domenica 16 settembre 2012

Addii.

Roberto Roversi se ne è andato, insalutato ospite, come era vissuto. Un poeta. E' stato un letterato schivo, particolare che ha rifuggito la notorietà e la richezza, quando ha avuto la possibilità di afferrarle. Roversi ha messo in versi numerose canzoni di Lucio Dalla e del complesso che aveva creato a Roma, durante la sua esperienza da discografico: gli Stadio.E' stato cremato oggi. Era nato il 28 gennaio 1923, l’anno prossimo avrebbe compiuto 90 anni. Per desiderio dei familiari l’annuncio della scomparsa è stato dato solo ieri. Sempre per volontà di Roversi non ci sono state cerimonie, né pubbliche né private, né commemorazione né camera ardente. Roversi viveva con grande riservatezza nel centro di Bologna e ancora fino a poche settimane fa lo si poteva incontrare tra le strade storiche della città assieme alla moglie Elena, accanto a lui, sempre. Tra i più importanti nomi della cultura italiana, ma quasi ignorato dagli Italiani ( un'altra caratteristica minore del nostro Paese ) era stato amico e collega di Pasolini, e di Leonetti, come vicinissimo era stato a Lucio Dalla con cui aveva creato tre dei primissimi album nei primi anni settanta: Il giorno aveva cinque teste (1973) e Anidride Solforosa (1975) e Automobili (1976). Fu tutto, Roberto Roversi. Partigiano, antiquario, libraio, giornalista, scrittore, paroliere di canzoni, macchina teatrale. Fu poeta soprattutto, e coscienza critica di un Paese che, attraverso i suoi occhi, tristi come la più impervia delle salite, ha visto crescere e deteriorarsi, dal fascismo alla berlusconizzazione, con tutto quello che in mezzo c’è stato. E soprattutto il dolore, nel giugno del 2007, la perdita del figlio, Antonio, sociologo e professore ordinario all’Università di Bologna. Avrebbe potuto avere soldi e fama, ma non volle mai niente. E, negli ultimi mesi di vita si è fatto promettere dalla moglie che, quando quel giorno sarebbe arrivato, non ci sarebbero stati funerali, né pubblici né privati, nessuna commemorazioni o ricordo: “E’ tutto lì, in quello che ho scritto”. Visse in un quasi maniacale, ma mai scorbutico, silenzio, nella sua Bologna, e quando sul tavolo aveva offerte dei più grandi editori, lui fece quello che nessuno si aspetta che altri faccia: si mise a scrivere su carte da fotocopiare e distribuire a chi gli andava a genio, al massimo avrebbe concesso qualche firma su riviste autogestite. La sua vita è riassunta nella poco nota produzione di versi e di testi, non solo letterari, ma anche politici. Ai primi appartengono i contenuti della rivista Officina, edita, a metà degli anni '50 insieme a Pier Paolo Pasolini, ai secondi i topos di Lotta continua, di cui fu direttore,come i più noti Adriano Sofri e Gad Lerner. Non amò mai il proscenio, la rappresentazione con cui la vita si appalesa, le preferì la ridotta della sostanza grezza, che nobilitò, comune ad ogni spiritualità,immanente nel cosmo. Se ne è andato senza farsi accompagnare, per poi essere abbandonato. Forse proprio per questo ha riempito il piccolo mondo di chi lo conosce o lo ha solo ascoltato, nelle canzoni, senza sapere di chi si trattasse, delle sue grida solitarie.

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