ciociaria un sacrario a quel macellaio? Se è così non conoscono la storia. Rimuovere il ricordo di un crimine, ha scritto Henry Bernard Levy, vuol dire commetterlo di nuovo: infatti il negazionismo «è, nel senso stretto, lo stadio supremo del genocidio». Ha ragione. È una vergogna che il comune di Affile, dalle parti di Subiaco, abbia costruito un mausoleo per celebrare la memoria di quello che, secondo lo storico Angelo Del Boca, massimo studioso di quel periodo, fu «il più sanguinario assassino del colonialismo italiano». Ed è incredibile che la cosa abbia sollevato scandalizzate reazioni internazionali, con articoli sul New York Times o servizi della Bbc,ma non sia riuscita a sollevare un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica nostrana. Segno che troppi italiani ignorano o continuano a rimuovere le nostre pesanti responsabilità coloniali. Francesco Storace è arrivato a dettare all’Ansa una notizia intitolata «Non infangare Graziani» e a sostenere che «nel processo che gli fu intentato nel 1948 fu riconosciuto colpevole e condannato a soli due anni di reclusione per la semplice adesione alla Rsi». Falso. Il dizionario biografico Treccani spiega che il 2 maggio 1950 il maresciallo fu condannato a 19 anni di carcere e fu grazie ad una serie di condoni che ne scontò, vergognosamente, molti di meno. È vero però che anche quella sentenza centrata sul «collaborazionismo militare col tedesco», era figlia di una cultura che ruotava purtroppo intorno al nostro ombelico (il fascismo, il Duce, Salò...) senza curarsi dei nostri misfatti in Africa. Una cultura che spinse addirittura Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti (un errore ulteriore che ci pesa addosso) a negare all’Etiopia l’estradizione di Graziani richiesta per l’uso dei gas vietati da tutte le convenzioni internazionali e per gli eccidi commessi e rivendicati. E più tardi consentì a Giulio Andreotti a incontrare l’anziano ufficiale, in nome della Ciociaria, senza porsi troppi problemi morali. Il sito web del comune di Affile dedica una pagina a Rodolfo Graziani 'figura tra le più amate e più criticate a torto o a ragione'Il sito web del comune di Affile dedica una pagina a Rodolfo Graziani 'figura tra le più amate e più criticate a torto o a ragione' Allora, però, nella scia di decenni di esaltazione del «buon colono italiano» non erano ancora nitidi i contorni dei crimini di guerra. Gli approfondimenti storici che avrebbero inchiodato il viceré d’Etiopia mussoliniano al suo ruolo di spietato carnefice non erano ancora stati messi a fuoco. Ciò che meraviglia è che ancora oggi il nuovo mausoleo venga contestato ricordando le responsabilità di Graziani solo dentro la «nostra» storia. Perfino Nicola Zingaretti nel suo blog rinfaccia al maresciallo responsabilità soprattutto «casalinghe». Per non dire dell’indecoroso sito web del Comune di Affile, dove si legge che l’uomo fu una «figura tra le più amate e più criticate, a torto o a ragione» del periodo fra le due guerre e un «interprete di avvenimenti complessi e di scelte spesso dolorose». Che «compì grandiosi lavori pubblici che ancor oggi testimoniano la volontà civilizzante dell’Italia». Che «seppe indirizzare ogni suo agire al bene per la Patria attraverso l’inflessibile rigore morale e la puntigliosa fedeltà al dovere di soldato». «Inflessibile rigore morale»? «Rodolfo Graziani tornò dall’Etiopia con centinaia di casse rubate e rapinate in giro per le chiese etiopi», racconta Del Boca. «Grazie a lui il più grande serbatoio illegale di quadri e pitture e crocefissi della chiesa etiope è in Italia». Certo, non fu il solo ad avere questo disprezzo per quella antichissima Chiesa cristiana fondata da San Frumenzio intorno al 350 d.C. Basti ricordare le parole, che i cattolici rileggono con imbarazzo, con cui il cardinale di Milano Ildefonso Schuster inaugurò il 26 febbraio 1937 il corso di mistica fascista una settimana dopo la spaventosa ecatombe di Addis Abeba: «Le legioni italiane rivendicano l’Etiopia alla civiltà e bandendone la schiavitù e la barbarie vogliono assicurare a quei popoli e all’intero civile consorzio il duplice vantaggio della cultura imperiale e della Fede cattolica ». Fu lui, l’«eroe di Affile», a coordinare la deportazione dalla Cirenaica nel 1930 di centomila uomini, donne, vecchi, bambini costretti a marciare per centinaia di chilometri in mezzo al deserto fino ai campi di concentramento allestiti nelle aree più inabitabili della Sirte. Diecimila di questi poveretti morirono in quel viaggio infernale. Altre decine di migliaia nei lager fascisti. E fu ancora lui a scatenare nel ’37 la rappresaglia in Etiopia per vendicare l’attentato che gli avevano fatto i patrioti. Trentamila morti, secondo gli etiopi. L’inviato del Corriere, Ciro Poggiali, restò inorridito e scrisse nel diario: «Tutti i civili che si trovano in Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta fulmineamente con i sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada... Inutile dire che lo scempio s’abbatte contro gente ignara e innocente». I reparti militari e le squadracce fasciste non ebbero pietà neppure per gli infanti. C’era sul posto anche un attore, Dante Galeazzi, che nel libro Il violino di Addis Abeba avrebbe raccontato con orrore: «Per tre giorni durò il caos. Per ogni abissino in vista non ci fu scampo in quei terribili tre giorni in Addis Abeba, città di africani dove per un pezzo non si vide più un africano». Negli stessi giorni, accusando il clero etiope di essere dalla parte dei patrioti che si ribellavano alla conquista, Graziani ordinò al generale Pietro Maletti di decimare tutti, ma proprio tutti i preti e i diaconi di Debrà Libanòs, quello che era il cuore della chiesa etiope. Una strage orrenda, che secondo gli studiosi Ian L. Campbell e Degife Gabre-Tsadik autori de La repressione fascista in Etiopia vide il martirio di almeno 1.400 religiosi vittime d’un eccidio affidato, per evitare problemi di coscienza, ai reparti musulmani inquadrati nel nostro esercito. Lui, il macellaio, quei problemi non li aveva: «Spesso mi sono esaminato la coscienza in relazione alle accuse di crudeltà, atrocità, violenze che mi sono state attribuite. Non ho mai dormito tanto tranquillamente ». Di più, se ne vantò telegrafando al generale Alessandro Pirzio Biroli: «Preti e monaci adesso filano che è una bellezza». C’è chi dirà che eseguiva degli ordini. Che fu Mussolini il 27 ottobre 1935 a dirgli di usare il gas. Leggiamo come Hailé Selassié raccontò gli effetti di quei gas: si trattava di «strani fusti che si rompevano appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava accadendo, alcune centinaia fra i miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini che avevano portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini». Saputo del monumento costato 127 mila euro e dedicato al maresciallo con una variante sull’iniziale progetto di erigere un mausoleo a tutti i morti di tutte le guerre, i discendenti dell’imperatore etiope, come ricorda il deputato Jean-Léonard Touadi autore di un’interrogazione parlamentare, hanno scritto a Napolitano sottolineando che quel mausoleo è un «incredibile insulto alla memoria di oltre un milione di vittime africane del genocidio», ma che «ancora più spaventosa» è l’assenza d’una reazione da parte dell’Italia. Rodolfo Graziani «eseguiva solo degli ordini»? Anche Heinrich Himmler, anche Joseph Mengele, anche Max Simon che macellò gli abitanti di Sant’Anna di Stazzema dicevano la stessa cosa. Ma nessuno ha mai speso soldi della Regione Lazio per erigere loro un infame mausoleo.

Arte in strada.

Notte bianca bolognese di inizio autunno. Strada pedonalizzata. Il parroco partecipa con la pesca. Tutti mangiano, c'è chi canta. E' il PD Purtroppo, molti accompagnano i loro pensieri fumosi con le sigarette, condensano vuoto e sfiga, preparando condizioni insostenibili al Servizio Sanitario Nazionale. Panzoni e panzone continuano a inforcare spaghetti, un segaligno si perde al cospetto della sua monumentale e fumigante signora. Grande soddisfazione, potersi sedere ai tavolini, occupando la corsia del bus, masticando e agitandosi. Tribali associazioni. Tra pochi minuti inizia la dimostrazione canora della scuola. Come a Rio, al sambodromo, durante il Carnevale. Bambini ballano in strada, guardati dai genitori, come a Rio, fuori dalle discoteche. Lì, i genitori erano dentro. Comincia a piovere, speriamo che spenga le sigarette. Passano i Carabinieri della vicina stazione, con il Capo manipolo in testa, come nelle sagre paesane. La scuola di canto è una buona scuola. Tai Chi, interpretato e reclamizzato da improbabili interpreti, per la felicità dei cinesi autoctoni.Fenomeni di strada, nei quali i virtuosi, senza mezzi, mettono in mostra qualità vere. Ammucchiata di "chiuaua", minuscoli cani con soprabito, in mezzo alla strada; una ragazza si affretta con il suo, appartato, verso il baccanale. E' la volta dei vigili urbani: tre. Tres faciunt collegium. Almeno sorridono e non stanno in formazione. Tre ragazzotti, senza meta e senza un soldo, fischiano le migliori interpretazioni. La maesta di canto li affrota e si prende della troia. Prove di Bronx. Una ritardataria del Tai Chi si cambia in una cabina telefonica. Una ragazzona a cui fa da schermo, su un solo lato, un ridotto compagno di danza. I Tai Chi, ora in sei, hanno ripreso a danzare, solipsisticamente, su una base rock. La gente passa oziosa, la festa promozionale è di chi si esibisce. Solo Pietro ha coagulato attenzione, applausi e fischi di invidiosi. Si pubblicizza la propria attività con i pieghevoli, la voce e l'esibizione dei propri migliori interpreti. Finalmente, un animatore porta sulla pista asfaltata, mamme e bimbe, in una rappresentazione da technogym da spiaggia. Nuova esibizione degli italiani Tai Chi, arte marziale cinese, mentre si soffermano famigliole di ogni etnia. Un papà abbraccia la figliola cantante e ne è ricambiato. Sono uguali, piccoli e appesantiti, ma dimostrano un trasporto reciproco sincero.

sabato 29 settembre 2012

Verminai. Vermicelli.

