venerdì 30 novembre 2012

L'opera da tre soldi.

750 euro di riconoscimento economico per 25 anni di servizio=30 euro all'anno. Non sono riusciti a licenziarlo, quando ci hanno vergognosamente provato, per sbarazzarsi di un tutelato di legge e lo dileggiano così, in carta pergamenata riciclata. Eppure, nei lazzi dei frustratissimi colleghi, non si è saputo rilevare altro che le sue assenze, ergo, il "vantaggio" che la sua condizione ha comportato per lui, rispetto alla loro. Lavorare, come dei servitori al Credem'a me contempla una perdita secca, nel corso della vita lavorativa, di 20.000 euro, pari alla somma standard del premio di fedeltà venticinquennale, trentennale o trentacinquennale, divenuto prassi dei Contratti integrativi aziendale di tutte le altre banche e banchette. Dimenticavo, al Credem'a me, il contratto aziendale è individuale e pattizio. Lavorare, come delle trottole, senza scopo e senza obiettivo che non sia una continua reiterazione del volano dei profitti, dentro il quale la fatica, anche fisica, è solamente l'elemento catalizzatore, comporta dei riconoscimenti economici, esclusivamente per la combriccola azionaria tradizionale, di una provincia che, con padroni di questa meschinità, è stata la punta di diamante, pur così piccola, dell'insurrezionismo storico emiliano ed italiano e che deve solo ad una sperimentata amministrazione una buona distribuzione del reddito prodotto, mentre ai poveri operai della Vigna, che non berranno il vino, è solo e sempre ammannita una retorica del successo e dell'eccellenza del risultato prodotto. Questi poveracci non prendono e non prenderanno mai il Premio di Rendimento e il Premio di Produttività, stimabile, su basi medie, in 6.000 euro all'anno. Forse non prenderò più, quello ereditato da Unicredit-Banca di Roma, neanch'io, ma ne ho goduto, senza tentativi di scippo, per ventotto anni. Siamo i primi, nessuno è come noi!! Noi chi? Eppure, sostanzialmente in nero e proporzionalmente a quanto riescono a spremere alle maestranze, pur travestite, ma sempre di rango inferiore e diverso, non manca chi si vende. E' da questa razza degenerata di persone, di aridi sentimenti e di materialistica sensibilità, che viene contagiata la piccola borghesia impiegatizia, che trascina la sua vita ai limiti della più essenziale amministrazione familiare e che, proprio da questa condizione, trae le sue autogiustificazioni morali. Eppure, sostanzialmente in nero, tanti si vendono, nel mercato ristretto delle infatuazioni carrieristiche, di una maggior larghezza di possibilità, contraddette dalla fatica e dallo stress imposti con calcolato egoismo. Questi Paria, senza patria, provengono quasi tutti da dismissioni di altre aziende di credito o si sono fatti suggestionare da un ingaggio superiore e da un buon inquadramento ( riservato esclusivamente ai già Quadri direttivi ) e si trovano ora a sovrintendere a mercati e punti di vendita, dopo aver servito a domicilio aziende cittadine e del territorio, pedibus calcantibus, per risparmiare sui mezzi propri. Per questo, pur avendo un orario di massima e consentendosi alla mattina una levata più confortevole, invecchiano in azienda, misurando le forze calanti col progredire dell'età. Eppure, sotto l'egida spirituale del Cappellano aziendale, si spogliano delle loro facoltà legali, con private denudazioni ed abbandono delle mansioni superiori, per indossare, in fine di carriera, il saio del francescano cassiere, dividendosi, talvolta, fra due diverse aree organizzative. Eppure, nessuno denuncia, nessuno protesta. Si dice che qualcuno ci abbia provato dopo aver dato le dimissioni che, essendo rallentate moltissimo in questi tempi di mercato commissariato ( alla faccia della libertà d'impresa ) provocano sussulti di egoismo negli apparentati azionisti del Credem'a me e nei loro picadores, i cui benefits sono proporzionali allo sfruttamento degli amministrati, sguinzagliati a tener riunioni carbonare, cioè dopo l'imbrunire. I tardivi pentiti del sistema evasivo dei contributi - su quello delle tasse si è ripetuto, sottolineando di averlo già fatto ripetutamente, l'Adolfo reggiano, dopo che sono state bannate, ad opera di alcuni, ma non di tutti, le mie pubbliche repliche e dimostrando, a prescindere, di essere non solo un arrogante, ma anche una persona di non eccelso intelletto, che si rivolge, inconsciamente, agli azionisti mentre propone le sue tesi ai lavoratori normalizzati, come se non si fosse trattato di volgare evasione -, speravano, nella loro plebea bulimia, di recuperare