Dicunt, tradunt, dicevano i Romani, quelli buoni e, ancor oggi - sarà sempre così - mano a mano che i contorni pubblicitari degli eventi sfumano, prendono forma diverse, inaspettate ricostruzioni dei fatti che li rendono banalmente e terribilmente inteleggibili. Il dittatore libico, che si era portato a Sirte, nella parte meridionale, lealista, del suo Paese, per organizzarvi la controffensiva, sarebbe stato venduto dal Presidente siriano Assad ai Francesi, che erano alla testa del gruppo degli Stati "volonterosi" interventisti. Un declinante Sarkozy, avrebbe intravisto un'opportunità di rielezione e, in ogni caso, una possibilità di stabile e duraturo guadagno, da una defenestrazione violenta di Gheddafi, ad opera dei suoi oppositori cirenaici e delle forze francesi. Il piano, si diluì per il pronto affiancamento degli Inglesi, speranzosi di ritornare, per questa via, in Medio Oriente e degli Americani del nord, che le influenze regionali le vedono come il fumo negli occchi se possono essere per loro ostative o concorrenziali e limitarne l'influenza. Gli Italiani fornirono tutte le piste di decollo e di atterraggio che punteggiano verticalmente il nostro Paese; la cosiddetta portaerei del Mediterraneo. In Siria era già in corso la rivolta, il contagio delle certamente indotte "primavere arabe" e il suo dentista-Presidente doveva sapere che la sua contestazione intestina non si sarebbe apenta repentinamente, come era invece avvenuto per altri Paesi petroliferi filo-occidentali o strategicamte utili agli equilibri ed agli interessi delle potenze neo coloniali. Chiese, quindi ai Francesi, di appoggiare diplomaticamente la sua repressione dei moti e, in cambio, fornì ai Francesi il numero del telefono satellitare Iridium, unico strumento utile per comunicare a voce dal deserto, di Gheddafi, che fu quindi facilmente identificato. Il bombardamento del suo accampamento fu quasi immediato e altrettanto breve fu la caccia delle scalcinate milizie armate, teleguidata, fin nei tubi di cemento per condotte future nei quali si era nascosto e dove, raggiunto, il Rais, ridotto al rango di un pover uomo, fu sodomizzato con una mazza. Questa fu la causa dell'andatura burattinesca e della copiosa emorragia visibile lungo le gambe, sui pantaloni. Come un burattino fu agitato ancor vivo e subito dopo l'esecuzione a bruciapelo, i trogloditi festeggianti si fecero fotografare a fianco del suo cadavere, un ragazzo ostentò la pistola d'ora che gli era stata sottratta, tanto che, si sostenne, fosse stato proprio lui a finirlo, con quell'arma. Era stato invece un agente segreto francese, che, mischiato agli squadristi, li aveva condotti sul luogo che gli era stato segnalato e dove, nella confusione, aveva ucciso, secondo mandato, l'occasionale alleato del suo Paese, o meglio, di questo anziché di quel suo presidente. Sarkozy, infatti, era stato finanziato, per la sua vincente campagna elettorale, da Gheddafi stesso, per milioni di euro e, quando il suo sponsor aveva subodorato il voltafaccia, lo aveva minacciato di rendere pubblica la loro intesa recondita. I dittatori, gli uomini impresentabili vengono tacitati quasi sempre in questo modo, perché i savi, i volonterosi e gli onesti possano continuare a rappresentarsi in queste vesti. Così è anche per i rapporti con la mafia e con tutti i poteri reali di questo mondo. Per questo, la verità su quanto avvenne in quota, ad Ustica, non è rivelabile, anche se un Mig libico si schiantò effettivamente sulla Sila ( ne sono stati ritrovati i resti meccanici e del pilota ), quando i Mirage francesi cercarono di abbattere l'aereo personale di Gheddafi in transito. Volonterosi anche allora, con certi affidavit dei Cirenaici. In quell'occasione, il dittatore, avvertito dai Sovietici, riuscì a far deviare la rotta in tempo. Il più pulito, ha la rogna, si dice popolarmente. Potere, carpe diem e viva la muerte, continuano ad ispirare i comportamenti dei despoti locali, al massimo regionali, che conducono la loro vita pericolosa, fino all'ultimo miserabile esito, sintesi della loro vita. Basterebbe questo per farmi sperare che Assad faccia presto, per contrappasso analogico, la stessa fine, anche se noto che, nonostante tutte le sue nefandezze,anche storico-dinastiche, gli attentati, i tradimenti e le diserzioni, ancora regge il moccolo o, più probabilmente, qualcuno glielo regge. A farlo, potrebbe essere, per ora, proprio il meno indiziato. Mario Monti, dagli Stati Uniti dove gli è stato chiesto di farlo, ha tolto l'alibi ai partitucoli di casa nostra, li ha smascherati e reso grotteschi i loro giochi di apparenza, pur contraddetti dalle contese personali, dai trasformismi ricandidatori, dalla bulimia affaristica e appropriativa. E' pronto a ricandidarsi dopo le inutili e rituali elezioni. Non ne dubitava nessuno. Sono anni e anni che tutto congiura all'infausto risultato che sta prendendo corpo sotto i nostri occhi - perché più che di osservare e di commentare, non ci è dato -; fu, ripetutamente, Monti, Commissario europeo, come Romano Prodi ( entrambi candidati anche alla Presidenza della Repubblica ), come, con valentia, Emma Bonino, che, senza truppe camellate, non fu neanche Governatrice del Lazio, perché temuta, per la sua indipendenza, dai forchettoni del sottogoverno e dalle cliniche vaticane. Si cominciò con l'innaturale sistema maggioritario, utile solo alla semplificazione imitativa, utile agli affari gattopardeschi del neo capitalsimo italiano, quando tutti, dalla sera alla mattina, diventarono liberali e si coalizzarono per preservare i loro, reciprocamente sostenibili, interessi ed apparati. I trasformismi coinvolsero anche i gruppi bancari, soprattutto quelli che avevano fatto la - non sempre onorevole - storia d'Italia: due in particolare: Il Banco di Roma e la Banca Commerciale italiana, l'uno "cattolico", l'altra massonica a beneficio di una statica realtà finanziaria, pregna di capitali inutilizzati, il Credito italiano e il mondo legato alla Compagnia delle Opere, alla Cariplo e al Banco ambrosiano. La seconda Repubblica è durata poco meno di vent'anni, come il fascismo ( sono due cose diverse, ma la trama non si è interrotta ); la prima durò cinquant'anni e si trascinò nel travaglio di uno scempio giudiziario moralizzatore, dopo decenni di indifferenza,anche se tutti sapevano, se alcuni denunciavano. Mani pulite è stato il riassunto tardivo di cinquant'anni di cronaca investigativa de l'Espresso. ma c'era la guerra fredda, il più forte Partito comunista dell'occidente, ecc. Siamo finalmente liberi? Per esserlo bisogna essere autonomi e, per essere autonomi, bisogna essere severi e sapere, volere provvedere a se stessi. Non è il nostro caso e la convergenza di partiti e movimenti, in apparente conflitto verbale, sul programma del Governo Monti lo attesta: il copione è scritto, almeno per altri vent'anni, quali che siano gli interpreti. Lo sputtanamento puntuale della Lega e quello in corso a tutti i livelli locali, oltre a quello preventivo verso i nuovi movimenti, non hanno altro scopo che di cementare un regime nazionalistico, quanto sbreccato e particolaristico. Come sempre. In fondo, negli equilibri della Guerra fredda, anche Comunisti e Democristiani si reggevano la parte, avevano, per così dire, gli uni, bisogno degli altri. Il fascismo fu una convergenza, ottenuta con le cattive, su equilibri corporativi di vertice, ai quali dette la sua benedizione anche la Chiesa cattolica. Solo i disgraziati, i vessati, ne pagarono le conseguenze; alcuni degli oppositori e qualche militante del regime, si sono scambiati la casacca subito dopo la guerra, continuando a confliggere, ma senza abbandonare le protettive ridotte, mutando, casomai, colorazione. Facciamo i furbi, gli altri lo sanno e ci trattano di conseguenza. E noi, proprio perché "furbi", ne siamo compiaciuti e ci proponiamo di trar profitto dalla nostra desolante subordinazione. Si fanno, infatti, "primarie" e si costituiscono schieramenti contro il finto ritorno in campo di Berlusconi, per fingere di litigare, per prendere i voti e poi tornare a governare, alternativamente, secondo quell'agenda già scritta e convergentemente, ripetutamente votata.

venerdì 28 settembre 2012

Scioperi vandeani.

Anche la Vandea è in subbuglio. Che le sarà venuto in mente? Trasporre in pratica il diritto alla salute ed alla vita, dopo trent'anni di statistiche triple circa le morti per cancro da inquinamento che falciano indiscriminatamente i cittadini di Taranto e, soprattutto, impedire che i cinici e criminali profittatori, possano sfuggire alla messa a norma della fabbrica, dopo tanti guadagni... Lo sciopero vede contrapposti i due sindacati filo-padronali e la CGIL. Gli insorti hanno bloccato strade e allestito barricate, al grido di "pane e tumori! per noi e per i nostri figli!" "Viva Riva e la sua Famiglia, viva l'ILVA! ( implicito ). "Viva il commissario prefettizio - quello che dopo essersi pensionato, ne ha assunto la Presidenza, senza intaccare di un unghia gli interessi della proprietà -. La sentenza del Tribunale ha sancito un principio elementare, non negoziabile e lo ha ribadito. Lo sciopero di Taranto che durerà due giorni consecutivi, che bloccherà ogni altra attività perché l'azienda fumighi indisturbata, è troppo simile ai moti dei "boia chi molla!" di Ciccio Franco, a Reggio Calabria, per avere una natura di fondo diversa, per non rispondere a interessi - a prescindere - sedimentati localmente e particolaristicamente difesi, rivendicati. Le modalità della sollevazione reazionaria, l'identità labile e l'identificazione folle, ricordano anche i blocchi stradali e dei traghetti che mantenne - per breve tempo, senza salvarli dal fallimento - in serie "A", taluni club calcistici siciliani, calabresi e pugliesi, implicati in corruzione sportiva, anche istituzionale, e mancanti dei requisiti finanziari per militare nel campionato maggiore. Se a Reggio Calabria fu schierato l'esercito, ma poi non si dette luogo a nessun approfondito accertamento di responsabilita, tanto che Ciccio Franco è stato deputato, almeno per una legislatura, dell'M.S.I., nulla si fece contro le pretese calcistiche, in favore delle quali, mentre furoreggiavano i blocchi, si schierò tutta la deputazione locale, di governo e di opposizione, e, per ora, nonostante la Cancellieri minacci spesso gli operai che "una nuova stagione di sovversione, non sarà tollerata", nello specifico, la polizia lascia fare. Solo qualche screzio, qualche scaramuccia, mentre la città - per poco, sembra che pensino, e senza turbare l'ordine sottostante, quello sostanzialmente costituito - è in mano a insorti privati ..o dei privati. Leggo che gli amministratori locali sono troppo impegnati a negoziarsi i posti che residueranno dalle fondende Province di Taranto e Brindisi. Speriamo che a qualche "trombato" non venga in mente di vendicarsi con bombole di gas. L'Arcivescovado, dopo aver impetrato "il dialogo", per ora tace. Nonostante le troppe parole che, quotidianamente, vorrebbero accreditare un "unum sentire" nazionale, l'Italia continua a rappresentarsi per quello che, in realtà, continua ad essere. Anche per questo, brava alla severa e "nubile", si è detto, giudice tarantina.

Work in progress.

I sindacati scioperano, nazionalmente, contro provvedementi di commissariamento, accettati senza un accenno di reazione, anzi, con malcelato sollievo, da parte di parlamentari che ( in Grecia è accertato ) hanno portato i loro soldi all'estero, prevalentemente in Svizzera. I sindacati si rivolgono alle camarrille nazionali con le quali interagiscono. In questo senso, è incoraggiante il proposito ( o semplice invocazione? ) della Segretaria della CGIL di rappresentare le istanze popolari in sede europea. Si aprirebbe un lungo, ma salutare, lavorio di verifica nel sindacalismo europeo. Forza Elsa! Il vecchio spirito internazionalistico non ti abbandoni.

giovedì 27 settembre 2012

Pantomime.

Un tale Sallusti, direttore del Giornale che fu di Montanelli, perché "compagno" della Santanché, la fica più bella che c'è, omette di controllare quanto l'agente segreto "Betulla", al secolo Renato Farina, pubblica sul quotidiano che dirigeva all'epoca. Si trattava di un pezzo strappa-feti dal seno di una tredicenne che, insieme alla gravidanza, sente crescere il suo senso materno, brutalizzata dai genitori utilitaristici e da un giudice che sostituisce l'algida insensibilità della legge, al sentimento inestinguibile della maternità che fiorisce dopo ogni, pur inconsapevole, ingallatura. Il direttore è stato condannato in base alla norma per cui, sia il redattore, sia il collaboratore autonomo, free lance o a contratto, devono verificare le fonti. La vicenda melò era stata completamente inventata e non era neppur genericamente ascrivibile a nessuno; era stata collocata spazialmente a Torino, in un ambito di 1.200.000 possibilità identificative. "Betulla" aveva - non so se consapevolmente - riesumato quegli articoli del codice civile che, ancora quarant'anni fa, attribuivano la maggiore età al compiersi del matrimonio, se avveniva anche a soli dodici anni di età. Insieme alla patria potestà. Si scopriva così il gioco, non dichiarato, del matrimonio riparatore, conseguente a gravidanza, che si consumava nelle campagne, in condizione di precocità di appetiti e bucoliche arretratezze, quando l' aborto, ufficalmente, era un tabù. Evidentemente, fra i suoi lettori, "Betulla" annoverava sentimentalità vandeane e le rivendicava contro la violenza di una giurisprudenza, che strappa impunemente la vita ai nascituri, l'anima alle madri, anche se rimaste incinte in coincidenza con il menarca, e i borghesi corrotti, ma benpensanti, alla comodità dei loro salotti e dei piacevoli conversari. Detto questo, sono comunque contrario a qualsiasi forma di carcerazione per chi conta balle e vellica la reazione, come quel vescovo brasiliano che, pochi anni or sono e solo perché di pubblico dominio, scomunicò una tredicenne favelada e i medici che, senza trarne lucro, ne avevano interrotto la corsa verso il niente, sentimentale e materiale, sua e del nascituro, già senza prospettive. Esportare l'illuminismo in Vandea è come portare la democrazia nei Paesi arabi petroliferi, con le armi: è altrettanto ipocrita e grottesco. Un altro giudice-scrittore, Enrico Carofiglio, ha reagito con supponente violenza ad una stronactura letteraria che gli era venuta da un critico di destra, che, certamente, lo aveva demolito per fini che con la letteratura non avevano niente a che fare - il giudice-scrittore è anche parlamentare del PD - ma, da quì a cercare di sanzionarlo penalmente o zittirlo pecuniariamente, per lesa maestà giuridico-letteraria, ce ne corre. La democrazia non contempla forme, è fisiologicamete conflitto ideologico. Mistificarla e ricondurla a questo o a quel suo opposto, che sia la ideologica inaccessibilità all'Empireo delle parole, con le quali ci si può esaltare, che sia la feudale presunzione di non consentire satira o contestazione alla propria decontestualizzata inaccessibilità, non rimanda ad esempi libertari. Sembra anzi la totalitaria pretesa della Signora Helena Ceausescu di essere la scienziata dei Carpazi e, nel contempo, la poetessa della Pomerania, quando, poverina e non per questo immeritevole di rispetto, sapeva appena leggere e scrivere. Il marito, appagato dal potere, la lasciava fare, ma, per la pace domestica, reprimeva ogni accenno di dubbio che potesse affiorare. Ecco, Carofiglio, che aveva tutti gli strumenti per replicare - casomai per una sola volta - non si è comportato diversamente, anche se, con ogni probabilità, tutto si ridurrà ad una multa pagata dall'editore. E poi dicono che le lettere non danno pane..

Private analogie.

Clinica privata convenzionata, per esami, visite e terapie non procrastinabili. Ambiente simil alberghiero, con parcheggio privato, hall in un caldo colore d'ambra, ,marmi e legni curatissimi dappertutto, un listello di vero marmo anche sul pavimento dell'ascensore. Nella sala d'apetto, attrezzata come un salotto, sostano, sfogliando dei giornali, alcuni astanti. Benestanti, dall'aspetto, dai modi. I medici, che entrano ed escono dagli ambulatori, mantre li incrociano, avvertono: "vengo subito". Solo il primario, pur fin troppo cordiale, ogni tanto semplifica: "si metta lì, aspetti seduto". Questi, presenta ai medici del reparto i pazienti e indica le metodiche da adottare; dopo un po' apre le porte e si informa sui tempi residui. Tutto è scandito da un tariffario e risulta, infine, efficiente. Alla reception, con bar elegante e tutt'altro che ospedaliero, impiegate algide e bellocce riscuotono i ticket, i pagamenti dei non convenzionati, indicano piani, reparti e ambulatori a cui rivolgersi: spesso anche il nome del medico che interverrà. In un ufficio, dietro il banco di noce, si apparta un'altra giovane addetta amministrativa. Probabilmente è la direttrice o la coordinatrice del piccolo team di sportello. Lavora a porta aperta, per proporsi posatamente agli astanti e controllare il modus operandi delle due più giovani impiegate. La divisa nera, austera ed elegante, identica a quella delle due subordinate colleghe, è un tailleur cilindrico che le confeziona severamente, se stanno ferme e in piedi, ma, se si siedono e accavallano le gambe, la scosciatura si appalesa profonda. Quando deve svolgere qualche mansione non ortodossa esteticamente - intravedo, di lato, alcuni schedari a cassetto che una volta si chiamavano cardex - o rassettarsi, chiude la porta con gesto calmo, ma espressione infastidita: probabilmente amerebbe tenerla chiusa quasi sempre e lavorare tranquillamente. Poco dopo la riapre e ricomincia la sua pubblica esibizione. I corridoi sono pieni di piante di plastica, con falso fogliame color verde vernice o ramato autunnale. Gli ambulatori sono intervallati dai bagni, recanti sulle porte il contrassegno dell'handicap. Le infermiere camminano lungo i corridoi e chiedono, en passant, con tono cortese ma informale, di chi o di che cosa si abbia bisogno e se si sia in attesa, di qualcosa o di qualcuno. Il via-vai è continuo, l'andatura costante ma non veloce. Sui marmorei pavimenti non risuonano scalpiccii. I medici che vi lavorano, svolgono in ambito simil-hoteliero, ma con molta minore strumentazione, le stesse mansioni che svolgono presso le strutture pubbliche, gli stessi interventi chirurgici, le stesse visite specialistiche, ma, una volta conseguito l'ingaggio privato, si fanno pagare per molti multipli in più. Di diverso, c'è solo l'atteggiamento da chaperons. Una volta conseguita una fama, reale o usurpata, si appaltano al rialzo o sono ingaggiati al rialzo, da questa anziché da quella clinica privata: spesso, in cambio di una percentuale di riconoscimento maggiore, lasciano il primo o il secondo approdo e vanno a fare sempre le stesse cose dove li pagano di più. Ai loro fasti economici, contribuisce, per quote consistenti, il Servizio sanitario nazionale, che convenzionando le cliniche, si accolla il 70% degli oneri. E l'utenza, purtroppo, non manca. Un di costoro, proprio oggi, dissertava, sorridente, sull'evidenza dell'inutilità del lavorare in rapporto al reddito; è vero, al suo reddito, ormai, provvedono con il loro , per sé, inutile lavoro, gli altri. I malati sono la materia prima su cui operare e, per i proprietari della clinica, spesso medici, famiglie di medici, ma non solo, su cui investire. Il calvario dei malati ricchi è un percorso elegante, mascherato, nel quale la mascheratura consiste nell'esiliare tutti gli aspetti esteriori della malattia e della sofferenza, riconducendo grottescamente i morituri, in un ambito di rassicurazione tutto esteriore, che li accompagnerà alla convalescenza, ma, in molti casi, li illuderà circa il senso - comune - della loro morte. Questi medici, nella loro veste privatistica, sono un manuale di conoscenza amministrativa: sanno come si istruisce una pratica, come si ottengono in prova gratuita protesi di ogni tipo, quanto è coperto al 100%, anziché all'80% dalle tasse che molti degli avventori delle cliniche private non pagano. Si investono direttamente - dietro lauto compenso - dell'istruttoria e poi commentano: " un mio caro amico, medico, ogni anno, per un mese, opera in un ospedale della Guinea ( non specifica se Bissau o Conacrì ) e ritrova la natura e la realtà originaria del medico, che è fatta di richiesta preponderante rispetto alla sua capacità di risposta ed ai mezzi a cui può ricorrere. Lui, noi, ormai, siamo diventati dei burocrati della salute e della sua resa". Se sei associato allo stesso club - comunque sia chiamato - passi indenne dalle liste di attesa e se non paghi, significa che il ritorno, non inerente alla prestazione, è molto superiore, costante e proiettato nel futuro, per chi ti emancipa dalle seccature della comune, ma non partecipe, condizione, anche nella malattia. Quando hai finito, sia che tu debba ritornare, sia che tu saldi una prestazione una tantum, sia che tu regoli tariffariamente un decesso ( in questo caso, in poche decine di minuti, l'impresa di pompe funebri associata alla clinica già intrattiene i parenti superstiti circa le onoranze più pacchiane, l'estremo oltraggio, che saranno memorabili nel loro ambiente sociale, mentre, se si muore in un ospedale pubblico, fuori dalla camera mortuaria, sostano i promotori - poveri diavoli, svillaneggiati - anche della stessa compagnia di pompe, in questo caso, funebri, che ha vinto "l'appalto" privato, per proporre il "miglior" servizio ) la registrazione dei dati viene svolta senza guadarti in viso, l'informazione sulla preesistenza di servizi ricevuti da quella clinica, richiesta e verificata, la fatturazione e i referti vengono consegnati in busta instestata, dopo aver raccolto il consenso al trattamento dei dati sensibili. Dopo che hai pagato, continuando a non guardarti e con un'espressione di arcano disgusto, aspettano che ti allontani. E' un'educazione formale che rassicura circa la non invadenza, la discrezione reciproca, assicurata dal denaro che si possiede, che in ambito circoscritto si scambia, si incamera. Anche nella malattia, anche nella morte, se in cuor nostro ci sentiamo imbarazzati per il nostro egoismo insensato e desideriamo proteggerlo, se possiamo, vogliamo restare appartati. Riflessioni semplici, più che altro osservazioni, mentre sosto, davanti a una porta, seduto sulla stessa lettiga a rotelle abbandonata per un breve tempo da mia madre o, invece, sono ammesso ad un consulto, dei cui aspetti pratici dovrò investirmi, mentre colgo l'espressione, riprodotta sulle pareti, dei nativi Polinesiani di Paul Gauguin, che paventano l'ignoto, in un contesto naturalistico pur abbacinante.

Fatalità.

Ma cos'è questa crisi? Era un motivetto degli anni '60, quando dal boom si passò allo sboom, normalmente. Eppure, senza capirci nulla, tutti ne sono persuasi e si adeguano, come le prefiche al lutto. Ciascuno si chiude nell'egoismo e si conforta nella malasorte con ciascun altro. Chi può aumenta le vessazioni o i tentativi di vessazione , per il proprio mantenimento, comprensivo di un posibile incremento. In questo, cerca e talora trova alleati, con i quali continua a lamentarsi a sua volta, cercando di aggiungere al suo coretto stentato quanti più generici sia possibile. Molti si lagnano al telefonino, parlano dell'aumento esponenziale del costo dei ristoranti, delle prestazioni voluttuarie, mentre i club privée sono pubblicizzati anche ai banconi del bar, le case da gioco informatizzate, per aggirare la legge, fioriscono nelle adiacenze dei centri cittadini. E', soprattutto, una crisi dell'intelligenza, poi dei costumi e, infine, della credulità imitativa e scimmiesca, per la quale ci sentiamo tuti uguali, omogeneizzati e normalizzati, sotto l'egida di un'entità antropologicamente simbolica che ci sovrasta e dalla quale, per la quale, aspiriamo ad ottenere favori. Per questo, a lei officiamo o, se proprio siamo sfigati, ci consoliamo, lamentandoci.

lunedì 24 settembre 2012

Mezze stagioni.