qualcosa in sede di diritto, ma, giustamente, il "ravvedimento" non operoso non sarebbe stato utile a sancire un cambiamento stabile nei comportamenti dell'imprenditore e dei suoi poveri manutengoli e il giudice, nei termini e nei modi proposti, non li ha accontentati, perché , Credem'a me, avevano, consensualmente, violato la legge. La Banca d'Italia, nell'ultima ispezione istituzionale presso il Credem'a me, ha rilevato come "non si giustifichi più la ridottissima e ristrettissima "reggianità" della proprietà che, oltre a due ( su quattro ) rampolli di Achille Maramotti, comprende altri 138 soci "forti" e 3.000 "piccoli" azionisti, tutti reggiani o di origine reggiana. Oltretutto, questi provinciali, se non avessero avuto bisogno di acquistare la Banca Euromobiliare, per specifiche evasive operazioni, non sarebbero stati neppure trascinati in Borsa da quest'ultima che vi era già quotata. Il Credem'a me non è entrata nelle "blue chips", per i suoi numeri, effettivamente eccellenti, ma riservati solo alla combriccola azionaria, per il limitatissimo flottante, che ne impedisce l'altrimenti agevole acquisizione. Qualche servatorucolo abituato, ne sono certo, si sente "tutelato" da questa ulteriore anomalia che pone il Credem'a me nell'ambito della entità non bancarie, se non formalisticamente, mentre il fortino protegge solo, oltre ai proprietari, gli ammanicati componenti della coorte. Non credere, o popolo alla banca meritocratica. La tua è una banca clientelare all'ennesima potenza, un Viagra per pochi intimi. Una banca, ormai nazionale, dovrebbe aprirsi alla managerialità multietnica ed a regole contrattuali che l'A.B.I. sottoscrive anche per suo conto, alle prassi sindacali mutilaterali, anche se, possibilmente, unitarie, che, i tribunali continuano a sancire nonostante un attacco che il Credem'a me ha anticipato di generazioni, restando immobile e ristretto nei suoi usi padronali. Una banca con i numeri del Credem'a me dovrebbe uniformarsi ai criteri retributivi vigenti in tutti gli altri Istituiti di credito - se non fosse un Privé - rispetto ai quali, costituisce una realtà anomala e unica. In essa, le quiete maestranze che, se scioperassero, sciopererebbero anche contro l'affidata e affidataria clientela, si impettiscono in un ruolo immaginario, dentro un dedalo di acronimi. Se si trovassero ad operare nell'ambito di organizzazioni aziendali complesse e mastodontiche, soffrirebbero dell'improvviso anonimato, protetti, invece, dal quale, potrebbero godere di carichi e ritmi di lavoro rispettosi del loro decoro, guadagnerebbero di più, non dovrebbero preoccuparsi di comunicare se sono in coma al disciplinatore dei luoghi vacanti, avrebbero degli orari di lavoro, degli straordinari da recuperare o farsi retribuire, un inquadramento con dei compiti specifici, dei criteri condivisi fra le parti riguardo alla vita aziendale ed ai provvedimenti disciplinari. Smetterebbero di riunirsi, al solo scopo di farsi indottrinare, dopo una faticosa giornata. Avrebbero una rappresentanza sindacale da scegliere e, attraverso le assemblee e il volantinaggio, gli scioperi e, soprattutto, il contatto costante con i propri rappresentanti eletti, darebbero un senso, anche per sé, alla loro opera. Non sarebbero più un mero strumento della proprietà. Bisogna purtroppo notare come questo costume, che pur sopravvive, si sia attenuato anche nelle altre banche e che l'affievolirsi dei diritti e della loro proposizione ha provocato, in parte, il declino di un modello contrattuale molto evoluto che è regredito in forme produttivistiche, meschinamente reddituali, riducendo all'osso la natura principale del Credito: il servizio. Nonostante ciò, il Credem'a me, che non è una banca, ma un Cenacolo nel quale le maestranze sono dei famigli domestici e sono i servi della associata clientela, si è sempre estraniato e si estrania, da ogni prassi e pratica bancaria, da ogni forma, anche strumentale, di solidarietà di sistema, tanto che non aderisce neppure al Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito degli esodati o differiti previdenziali che preferisce levarsi di torno con accordi privati individuali, tanto poco trasparenti, quanto, conseguentemente, poco garantiti. Fuori dai suoi canoni, funzionali e subordinati ai suoi interessi, il Credem'a me non conosce regole comuni e, proprio per questo, può valersi dell'appiattimento e dell'invidiosa testimonianza dei suoi ablati subordinati, perché anche la schiavitù, per chi non è avvezzo a cavarsela da solo, può rappresentare un rifugio