Entro la primavera del prossimo anno, al più tardi, si concluderà la sedicesima legislatura dell'Italia repubblicana, che, dopo essersi avvitata in interminabili diatribe e strumentalizzazioni, ha conosciuto un'accelerazione dinamica e normativa, impensabile per le paralizzanti procedure parlamentari della prima e della seconda Repubblica. Personalmente non amo questa denominazione delle fasi politiche nazionali; vi intravedo, infatti, una ricercata continuità negativa col passato. So che le palingenesi sociali e civili sono utopistiche e che, proprio per questo, vengono agitate dagli innovatori da fiera di paese. Eppure, qualcosa di traumatico si è verificato dopo un lungo lavorio sotterraneo, che è sfuggito ai più. In questa fase pre elettorale si lavora con lena, soprattutto giornalistica e con gli alambicchi della chimica parlamentare, per bloccare, per un tempo indeterminato, il sistema a-rappresentativo che si è artatamente creato. Addirittura, Re Giorgio ha dichiarato che continuerà a vigilare sul rispetto degli impegni che la U.E. ci ha imposto e da cui ha tratto spunto per sovvertire la dialettica democratica. Sta di fatto che Re Giorgio, la prossima estate non sarà più al Quirinale e la sua vigilanza, quindi, sembra pilotare la successione..su chi, se non Monti? Stesso percorso di Ciampi: Presidenza del Consiglio, della repubblica, laticlavio a vita. Prima il laticlavio, invece, per Monti ed è stata una brutalizzazione non da poco. Quindi, sembrano dire: le elezioni che si terranno, non conteranno, se riusciremo a mantenere il blocco ( arco ) costituzionale? nel quale l'intervento del Capo dello Stato continuerà ad essere diretto e determinante nell' allinearci all'asse europeo, in una riedizione minore dell'asse Roma-Berlino. A questa plumbea prospettiva danno il nome di Terza Repubblica. La numerazione delle successive esperienze politiche è un copyright francese: fu De Gaulle, succedendo a se stesso a dar luogo alla seconda per poi cedere agli effetti del Maggio gallicano e ripiegare in un mesto esilio a Colombay les deux églises, dove è sepolto. Si trattò, paradossalmente, di un fascismo minore, mitigato dalla Civlisation francaise, cioè, dalla cultura, ma pur sempre un fascismo, austero e militaresco. La scopiazzatura lascia trasparire una pari continuità fra le forze sociali, politiche e religiose che ben convissero durante il ventennio mussoliniano e, da allora, in sintonia sostanziale, si sono trasversalmente riposizionate, numerose volte, sullo scacchiere politico. Il Ministero Monti, si dice, è "tecnico", ma i Governi tecnici, un tempo, erano balneari, non duravano poco meno di un quaranta per cento del tempo legislativo, né si proponevano di influenzare il futuro, anzi di determinarlo. Il nominalismo, quindi, nasconde un sistema politico edificato negli ultimi due anni. La sua generazione avvenne nell'estate del 2010 e fu frutto dello scontro fra Berlusconi e Napolitano. Berlusconi perse, non ottenendo lo scioglimento autunnale delle Camere, la possibilità di ottenere l'affiancamento del Parlamento all'azione del Governo o il suo rinnovo, nella speranza che fosse nuovamente conforme alle sue aspettative di leader, indebolito da una dispora pilotata e dal voltafaccia concordato del Presidente della Camera, Fini. La debolezza e l'insidia di questi maccheggi sta nella loro non notorietà, nella loro ufficiosità che è l'unica maniera, in Italia, di semplificare le situazioni, senza poterne rivendicare la cogenza. Fu infatti così che da una Repubblica fondata sulla prevalenza del premierato, passammo ad una Repubblica presidenziale, di fatto. Impedendo lo scioglimento delle Assemblee, Napolitano inibiva il potere di governare, impedendo l'esercizio, temuto, di un potere di pressione sulla prpria transfuga maggioranza, al Presidente del Consiglio. Seguiva un anno di costituzione di Gruppi autonomi dalle denominazioni più fantasiosamente puerili, uno shopping sistematico fra le quinte colonne, con tariffari pubblici, fino all'impennata dello spread, che segnò la fine, per altre vie non ottenuta, di Berlusconi. Lui stesso, come di frequente - ma non sempre, la prima volta si era difesa dalla congiura di Palazzo di Scalfaro - mentiva, facendo mostra di "responsabilità", ma la sua uscita di scena è dipesa da un rovesciamento politico dei rapporti fra Governo e Presidente della Repubblica, da un conflitto silenzioso fra due modelli costituzionali: dal premierato al presidenzialismo. La prassi costituzionale era stata bypassata, il sistema era stato già bloccato l'anno precedente. Non si sarebbe mai andati ad elezioni e la nomina di Monti a Senatore a vita, anticipava la formazione di un nuovo Governo. Il Governo del Presidente, legittimato politicamente da lui, per l'esecuzione di una linea d'azione eurocratica che viene dall'esterno ed è subordinata agli interessi economici che vengono rappresentati ed espressi a Bruxelles. Si è trattato di un atto di forza, di un golpe bianco, nei limiti, resi angusti, della legalità formale, ma senza alcuna legittimazione democratica. Solo la forza politica del Capo dello Stato, alleata alla forza economica di una dittatura europea di banchieri e finanzieri, appartenenti ad esclusivi clubs e gruppi di decisione e di pressione. Per due anni, il Governo alieno si impone a forza di decretazioni d'urgenza e di una disciplina "bulgara", imposta al Parlamento. Il colpo di Stato sembra funzionare, i partiti, già screditati, perdono definitivamente credibilità e consensi, dopo aver perso il potere. PDL e Lega nord vengono travolti, ma il PD che cerca, con attitudine vicaria, di inserirsi nella desertificata "terra di nessuno", si trova subito in scacco: o con Monti o contro Monti. Tertium non datur. Ciò che la tecnica del colpo di Stato non ha previsto, né poteva prevedere, dato l'agosticismo morale degli Italiani, era che i medesimi, questa volta, si ribellassero, comprendessero le umiliazioni a cui questa cosiddetta "terza Repubblica" li sottopone. Non è, da parte mia, propaganda per un Movimento nato nella Rete e non privo di zone inesplorate, ancora da scoprire, ad indurmi a sottolinearlo, ma mi sembra indubbio che il Movimento 5 Stelle abbia sparigliato i giochi e tanta apprensione e dispetto abbia suscitato, a nome di tutti gli altri, nel regista Napolitano. Come neutralizzarlo? ( il movimento ) Con scoperta e troppo abusata tecnica, si è subito dato luogo alle tecniche di manipolazione che, come per la pubblicità, agiscono, sedimentandosi, nell'inconscio degli indaffarati uditori. Creare spaccature intestine, schierare le batterie dei pennivendoli, con Repubblica ancora sulla breccia, che oggi annovera "esperti, consulenti e maestri vari di pensiero, definirlo, qualificarlo, ridurlo ad una categoria politica già nota e dispregiativa. Monti stesso si è profuso in definizioni: populismo, tendenza all'antagonismo, antipolitica ( proprio lui! ), definizioni del tutto vuote, ma connotate emotivamente, per squalificare una forza politica, non omogena, che si è materializzata. Ancora: anticipare i risultati del voto, pronosticarli, prevederli, in modo da influenzarli e, se possibile, determinarli, un po' come le profezie autoavverantesi della speculazione finanziaria. I sondaggi orientati, pilotati. Infine, controllare i meccanismi che disciplinano il voto, ossia lavorare sulla legge elettorale, "senza la quale non si vota", tuona Napolitano, in perfetto stile sovietico, dove pur non mancavano inutili partiti oltre a quello comunista, cioè non si vota se non si sa come va a finire. Tutte queste "tecniche, continueremo a vederle all'opera nei prossimi mesi, con intento "normalizzatore". Nonostante questo, qui si parrà la sua nobilitate: se sarà un'autentica forza politica, non sarà distrutto e neppure pesantemente ridimensionato. Non basterà. Eleggere dei rappresentanti in parlamento non significa "vincere" la propria battaglia politica. La democrazia parlamentare tende al negoziato, al compromesso, alle manovre; c'è costantemente il pericolo di farsi intrappolare e neutralizzare da coalizioni e maggioranze trasversali, complesse, che riescano ad assicurare la continuità del sistema in atto, come ci sono riuscite dal "Mattarellum" in poi. Chi si candida alla diversità non deve essere soltanto un'opposizione protestataria, espressione sterile della delusione di Italiani anziani presi in giro e di giovani destinati ad un futuro di miseria: non basterebbe ad evitare il consolidamento della "Terza repubblica". Essenziale, perché questa tendenza forte sia efficacemente contrastata è che il Movimento di Grillo non si istituzionalizzi quando sarò in Parlamento: se resterà un non partito non sarà destinato al compromesso. I partiti hanno ideologie astratte, che servono loro come la carta da giocare nel negoziato politico. Le ideologie sono fatte per esere compromesse con altre ideologie. Per essere efficaci, i movimenti devono avere un bersaglio, un obiettivo: portare l'Italia fuori da questa trappola per topi, verso la quale la conducono forse troppi e sovrapponentisi furbi pifferai ( per questo Napolitano, riesumando il cinismo togliattiano nel quale si è formato, ha cercato di ridurli "ad uno" ), la trappola per topi - famelici - di questo sistema politico ed economico protervo, dettato dall'Europa e restituire agli Italiani una responsabile sovranità.

sabato 22 settembre 2012

Prime.

E' andato in scena ieri sera, al Teatro degli Alemanni, per la prima volta in italiano, il musical Elisabeth, la storia della Principessa ungherese alla Corte degli Asburgo, l'indocile e infelice moglie di Franz Joseph, uccisa infine da un anarchico italiano. Elisabeth è stato ed è, da vent'anni a questa parte, uno dei cavalli di battaglia dell'Opera di Vienna, ma in Italia non è mai stato rappresentato, tranne che a Trieste ed in tedesco, perché nella città giuliana, presso il castello di Miramare, Sissi, per venti volte, aveva visitato il nostro attuale suolo patrio, allora parte dell'Austra-Ungheria. Sissi era il diminutivo che il padre le aveva riservato, insieme all'amore per la natura, la musica e l'arte, intese come pratica e conoscenza, come si conveniva e si conviene alle fanciulle dell'aristocrazia, ma intrise di autonomia e di libertà, di individualismo e autogoverno, del tutto irriducibili al costume ed all'ambiente della cupa, reazionaria e clericale Corte austriaca, della quale era stata chiamata a far parte per evidenti ragioni dinastiche, in alternativa alla designata sorella che si era preparata e crogiolata nella parte, fino a rimanerne atrocemente esclusa e delusa. Sissi, pur essendo una creatura privilegiata e ignara delle sofferenze del popolo che, pure, la idolatrò, identificando in lei la sua stessa ( in realtà ben diversa ) estraneità ai fasti ed ai sentimenti dell'oligarchia al potere, non poteva certo sentirsi attratta e gratificata dal plumbeo apparato di controllo austriaco, sul quale, paventando la sentimentalità del figlio, vigilava con suoceresca e grifagna attenzione la regina madre. A Sissi furono attribuite tutte le simpatie verso i marginali e gli ideologicamente alieni, come gli Ebrei, simpatie probabilmente mai provate, perché mai avvertite, ma, soprattutto ed internamente alla cerchia dei suoi affetti più intimi, le fu sottratta l'educazione dei figli e fin anche la loro frequentazione. Da questa aberrazione, la finzione scenica, che rispetta in ogni sua sfaccettatura lo spirito romantico della tragedia teutonica, che permea tutta la pièce, fa aleggiare sulle vicende personali dei regnanti e di Rudolph, designato alla successione, un alone incombente di Morte. Infatti, Rudolph, traumatizzato dall'innaturale pretesa di farlo crescere e maturare sotto l'egida di un maestro d'armi e di algidi precettori, estraniandolo fin dalla più tenera infanzia, dalla madre, muorirà suicida, quando, ormai adulto, nella speranza di ritrovare la trama spezzata del suo rapporto edipico negato, si vedrà respingere dalla madre che in lui, nei suoi modi, nella sua soprastrutturale educazione, riconoscerà i caratteri del marito, dal quale ormai vive separata e non vorrà, per un figlio estraneo, rischiare, dopo tante sofferenze, di essere riassorbita, tramite lui, nel consesso cortigiano. Alla fine, lei stessa, casualmente, così come casuale era stata la determinazione esogena della sua vita, morirà sotto lo stiletto di Luigi Lucheni, che della trama scenica è il narratore, interprete popolare del disagio che, anche lui romanticamente, legava, correttamente, al tramonto di un ordine sociale, il cui esito, però, non sarebbe stato quello vagheggiato, tanto che, subito dopo, a sua volta, nichilisticamente, si impiccherà. Francesca Calderara e i suoi giovani e valenti attori, in procinto di trasformarsi in Compagnia, hanno avuto il merito e l'entusiasmo per tradurre e rappresentare l'illusione e il potere, le sensazioni, i pregiudizi, l'astio reciproco, il sogno, l'identità e l'identificazione, l'ascesi e il precipizio della vita, la sua poesia e il suo equivoco. Di questa compagine di giovani artisti, che si alimenta di nuovi attori, alcuni dei quali veramente pronti per i palcoscenici più qualificati, fa tesoro la valente regista, autentica imprenditrice di un'attività tanto utile quanto economicamente penalizzata, che trova una gradita e crescente ospitalità in sale non secondarie anche se, per ora, di nicchia, del panorama teatrale bolognese e non. Infatti, gli interpreti sono già stati protagonisti agli Alemanni per due volte, al Teatro delle Celebrazionie sono risultati vincitori della kermesse fra le compagnie studentesche del Teatro Bonci di Cesena, con il musical Holliwood, sulla decadenza di un divo del muto e gli esordi di Greta Garbo, per proseguire con una deliziosa rivisitazione del Cirano di Rostand, fino all'Elisabeth-Sissi, imprese ardue e tecnicamente specifiche, trattandosi di musical, nei quali la recitazione va associata al canto e alla danza. Fra gli attori voglio citare: Lorenzo Pulega e Pietro Riguzzi, autentici virtuosi della scena, che, insieme ad altri continuano a seguire l'evoluzione dei compagni anche quando non partecipano personalmente alla specifica rappresentazione. Ieri sera, eccellenti sono stati Pietro Riguzzi, narratore e anarchico nichilista, che ha condiviso l'interpretazione di Luigi Lucheni con Andrea Martini. La regista, Francesca Calderara, ripartisce le parti fra tutti i componenti del cast, cercando di dare a tutti l'opportunità di sfaccettare i momenti e le particolarità delle personalità portate in scena. Quattro, sono state le Sissi: Arianna Di gregorio, Emily Clancy, Alessandra Lami e Virginia Bianchi. La Morte, incombente, era interpretata da Federica Trentin e Giacomo Tamburini, che incarnava anche Rudolph, l'infelice figlio suicida di Sissi, da grande. Franz Joseph era interpretato da Amedeo Paolo Battipaglia. Ancora: Simone Lippi Bruni e Viola Todeschini, le due Sofia: Maria Selene Benedetto e Olimpia Vivarelli. Ludovica, madre di Sissi, era interpretata da Marina Serrao e, infine, Helena, sorella di Elisabeth, che sarebbe stata ben lieta di diventare Regina d'Austria-Ungheria e che era stata prescelta dalla Regina Madre, ma scartata da Franz Joseph, nei panni di Francesca Bia. Alla traduzione in italiano, dal tedesco, insieme a Francesca Calderara, ha contribuito Dario Clementi. Ha tenuto benissimo la scena, il giovanissimo Enea Riguzzi, nella parte dello sconsolato, piccolo Rudolph che, per volontà dinastica non conoscerà il calore materno nella sua infanzia, per essere affidato ad un maestro d'armi: per farne un uomo freddo, deciso. Composto, senza eccessi né timidezze, ben intonato e ben inquadrato nel contesto, felice degli applausi, a cena - una pizza - con la compagnia subito dopo. Qualche attore, come Riguzzi senior ha indulto con levità ed efficacia nelle caratterizzazioni e ha interpretato numerosi passi, vocalmente e musicalmente difficili. Bravissima anche l'ultima Sissi, vittima dello stiletto di Riguzzi-Lucheni, in un canto d'eccellenza. La qualità di questi studenti e giovani artisti è innegabile ed offre momenti di autentico piacere spirituale.

Criteri di sostenibilità

I criteri di sostenibilità che trapelano fra le maglie, apparentemente spesse, del pensiero unico reddittuario, si rivelano alquanto tradizionali, tutt'altro che innovativi. Marchionne ha chiarito pubblicamente - non avrebbe dovuto e potuto farlo a quattr'occhi? - che FIAT sta solo dove l'85% dei finanziamenti viene dallo Stato e, dopo ogni finanziamento, si gode di cinque anni di esenzioni fiscali parziali, che ammortizzano l'invenduto, anzi, probabilmente procurano un utile. Altrimenti, si deve evadere. Peccato che, in italia, si farebbe sia l'una, sia l'altra cosa. Uno di questi paesi è il Brasile, autonomo da vincoli comunitari o unionisti, uno Stato continentale in piena espansione e senza vincoli, il cui asserito beneficio, per noi, è sempre più misterioso. In giro per il mondo, qundi, queste condizioni si trovano, per cui: Europa addio. E' tutta quì la superiore abilità del manager lanoso? Sì e nel solco di una italianissima tradizione aziendale FIAT, per di più. E'sempre più lecito chiedersi a chi giovi l'Europa. Realisticamente, può giovare a noi, come popolo? Contributi pubblici e buoni rapporti sindacali con tutti. Ecco la ricetta, non più attuale, della sostenibilità. In alternativa, un corporativismo diffuso o la liberarillazione del mercato, che, però, comportando, come suo corollario, una liberalizzazione dei costumi familiari dei lavoratori, è osteggiata dalla Chiesa e da gran parte della politica, anche di quella che si dice, invece, favorevole. Oggi sembrano tutti liberali, ma le percentuali di quel partito, quando c'era, sono sempre state minime. Bisognerebbe, inoltre, liberalizzare quello che non c'è, al Sud. Passera che fa parte di un Governo che ha inibito i prepensionamenti o esodi incentivati che dir si voglia, ma che fa ancora parte, insieme alla Fornero, della banca che, per prima, ha ripreso a praticarli, pensa, per deformazione mentale, di potersene valere anche nell'industria, o meglio, in quello che ne rimane. In cambio dei ritorni sugli affidamenti e a carico delle banche? Tranne una. Un'economista greco, docente in Australia, ha denominato l'azione dei mercati "il Minotauro globale". Globalmente considerato, sarà un Minotauro, ma, in un'ottica localistica, a me sembra che il Gattopardo si sia rimesso all'opera. Il mercato vero e la sua ideologia fanno paura nei Paesi latini e cattolici. La Chiesa, se ne è già accennato, sa che ne consegue lo sfarinamento familiare di massa e lo osteggia in favore del corporativismo sociale. Anche per questo, di questi tempi, la CISL - più estremista della CGIL, ai tempi della contestazione - gode di un privilegio para-istituzionale, anche se non del favore delle masse, mentre la CGIL - sempre per ora - è stata precipitata all'inferno, dove peraltro gode di numerosa compagnia. L'impostazione "sostenibile", tanto pasticciata - come tutto - in Italia, è ben presente in Europa, a cominciare dalla Germania, ma è contraddetta da una forte, varia e trasversale - anche nel PD - spinta liberale e economicistica. Sempre per ora, da noi, l'esito è noto: il Poverini show, la cosiddetta destra sociale e sindacale.

mercoledì 19 settembre 2012

La stupidità non ha confini, come la malafede che su di lei specula.

In Libano, dove il Papa ha appena finito di ripetere le sue stanche, inutili litanie pacifiste, rimbalza il grido della Jiad per l'oltraggio alla memoria, venerata, di Maometto, da parte dei Crociati e dei Sionisti, come se fossero due entità culturalmente compatibili. Ma non stiamo a sofisticare, vox populi, vox Dei, quindi... Al richiamo sanfedista e guerriero rispondono con univoco, unitario riflesso masse barbute e straccione che, se ci pensassero un attimo, dovrebbero ammettere di non sapere niente di Maometto e dell'Islam tranne quanto sentito dire uniformemente o, al massimo, quanto appreso a memoria nelle scuole coraniche, una sorta di catechismo, utile per essere introdotti al lavoro. Al Convitto...di Verona, sono centoventi i bambini e le bambine sordomuti che hanno avuto la forza e il decoro di denunciare gli abusi sessuali ai quali sono stati sottoposti da religiosi e laici, amici della Casa di assistenza. Gli ecclesiastici, di cui non si conosce una sola denuncia penale al riguardo, hanno adottato la politica della lesina e del ritardo, fino ad ottenere la prescrizione dei reati. Anche il Vescovo di Verona dell'epoca, che era in via di beatificazione, ha visto interrompersi il suo iter verso la beatitudine, che, in latino, vuol dire felicità: pare avesse già troppo goduto in vita, anche lui con alcuni degli sventuratissimi piccoli. In Italia, è stato introdotto solo ieri il reato di pedofilia. E' grottesco, quando si guadagna la sede della propria opera, dopo aver visto cassare il proprio orario, quasi trentennale di lavoro, che era stato precedentemente confermato, anche se solo verbalmente, da un altro responsabile, solo perché non si accetta di lavorare gratis o di contrattare privatamente con un'azienda di cialtroni e speculatori, quanto chiaramente stabilito e trovare Rustichello che, orologio alla mano e con aria scandalizzata fa osservazioni sul tuo costume " non comprendendo come se la settimana prima era tutto filato liscio, si dovesse constatare una disarmonia inspiegabile quest'oggi". Tralascio ogni commento. il fatto è che a questi zoticoni spiace che il sottoscritto abbia impegni assistenziali, vorrebbero controllare anche quelli, per non parlare di quelli sindacali, che sono abituati a contrattare informalmente con chissà quanti pseudo sindacalisti corporativi, a cominciare da quelli reggiani del mio di sindacati. Poco dopo, parlando con la nevrosi che l'ambiente gli ha indotto e con la divisione della personalità che la sua relazione con Mirandolina gli ha apportato, fra un moccolo e l' altro, la sprona alla resistenza in rapporto al contegno che lui prova ad interpretare nei confronti degli altri e che lei subisce. Prima era lei a interpretare il suo stesso ruolo, fino a che, per insubordinazione vitalistica, le fu tolto il giocattolo per il quale " aveva altri sotto di sé" e si votò, o meglio, fu votata, ad un ruolo di sostituta itinerante, su tratte brevi, del tutto punitivo. La famiglia proprietari della FIAT è solidale con l'amministratore delegato che sabato prossimo vedrà Monti, ma che ha già anticipato che resterà in Italia ( non ha detto a fare cosa ), mentre ha ribadito che i soldi li farà in nord America. Oggi, Travaglio, sul fatto, è stato efficace nel sottolineare come il ragionier Fantozzi abbia trovato un'occupazione conforme alla sua personalità, nei sindacati ( da quel dì ) e nel Governo tecnico in carica.

domenica 16 settembre 2012

Addii.

Roberto Roversi se ne è andato, insalutato ospite, come era vissuto. Un poeta. E' stato un letterato schivo, particolare che ha rifuggito la notorietà e la richezza, quando ha avuto la possibilità di afferrarle. Roversi ha messo in versi numerose canzoni di Lucio Dalla e del complesso che aveva creato a Roma, durante la sua esperienza da discografico: gli Stadio.E' stato cremato oggi. Era nato il 28 gennaio 1923, l’anno prossimo avrebbe compiuto 90 anni. Per desiderio dei familiari l’annuncio della scomparsa è stato dato solo ieri. Sempre per volontà di Roversi non ci sono state cerimonie, né pubbliche né private, né commemorazione né camera ardente. Roversi viveva con grande riservatezza nel centro di Bologna e ancora fino a poche settimane fa lo si poteva incontrare tra le strade storiche della città assieme alla moglie Elena, accanto a lui, sempre. Tra i più importanti nomi della cultura italiana, ma quasi ignorato dagli Italiani ( un'altra caratteristica minore del nostro Paese ) era stato amico e collega di Pasolini, e di Leonetti, come vicinissimo era stato a Lucio Dalla con cui aveva creato tre dei primissimi album nei primi anni settanta: Il giorno aveva cinque teste (1973) e Anidride Solforosa (1975) e Automobili (1976). Fu tutto, Roberto Roversi. Partigiano, antiquario, libraio, giornalista, scrittore, paroliere di canzoni, macchina teatrale. Fu poeta soprattutto, e coscienza critica di un Paese che, attraverso i suoi occhi, tristi come la più impervia delle salite, ha visto crescere e deteriorarsi, dal fascismo alla berlusconizzazione, con tutto quello che in mezzo c’è stato. E soprattutto il dolore, nel giugno del 2007, la perdita del figlio, Antonio, sociologo e professore ordinario all’Università di Bologna. Avrebbe potuto avere soldi e fama, ma non volle mai niente. E, negli ultimi mesi di vita si è fatto promettere dalla moglie che, quando quel giorno sarebbe arrivato, non ci sarebbero stati funerali, né pubblici né privati, nessuna commemorazioni o ricordo: “E’ tutto lì, in quello che ho scritto”. Visse in un quasi maniacale, ma mai scorbutico, silenzio, nella sua Bologna, e quando sul tavolo aveva offerte dei più grandi editori, lui fece quello che nessuno si aspetta che altri faccia: si mise a scrivere su carte da fotocopiare e distribuire a chi gli andava a genio, al massimo avrebbe concesso qualche firma su riviste autogestite. La sua vita è riassunta nella poco nota produzione di versi e di testi, non solo letterari, ma anche politici. Ai primi appartengono i contenuti della rivista Officina, edita, a metà degli anni '50 insieme a Pier Paolo Pasolini, ai secondi i topos di Lotta continua, di cui fu direttore,come i più noti Adriano Sofri e Gad Lerner. Non amò mai il proscenio, la rappresentazione con cui la vita si appalesa, le preferì la ridotta della sostanza grezza, che nobilitò, comune ad ogni spiritualità,immanente nel cosmo. Se ne è andato senza farsi accompagnare, per poi essere abbandonato. Forse proprio per questo ha riempito il piccolo mondo di chi lo conosce o lo ha solo ascoltato, nelle canzoni, senza sapere di chi si trattasse, delle sue grida solitarie.

Voci nel vento.

L'innocuo film che prende, fra l'altro, in giro molti aspetti dell' attualità e che può essere reperito sui social network e che tanta rivolta ha suscitato nei paesi arabi e mulsulmani, sembra girato con la tecnica economicissima della serie su Bruce Lee, un attore carateca scomparso e mitizzato in decine di film per sottosviluppati, un target evidentemente interessante del mercato cinemetografico. Gli attori sono stati reclutati fra i figuranti che affollano i vialetti di Holliwood, in attesa di una chiamata. Anche a Cinecittà, che ormai sta per essere venduta a società di catering o affittata per le feste del PDL romano o per i reality inqualificabili di Maria De Filippi, ottava moglie morganatica di Maurizio Costanzo, ad ogni nuovo ciak, si presentano studenti, dopolavoristi o lavoranti alla giornata. Con questo cast, un regista di film porno, a basso costo, a basso consumo e a basso circuito, ha realizzato una serie di immagini adatte a vellicare il riso, inconsapevole di tutto, di qualche caprone voyeur. Ci mancava solo che fosse ebreo perché il cocktail della stupidità rendesse ebbri gli astemi muslim. I diseredati credenti avvertono da tempo che l'arrogante potenza yankee, che li ha invasi, li sfrutta, li deride anche nell'unico elemento con cui ancora identificano il loro orgoglio, e reagiscono impugnamdo idealmente, anziché i bastoni che si vedono nelle immagini, la spada dell'Islam. In Libano, il Papa, protetto da cordoni interminabili di carri armati che lo accompagnano nelle sue peregrinazioni, parla ad una platea di cristiani maroniti e di musulmani, giovani e reclutati fra coloro che ancora hanno una prospettiva, degli studi in corso, cioè - ritengo - nella buona borghesia interreligiosa dei quartieri dove la dolce vita non è mai cessata, nei quali non è mai caduta, neppure per errore, qualche bomba e dove gli israeliani non hanno mai fatto capolino, durante le loro rovinose incursioni. A Beirut si rifugiò uno dei primi, romantici bancarottieri d'Italia, Felice Riva, che, ancor giovane, vi rimase per tutta la vita, inseguito da un mandato di cattura, mai eseguito, attorniato, a bordo piscina, da avvenenti fanciulle, come ce lo consegnanarono le pagine, in bianco e nero, di Epoca. Invita alla concordia, il Papa, le borghesie arabe e cristiane; meglio sarebbe stato se le avesse invitate ad una maggior concordia, collaborazione, perché dovrebbe sapere che, sussistendo sostenendi interessi, finché sussistono, cane non mangia cane. Nonostante la lezione di Ratisbona, diplomaticamente, la Chiesa continua a cavalcare l'accordo interreligioso con i musulmani più evoluti e regredisce dal dificile e, per me, insuperabile, dissidio dottrinario con gli Ebrei, ai quali tanto si era dedicato Woijtila ed al quale mostra di non credere il più sottile e competente Ratzinger. Solo la cultura laica e illuministica, che non piace ai cattolici e provoca rivolte inconsulte negli islamici, intolleranti ad ammettere che una democrazia possa essere agnostica, potrebbe costituire l'humus legale di una convivenza, con regole uguali per tutti. La Palestina e il Medio Oriente non sono più terre di Profeti, bensì di profezie istituzionali, non aliene da cospicui interessi. I Musulmani considerano Gesù un Profeta, non un innovatore del Vecchio Testamento, tale e quale, ma di rango ovviamente inferiore al loro Maometto, che dai primi quattro libri della Thorà trasse la sua dottrina. Per gli Israeliani, credenti e non credenti, sono, invece, entrambi, dei fanfaroni.

sabato 15 settembre 2012

Pradossi apparenti.

Cesare Romiti, il politico romano che Giovanni Agnelli preferì all'Ing. Ghidella come amministratore delegato della FIAT, ha affrontato da un'ottica non ortodossa per un dirigente industriale, il non compiutamente dichiarato abbandono della sua ex società del mercato nazionale. "quando una società automobilistica abbandona la progettazione, ha deciso di chiudere, anzi, è già morta. La colpa è stata dei sindacati che non hanno fatto niente per contrastare la dirigenza attuale dell'azienda. Tutti, tranne la FIOM". Nella dialettica sociale, inutile farsi illusioni, il sindacato è sempre stato utile, anzi necessario, ai padroni delle aziende più strutturate e di maggiori dimensioni. Ora, anzi, da un bel po', che, indebolito e senza prospettive,cerca di "codeterminare" ecc., contribuisce solo ad provocare dei guai. Diego Della Valle, il calzolaio, che sta facendo a sportellate con tutti e in ogni dove riesca a mettere piede, ha, a sua volta, attaccato la dirigenza della FIAT, il suo languido Presidente e il suo lanoso Amministratore delegato, rivendicandone la furbezza cosmopolita e rivendicando, invece, il suo orgoglio di essere italiano. Della Valle senior era già riuscito, nei mesi scorsi, a interrompere il processo di appropriazione - per conto terzi - di Cesare Geronzi dei Centri decisionali dell'economia ( Mediobanca ) e della finanza ( Assicurazioni Generali e anche banca Generali, da Geronzi voluta, come che Banca! poco prima, per ospitarvi i movimenti e i capitali dei suoi trecento mandatari, raddoppiati con Generali, che delle banche generaliste, per alcuni traffici non si accontentavano ), va adesso all'attacco della FIAT, nello sforzo di accreditarsi come l'astro nascente dell'imprenditoria nazionalista, anche dopo il diluvio. Luca Cordero di Montezemolo, che della Fiat è stato figlio bastardo, come del suo Presidente, ripetutamente provato in numerose imprese, nelle quali, addestrandosi, combinò dei disastri, replicati subito dopo in nuovi incarichi ( una spesie di Lapo, per intenderci, che almeno di vite, per eccesso di stimoli, mette a repentaglio solo la sua ) è insorto contro il suo socio nell'alta velocità e gli ha rimproverato il linguaggio poco consono ad un imprenditore e via balbettando. Le appartenenze, anche non dichiarate, le affinità, sono molto condizionanti nella nostra imprenditoria e ne determinano la feudale disarmonia. Da ora in poi, su Italo si divideranno anche gli scompartimenti: quelli di Luca Cordero manterranno le poltrone Frau, quelli di Della Valle, offriranno babucce griffate a chi le preferirà. Comunque i due soci, si divideranno i ricavi e li investiranno nei loro strumenti, con i quali alimenteranno nuove polemiche, stando però bene attenti a non farsi male. Purtroppo, l'imprenditoria italiana, sviluppatasi nel corporativismo fascista, si è poi adagiata nella tutela, nei privilegi e negli aiuti di Stato e non ha mai cambiato mentalità. Si è solo affidata ad alieni ambientali per trasportare altrove e, tendenzialmente, in nessun luogo, la ricchezza e, subordinatamente e se possibile, l'impresa. Gli imprenditori veri non risparmiano le parole e i toni, quando servono, ma soprattutto non lesinano le aggressioni finanziarie, le appropriazioni senza riguardi, la fagocitazione dei concorrenti, la pubblicità negativa, pur di affermarsi sui competirtors, in campagne di accumulazione di ricchezze che, anche se un giorno fossero da abbandonare, avranno già comportato accantonamenti per il resto della vita propria e dei propri discendenti. Il Governo tecnico chiederà chiarimenti a Marchionne. L'appuntamento è già stato accordato, i chiarimenti non sono necessari e, quindi, anche se verranno - e non credo - non saranno impegnativi. Accidenti a questi imprenditoruccoli litigiosi, dovranno aver pensato il Passera e la Fornero, che, per stizza, ha anche pianto, si facessero i cazzi loro senza crearci dei problemi, che non essendo politici, dopo le scontate dichiarazioni e le assicurazioni del caso, come per i terremotati di ogni contrada, lasceranno le cose come stanno. In questo, ha ragione la Camusso: dobbiamo aprirci agli investimenti stranieri nei settori che abbandonano l'Italia. Sembrerebbe un'ideologia di mercato, ma, parole a parte, su questo fronte continuano a rimbalzare.

Schegge.

Il Papa, a Beirut, afferma che un credente non può dare la morte. Se è una dicotomia morale, va bene, ma se è una tesi storica, è contraddetta dal codice penale vaticano che abolì la pena di morte solo nel 1965. Mastro Titta fa parte dell'iconografia popolare romana; era il boia pontificio. La chiesa ha ucciso ed è stata diplomaticamente complice di assassini, invoca la pace, ma ha fomentato le guerre. Le masse musulmane, composte, come tutte le masse, da disoccupati, sottoccupati, provocatori e tanti disgraziati senza senso che vivono di espedienti, si sfogano contro i feticci dell'opulenza che li ha invasi per sfruttarne ancora di più le risorse, mai comunque rivendicate e messe a loro disposizione. Le autorità pubbliche lasciano fare: l'ordine che loro tutelano non è in pericolo e, ogni tanto, ai disperati è utile dare uno scopo ideale, se gridano a loro favore, cioè della propria servitù. Roberto Formigoni, il "casto" sopranumerario dell'Opus Dei aveva messo la Regione Lombardia al soldo della profittevolezza di privati, eclusivamente, e avrà ritenuto normale che questi si sdebitassero con il dominus pubblico, garantendogli costosissime vacanze private. Si fa, infatti, così, in affari, lo si fa ordinariamente. Non di rado, ai committenti, se lo richiedono, si pagano escort e, nei paesi sottosviluppati del mondo, si fa anche di peggio. Ma è, comunque, un costume privato, fra privati cointeressati. Mi chiedo, a volte, se si tratti di cinismo, egoismo, cecità o, soprattutto di ignoranza, se, cioè, un grand commis pubblico - soprattutto se di estrazione cattolica - non conosca le caratteristiche del suo ruolo e faccia riferimento solo ai suoi personali desideri, ritenendoli la giusta ricompensa per il suo successo, per la sua elezione. Giovanni Favia scopre la democrazia a suo uso e consumo. Presumo che non ci fosse neppure all'atto della sua elezione in Consiglio comunale. Favia, come molti dei primi affiancatori di Beppe Grillo, viene dal mondo dei media e, in particolare, della pubblicità. La sua attività, però, non si è mai estesa oltre l'ambito locale e i suoi introiti sono sempre stati precari, così come, precario e non stabile è il contratto che, in aspettativa pubblica, lo lega a una sconosciuta società. Qualche servizio fotografico, su di un set di amici, lo faceva anche la sua spigliata sorella, prevalentemente per la biancheria intima, divertendosi parecchio. Quando il fratello entrò in politica, declinò le offerte, giustificandosi proprio in questi termini. Ora, il Favia, al suo secondo ed ultimo mandato, scopre le strozzature democratiche del movimento e sta per fondare un nuovo partito, "con migliaia di adepti" nella cerchia dei suoi amici. Facile presumere che sarà l'unico eleggibile al Parlamento e che si adopererà per favorire i maccheggi della sua personale coorte. Provincialismo emiliano. Conosco anche una banca che fa così. Matteo Renzi ha lasciato, senza dimettersi, Firenze e vaga per l'Italia da ieri, sopra un camper. Il grullo - ne ha l'aspetto - aspira a succedere, rottamandoli, agli occupanti delle strutture direttive di ogni faglia in smottamento di qualsivoglia movimento o partito. Sfrutta cioè lo spappolamento, ora più denso, ora più liquido, di una politica improvvisata a tutela degli sdrucciolevoli interessi economici e del sentore di qualche attenzione verso una galassia lavorativa, non più classe, non più identitaria. Probabilmente, lo ha intuito e, come tutti gli improvvisatori cerca di trar profitto, per un periodo congruo, dalle sue sceneggiate, non popolari, ma plebee. In italia, accade un po' troppo spesso perché non riveli la labilità del nostro costume civico. Tutto è affidato al caso, anche per questi giocatori d'azzardo. Anche Mussolini, secondo me, è da annoverare fra di loro; forse, la combinazione di eventi fu, per lui, ingestibile e il recupero, impossibile. Purtroppo, di Renzi, Casini, Grillo, Di Pietro, Occhetto e Berlusconi capitani di ventura con truppe reclutate al loro passaggio nei luoghi - spesso quando erano ubriachi, nelle bettole - non abbiamo mai scarsità, così come di cospicua disponibilità sociale. Non siamo molto diversi dagli islamici incazzati

giovedì 13 settembre 2012

Frammenti

Il premier tecnico, Mario Monti, dopo aver cassato l'art. 18, concedendo una gattopardesca e molto cattolica, riforma della controriforma, per consentire al PD di votarla, si è finalmente scagliato contro tutta la Legge 300 del 1970, che, invece, è una pietra miliare del diritto del lavoro, in quanto portò nelle fabbriche, più che negli uffici, il senso giuridco della dignità del cittadino lavoratore. Che, poi, il Cipputi, ma anche e, forse, soprattutto, il Signor Rossi, nobilitato dal senso giacobino della Riforma, se ne sia approfittato, è vero. Ma il testo non cambiò le condizioni meccaniche di sfruttamento connesse alla produzione industriale, né attenuò le gerarchie di fatto, basate sull'abuso, fra i lavoratori stessi. Ogni caratteristica privata, fosse familiare, sociale o personale, veniva enfatizzata nelle linee di montaggio, anche in senso metaforico, per mantenere il salario e diluire la fatica, l'umiliazione e la pena, perché questi sono stati e sono gli elementi immanenti di ogni organizzazione di produzione e sfruttamento, aggravatl dalla contesa miserabile, moralmente, fra poveri. Ma sostenere che vada abolito perché non consono alle esigenze di profitto di qualche Emiro, di qualche Maraja indiano o di qualche imprenditore cinese, tanto privi di conoscenze tecnologiche e di pratica lavorativa, quanto ricchi di soldi - proprio di quei dollari con cui si pagano le transazioni internazionali e con i quali l'Occidente si sta impiccando, secondo la tardiva e non apprezzabile ( quanto agli esiti ) analisi di Marx ( perché non sarà il comunismo a succedergli, perché i poveri alle loro catene sono affezionati, perché, infine, sempre i poveri non erediteranno mai la terra )è un'aberrazione culturale e morale. L'appiattimento produttivo, commerciale, estetico e morale, che il consumismo low cost ha prodotto - riproducendo i consumi esornativi d'élite, almeno economica - non può che comportare un corollario di nuovo servaggio, liberalmente abbandonato a se stesso. Gli Americani del nord sono un mix di cinismo, di violenza, di ingenuità e di arroganza. I loro stessi rapporti sono regolati, si fa per dire, da un diritto consuetudinario, la cosiddetta common law, in base alla quale, una giuria popolare, di questo anziché di quello Stato dell'Unione, può deliberare di non perseguire un imputato, sulla base di un sentire sociale e ambientale, impedendo al giudice togato, che, fra l'altro, è elettivo e quindi spesso incline a proseguire la sua carriera in politica ( non diversamente dai nostri, a dire il vero )di applicare i codici alle fattispecie. Dopo la celebrazione dell'11 Settembre, il giorno dopo, da parte di Al Quaeda libica, silente e dormiente, prima, come in Iraq, Obama e la cornuta Illary Rodha Clinton, non hanno saputo far altro che promettere giustizia per l'omicidio del loro ambasciatore, uno yankee bianchissimo, con un sorrisone da elettrauto, risultato piuttosto in tinta sui social network dopo essere stato cotto nella sua jeep, insieme a due marines. I marines, esperti nelle eliminazioni mirate, diventeranno duecento e cercheranno di limitare le azioni dei miliziani islamisti, che si valgono della collaborazione effettiva o omissiva della popolazione, che certo non può aver apprezzato, né può apprezzare, la presenza di invasori in armi, venuti da un altro continente, non come migranti in cerca di lavoro, ma come predoni di risorse geologiche. La scarpata ( mancata ) di un giornalista iracheno di fattezze e aspetto molto più civile ed evoluto, rispetto al grossolano Presidente Bush, è emblematica del comune sentire arabo verso questi alieni democratizzatori. Fu espresso solo in termini più moderati. La campagna elettorale incombe e si devono irregimentare i minoritari elettori d'opinione, mentre per le salmerie rappresentative degli interessi costituiti, ci sarà tutto il quadriennio successivo. Il Viminale, retto dall'ex Commissario al Teatro Bellini di Catania, al Comune di Bologna e al Comune di Parma, dopo aver fatto arrestare, senza che risultassero prove specifiche a loro carico, i componenti di alcuni nuclei anarchici, in seguito al ferimento di un dirigente industriale a Genova, ha comunicato, senza dettagliarlo, di avere apprestato un piano di contenimento e di repressione dei "torbidi" che la provocatrice Ministro Fornero aveva facilmente preconizzato fin dall'inizio delle sue vacanze liguri e che hanno conosciuto la loro prima espressione nello scontro romano fra trecento operai-attivisti dell'Alcoa, in procinto, a Natale, di finire in una grotta e settecento poliziotti mobilitati. La deindustrializzaizone italiana, che ha già provocato riduzioni sanguinose di personale per mantenere finanziariamente aperte molte fabbriche, ma che vedrà certamente chiusure entro la primavera prossima, inquieta il Governo e la sua Ministra baritonale, non per la miseria che conosceranno quelle famiglie, ma perché la legittima incazzatura conseguente non spaventi i mercati, così come spaventò, negli anni venti del secolo scorso, la pavida borghesia italiana, gli avidi agrari e i timorati timorosi. Talune espressioni contenute nell'intervista di Rigor Mortis cominciano a esplicitare - per chi non l'avesse ancora capito, che le cessioni di sovranità, sinergiche e coordinate ( fatti salvi i rapporti di forza e di ricchezza )costituiranno il processo costruttivo, predeterminato, di una entità che non sarà ancora politica, che non sarà equilibratamente economica, ma, apolitica e squilibrata, che dovrà mettere in condizione i Soci fondatori della costruenda società di agire indisturbati. Che nessuno, quindi, si azzardi a contraddirne la sorridente ( da squali ) evoluzione. Chi meglio del Prefetto Cancellieri. ministro tecnico di polizia, che minacciò gli orchestrali del Teatro comunale di Bologna, in sciopero: "non sfidatemi!"? Forse il Sindaco Cofferati che riuscì a farsi condannare per comportamento antisindacale. Sarà questa la coesione chiesta da Monti ai sindacati pochi mesi dopo averli estromessi, per sempre, disse, da qualsiasi forma di concertazione? Mala tempora currunt, quando si coprono, da parte di tutti, le carte per scoprirle a cose fatte e minacciando i generosi oppositori dell'Ideale, a cose (mal) fatte.

mercoledì 12 settembre 2012

Politica ecclesiastica.

Il Papa va in Medio oriente e, in particolare, in Libano, dove, a dire il vero i Cristiani maroniti non si comportarono encomiabilmente, quando, al soldo degli Israeliani, consumarono il massacro di Shabra e Chatila sugli Arabi, al posto dei loro committenti guidati sul campo da Ariel Sharon, allora Generale, ma non privo di senso politico. Il Papa è preoccupato per il rischio che le ormai endemiche violenze possano provocare l'abbandono dei cristiani di molti paesi mediorientali e azzerare l'influenza cristiana e cattolica in particolare in quelle zone, dove la predicazione di Cristo prese corpo, anche se si affermò politicamente sulle spoglie dell'Impero romano e sulla sua insuperata tradizione giuridica. Un cliente ebreo di alcuni anni fa lamentava, nelle sue considerazioni di israelita uomo della strada, che i Papi facevano politica. Il Sig. Muscetta non aveva studi profondi alle spalle, aveva fatto solo la quinta elementare e si era guadagnato da vivere come agente di commercio, ma parlava con assennatezza e proprietà per lo studio domestico della Torà e della Cabbalà, era polemico, cauto e rivendicativo riguardo alle trascuratezze dello sportello che, per un riflesso non controllato, a volte sospettava gli fossero rivolte, scusandosi poi per il pregiudizio e giustificandosi con la storia contrassegnata da persecuzioni degli Ebrei. Mi chiedeva se trovassi giusto che lui e i suoi duecento correligionari bolognesi dovessero andare in Sinagoga superando un presidio di polizia, mentre io, cattolico-romano, non conoscevo ostacoli alla mia professione di fede, almeno in questo Paese e se l'avessi professata. La sua valutazione sulla natura anche politica della Chiesa, dotata di un proprio Stato sovrano, era, secondo me esatta, azzeccata e anche il suo disagio di ebreo, non sionista, della diaspora, aveva un senso, non mitigato da una cultura che non fosse esclusivamente religiosa e anche un po' esoterica, anche se molto impegnativa sul piano mentale, che lo aveva certamente aiutato nel conferirgli un ordine e un criterio. Il Papa va in Medio oriente principalmente per curare gli interessi della Chiesa, attraverso le comunità cristiane e questo è lecito. Nell'invocare la pace, la concordia e il legame unitario delle locali versioni del Cristianesimo che, proprio in Libano, conobbe la costituzione delle sue prime comunità, ha un grande significato morale, culturale e di costume interreligioso, ma, come Lui certamente sa, ma non dice, non rappresenta una garanzia, né una meta immanente di tranquillità stabile. Ma non per questo, immanentemente, accetterebbe di veder svanire un approdo minoritario ma importante in una regione dove si concentra una delle tante partite di geostrategia, anche religiosa, fra tradizioni intrecciate, ma malamente avvertite come particolarissime e non da oggi. C'erano anche prima della predicazione di Cristo e, da allora, non hanno mai smesso di esserci.

Lo scontro fra la percezione che le civiltà hanno di sé e lo scontro fra i concreti interessi.

Riprende la guerra a distanza e con metodi non convenzionali, fra gli Stati Uniti, il grande Satana, e i miliziaiani dell'Islam combattente. Gli islamisti - più che gli islamici - non sono gli unici a rifarsi a terminologie guerresche in nome della religione. Anche nel mondo cristiano e cattolico, in particolare, non mancano i riferimenti bellici: i legionari di Cristo, gli angeli con le spade fiammeggianti, gli ordini monacali militari ( i templari ), i militi, le milizie cristiane a guardia dei confini del gregge, talvolta impegnati nelle riconquiste o nelle nuove evangelizzazioni, quando, all'epoca del colonialismo, si demandava agli eserciti cristiani la conquista e ai missionari l'evangelizzazione. Anche le Chiese nazionali protestanti hanno accompagnato l'espansione degli Stati di riferimento, ma sono rimaste, in gran parte, associazioni di diplomatici e coloni residenti o dei loro fiduciari, politici, economici ed istituzionali reclutati in loco e non si sono mai impegnate nell'apostolato massivo che le avrebbe poste in concorrenza con il potere statale, al quale si erano subordinate, in cambio del distacco dal potere centralistico romano, trasfigurazione ideologica del laico Impero romano e del successivo Sacro Romano Impero. Tutte le religioni hanno principi pacifisti, ma, nel corpo stesso della dottrina, prevedono, senza curarsi della contraddizione, spiccati principi che giustificano e incoraggiano la violenza, volta, ovviamente, a superiori fini benefici. Quando qualcuno non si vuol far convincere con le buone o quando gli interessi preesistenti non inclinano a farsi assimilare e fagocitare dai nuovi... In un certo senso, dunque, l'humus spirituale è il collante e il motivatore delle salmerie in campo, ma non la vera causa, bensì lo strumento diffuso di contese più mirate e specifiche. Per quanto attiene alla Libia e anche all'Iraq, la rimozione violenta dei dittatori laici che tenevano alle porte i movimenti armati come quelli di pensiero, ha aperto loro le porte ed importato i metodi terroristici nella vita di quelle nazioni. Prima, per così dire, il terrorismo era di Stato. L'indeterminatezza ideologica della Shaaria non è il nemico, o meglio è il nemico, inteso come esercito potenziale, composto, dovunque, dai credenti, ma le entità politiche e di potere che si contendono materie prime e influenze interetniche e familiari sono altre e non sempre sono pubbliche. I servizi diplomatici e di intelligence, invece, le conoscono. Aspettiamo le contromosse americane, certi che saranno anch'esse sanguinose.

martedì 11 settembre 2012

La famiglia..siamo noi.

Come nei notiziari cinematografici dell'Istituto Luce, il blog aziendale, non bannato, ci ha recato, in un profumo estivo di luoghi comuni e aperti, certezze e festosità. Le nozze, come fatto privato o come avvenimento pubblico, che comporta un coinvolgimento sociale, come istituzione religiosa o civile in concorrenza fra loro, sono fenomeni ricorrenti e crescentemente noiosi, ai quali mi sforzo di partecipare, come a qualche funerale. Eros e thanatos sono sempre correlati a effluvi di poesia, come le nascite del resto, poesia, ben inteso, ufficiale. Ho scoperto che anche noi - ma poteva essere altrimesnti? - abbiamo in area la nostra Evtushenko, poeta, non banale, del Cominform sovietico, aedo di corte, anche se io gli ho sempre preferito Majakovski che cantò la Rivoluzione, ma poi ebbe la dignità di suicidarsi. Alla nascita, al matrimonio ( riproduzione ) e alla morte, la trimurti o trinità della vita, simbolismo della materialità biologica, calendarizzate in scadenze convenzionali delle rappresentazioni claniche di ciascuno nella sua progressione, unitaria e diversificata, una, duplice e trina e multipli, non si era mai affiancata, nella mia esperienza, la dimensione aziendale, di squadra, di area operativa o commerciale di riferimento. Appare, quasi, come un raggio minore di luce rifratta della Famiglia proprietaria, nella quale l'assimilazione di ogni nuova consacrata ( le mogli ) avviene con l'attribuzione di un compito all'interno della ragnatela societaria, costretta nella quale potrà e dovrà agire conformemente alla trama. Nelle migliore tradizione feudale, in simbiosi con le costumanze bucoliche, il riflesso del prisma illumina anche i famigli, per acquisto diretto o per adesione matrimoniale, cum manu, per impossessamento, dicevano gli antichi Romani. Ho sempre avvertito la presunzione, aleggiante, di essere una specie eletta, all'interno della quale una passiva e stolida acquiescenza uniforme, prevedeva segretate punizioni per ogni accenno di contestazione, che doveva necessariamente rimanere confinato nella sfera individuale, ma la rituale influenza, rivolta a quelle tre donne, che capiranno in sede conviviale quanto siano state fortunate a coniugarsi con tre esemplari maschi della nostra Famiglia, quella che nel sacrificio celebra il suo rito collettivo, mi conferma nella mia originaria avvertenza. Che dire, poi, dopo averne accennato, dei figli della nostra Gens? Se la notoria malizia femminile avesse fuorviato i nostri tre maschietti, sappiano, le Fortunate, che non saranno ammesse diserzioni, che costituirebbero un vulnus alla coesione, più totalizzante che condizionante, della dinastia vicaria. Tanto lirismo, intriso di autoritarismo, in circostanze che potrebbero proporre, in autunno, una separazione in atto o una gravidanza evidente, casomai già nel filmino della cerimonia che ciascuna coppia dovrà partecipare, divertono ma anche inquietano per la cultura che comunque sottendono: una autentica convocazione, ovviamente fuori orario. Non tutti conoscono le spose...tutti le devono conoscere, speriamo non biblicamente, come in numerosi riti arcaici, ma, anche in questa evenienza, sarebbero sempre figli nostri e mater semper certa est. Si, si, tutto si sposa: se, dei clienti, ben 980.000, vogliamo sapere tutto, a maggior ragione, dei 5.700 dipendenti e pertinenze vogliamo e dobbiamo sapere tutto. Non tollereremo sedizioni, neppure domestiche. L'estate, spensierata e coniugale è finita, dopo una media di anni di vacanze brevi e di prova, siete mariti. Ne prenderete, ne prenderanno, ne prenderemo atto. In compenso ho scoperto una poetessa. E poi dicevano che il letterato della banca ero io. Chissà se avrà scritto per vanagloria, come me. Sono ancora intriso di sentimento, che un servizio fotografico - questa volta realizzato bene - mi porta in piazza, a Rimini, dove, abbandonate le tende, siamo arrivati con il camper. Prodi, Veltroni, Beppe Grillo e adesso noi. Molti mesi fa, lo dissi: ci manca solo una televisione per diventare un Partito, lo slogan è già pronto: Credem'a me! Sorrisi, magliette griffate, gadgets, promesse di buoni benzina e primi acquisti a carico nostro, successivi all'apertura di un nuovo conto ( mai nessuno che premi la fedeltà, come se fosse acquisita )e uno sfumare della rassegna verso il tramonto e l'illuminata bellezza delle architetture nella notte sopraggiunta. Quando si lavora con gioia non si sta certo a guardare l'orologio. Poche righe, chiosate dal solito saluto e imput di "buon lavoro!" chiarivano la strategia festaiola: la crisi della raccolta va contrastata con le sagre paesane, la professionalità, le tecniche, il ponderato consiglio sono da tempo remore; il cliente va carpito con la pubblicità, il rumore, il riso e l'informalità. Abbiamo bisogno - mi pare, per la decima volta in tre anni scarsi, di un incremento dello sforzo, a parità di retribuzione, sul fronte della raccolta - viene ribadito - per poi impiegarli - mi sembrerebbe normale e ovvio, se venisse spiegato anche a chi e in che misura. Canone segreto n. 33. Ma che importa, tutto questo, se si è una famiglia?

domenica 9 settembre 2012

Report.

Da quando mi hanno bannato dai Forum, cogliendo a pretesto l'emotività immotivata di qualche sfortunato, ma non risparmiato collega ( da chi si è erto a paladino dei suoi sentimenti, non da me che avrei voluto che gli fosse stata riservata un po' di più di considerazione concreta ) non leggo più il portale di propaganda aziendale. Ogni tanto, però, fra una schermata e l'altra, mi capita di rivedere i titoli e di rimembrare i contenuti, sempre ripetitivi, perché si imprimano bene nel primo strato della corteccia cerebrale, quella sotto la quale pochissimi si sforzano di scendere, perché vi trovano la consolazione dei luoghi comuni, che, proprio perché tali, "devono" essere veri a apportatori di gioia condivisa, o meglio, dispersa solidalmente nella socievolezza. Mentre ripercorro, con la memoria, i gloriosi scenari del nostro merito e dei nostri conseguenti successi e mi compiaccio di avere uniformato la mia condizione retributiva a quella "normalizzata" del dominicale sistema, parallelamente, il pensiero si biforca in tutt'altra sciarada. L'autocertificazione annuale di gravidanza che dovrebbe evitare scuotimenti e vibrazioni inutili dopo quelli necessari all'evento e che invece porterà le gravide colleghe a trasportare pesi, cartoni e a prodigarsi con la caviglie gonfie nella loro sofferta maternità - come da tante testimonianze riferitomi - è ricomparsa fra la precettistica. Chissà se, confidenzialmente, è anticipata ai convulsi - per la scarsità di tempo - tentativi infertili, prima che la scintilla della vita si accenda e la produttività ne risenta? Intravedo, su un angolo, un container e la formuletta che tanto disdoro ha procurato allo scrivente, prima a Casalecchio e, adesso, forse, in tutt'Italia, mentre, in medio, dove stat virtus, campeggia la Relazione semestrale alla comunità finanziaria di Adolfo, il nostro D.G. Non lo so, perché non l'ho letta, né ascoltata, ma la nostra tradizione mi conforta e il cuore me lo dice: quest'ultima semestrale è ancora più esplosiva di tutte quelle altre, pur pirotecniche, che l'hanno preceduta. In che senso, ognun valuti da sé. Probabilmente, la relazione di Adolfo deve essere un rito, un officio, al quale, convenzionalmente, non ci si può sottrarre, pena l'ostracismo ambientale. Deve, però, costituire un esercizio di fortezza e di pazienza, di simulazione compiaciuta. Nelle relazioni - tranne che nel nostro caso, ovviamente - tutto viene stemperato, giustificato, spiegato, alla luce di criteri tanto oggettivi da risultare falsi; molto più istruttivi risultano essere i dati rassegnati agli azionisti o ai loro rappresentanti, in sede di bilancio. Ribadisco, non l'ho letta, ma provo a immaginarne almeno uno stralcio, quello che ci riguarda come lavoratori: " I costi relativi al personale registrano un'accentuata contrazione, frutto di sofisticate interpretazioni anti premiali, alle sostituzioni all'impronta di ogni caduto sul fronte del lavoro e al minor spreco di energia elettrica per l'illuminazione degli ambienti, stante la lunghezza estiva del dì. La proattività metrica e chilometrica ha inciso efficacemente sui risultati, il costo dei carburanti da rimborsare è rimasto invece legato a quello corrisposto all'epoca del boom economico degli anni '60, al quale siamo sentimentalmente legati. Bassi costi, nessun diritto del Quarto stato, ricchezza ben assegnata, costumenze congrue a conservarcela, correlati precetti per le rozze maestranze. L'attività di raccolta, nostra quasi esclusiva propensione, si è consolidata attraverso forme di immobilizzazione che sono giunte ad associare, in qualità di donatori, alcuni clienti e quasi tutto il personale che hanno sottoscritto, in solido, le nostre obbligazioni. Ci siamo, cioè, costituiti, costituendoli, in pegno. Come dice? No, non faccia illazioni prevenute. Lo abbiamo fatto per far combaciare gli ingranaggi della nostra meccanica perfetta, per legarci in un fascio - direi - di comuni valori e di comuni interessi. Perché insiste? Ma le pare che noi, noi, siamo un po'a secco di liquidità e di patrimonio? Vogliamo, invece, espanderci, comperare, lucrare sulle spoglie di dismittendi rami di altre aziende, in area e con ideologie ostili ( Monte Paschi ). Insomma, Signori, in ottica conservativa - perché noi siamo conservatori di valori economici e dei loro corollari ideologici e morali - ce la caviamo, anche se la confusione inconcludente della democrazia capitalistica, alla quale noi ci opponiamo strenuamente dai nostri fortilizi, ci induce ad una frenetica attività di rattoppo, fino ad ora ben tessuta dai nostri onnipresenti manifattori. A loro, lavoratori del braccio, della mente e della gamba, propiniamo ogni giorno dosi omeopatiche di rassicuranti proclami e di incentivanti peana, che suonano, contemporaneamente, come incitamenti e come ammonizioni a non abbandonare la via della riproduzione di valutativi valori, mano a mano che si svalutano, per assicurarci l'immutabilità del nostro privilegiato status e del loro, succedaneo e privo di qualsiasi prospettiva di mobilità che non sia territoriale. Così tutti potremo essre felici, in beatitudine. Felix qui potuit rerum cognoscere causas. Ehm ehm, grazie per il contributo in latino, Collega dai tre cognomi". Questa è, come si suol dire, la verità della Fede. Invece, spero contingentemente. a me sembra che stiamo combattendo con le nostre ultime risorse e, nonostante questo, la propaganda di regime non attenua i suoi toni. Forse prorpio per questo. Basta che qualcuno si ammali - di solito lo fa sul lavoro per non dar adito a sospetti - perché il cassiere sostituto abbandoni il suo avamposto, prenda il treno o l'automobile e si porti sull'abbandonata trincea, anche se situata in altro Comune, a volte, anche in altra Regione. Di solito, queste forzature anticipano gli ultimi giorni di Pompei. Anche l'emissione di obbligazioni proprie non è un buon sintomo. Il Generale che cura la logistica è sempre collegato in tempo reale, anche quando è in ferie. Sul suo computer, una cliccata e ottiene la videata del fronte; un altro clic, seguito da una telefonata e uno sbandato/a prende i suoi vettovagliamenti e parte per la trincea deserta. La redditività di Adolfo e dei suoi 138 azionisti è sempre più minacciata: dev'essre questa l'alea del datore di lavoro, in balia della morbilità dei suoi strumenti, che, non più o non ancora sostituibili su due piedi, lo costringono a far occupare le basi del diamante aziendale ai suoi corridori territoriali. Al lucro cessante si sostituisce almeno il piacere sadico di rimirarli sul monitor mentre sfrecciano sul perimetro, in concorrenza con una palla che un motivatore cerca di far correre sempre più veloce. Nulla è contemplato al di fuori della salica regola che, quia absurdum, incanta i nostri riflessi. Così pensavo ieri, mentre lanciavo il frisbee al cane.