martedì 27 novembre 2012

Quando l'ipocrisia non serve più.

La proprietà dell'ILVA di Taranto, che per trent'anni, consapevole, ha raccolto profitti e seminato tumori in una percentuale superiore di un terzo a quella nazionale, ha reagito alle incriminazioni dell'erede di tanta ricchezza ed a quella del collateralismo amministrativo, politico e finanche spirituale, con il contributo, per l'ordine "costituito" di un poliziotto, con la serrata, che la Costituzione espressamente vieta, a differenza dello sciopero, avendo individuato in questo atto, ricattatorio ed intimidatorio, uno degli strumenti più violenti della proprietà. Sfavilla che, privati del loro meccanismo accumulatorio e senza complicità, aiuti pubblici, sconti e favori, la fulgida proprietà che ha dato da mangiare companatico inquinato alle sempre numerose maestranze ai cancelli, non sa, non può, non vuole pagare di tasca sua, una parte di quanto impropriamente e, in questo caso anche criminalmente accumulato. La figura del prefetto Ferrante, candidato del Centro sinistra alle elezioni comunali di Milano, appena andato in pensione dalla sua carica pubblica e sconfitto dalla Moratti e subito riciclato all'ILVA, spicca come una figura di vetusto mercante in un quadro di Bruegel. A compattare in una formazione monolitica, proprio chi è sempre pronto a piombare come un avvoltoio sulle difficoltà altrui, è stato necessario un atto dovuto di un'entità che in questo caso ha saputo essere super partes, nella tutela delle condizioni di vivibilità. Eccoli, dunque, attraverso la reazione ufficiale della Confindustria, non vergognosa di prendere le parti di simili malfattori - troppi altri ce ne sono - e del suo quotidiano tecnico, che sono insorti contro i Giudici di tutti, quindi non i loro, nel nome della "libertà" d'impresa che, se fosse questa - e purtroppo lo è - non meriterebbe menzione, né considerazione. L'accozzaglia imprenditoriale italiana non è in grado di affrontare nessuna crisi senza cancellare leggi e contratti, oltreché senza evadere le imposte. Del resto questo è il senso del patto sulla produttività del quale le composite e confuse rappresentanze politiche, sindacali e sociali che hanno prestato il loro consenso, dato che il loro contributo non è stato richiesto, costituiscono l'amalgama fluido, impegnato in parziali e continue modificazioni camaleontiche d'aspetto che ne permette, trasversalmente, come si suol dire, il mantenimento. Venisse meno la palude, da quella parte, del privilegio irresponsabile e insensibile, ci si potrebbe aspettare ogni possibile prepotenza, se non riuscisse a trovare accordi mediatori e diluitori. Di fronte a questi molluschi morali, non per loro valore, ma solo perché di fronte alla disoccupazione, sta la coscienza che in questo momento e per ora, hanno acquisito le maestranze dell'ILVA. Non la coscienza civile: a quella buona parte di loro, fomentati attraverso scioperi vandeani, avrebbe abdicato per quella vita temporalmente possibile, alle condizioni, che il padrone riteneva confacenti ai suoi profitti. Sulla dignità civile devono continuare a vegliare i giureconsulti di Taranto, che sono stati i soli, fino ad ora, a fare chiarezza nei miasmi cittadini e verso i quali non va rivolta nessuna accusa impropria. Hanno adempiuto al loro dovere, nell'ambito delle loro competenze. Non è sul loro fronte che è mancata la responsabilità...verso il bene comune.

domenica 25 novembre 2012

Stagioni.

La primavera egiziana ritorna in piazza dopo l'autoattribuzione di infallibilità del Fratello( mussulmano ) Morsi, che, valendosi della comune affiliazione con Hamas, ha ottenuto e garantito la tregua fra lo Stato di Israele e i miliziani e ha ricevuto, come Mubarak, l'alto patrocinio degli Stati Uniti. Il rischio di un'ulteriore involuzione è reale per la presenza fra i dimostranti di gruppi confessionali, ma, considerato che sono appena usciti da una trentennale dittatura, se i manifestanti non demorderanno, è possibile che gli Egiziani si possano progressivamente abituare alla democrazia, che non è un punto di arrivo, una volta per tutte, ma un continuo cammino.

sabato 24 novembre 2012

Declinazioni.

Da tempo, anche se ce la cantiamo, suoniamo e balliamo fra di noi, abbiamo abbandonato le velleità competitive sulla tipologia e sulla qualità dei prodotti e abbiamo puntato tutto sul basso costo del lavoro, che, conseguentemente, si è rivelato monocorde e schematico. Per poter competere efficacemente sui costi, dobbiamo riferirci a quelle realtà dell'imitazione asiatica o alle retribuzioni e agli orari di quei paesi che sperimentano l'economia post bellica, dopo una sconfitta. Le condizioni che la FIAT ha imposto agli operai serbi della ex Zastava sono le stesse che ha spuntato a Pomigliano D'Arco. L'unica differenza è costituita dagli stipendi, sui 1.200,00 euro, contro i 300 dei fieri cetnici, costretti allo sfruttamento. Ma i ritmi e i tempi del lavoro tayloriani sono gli stessi che, nel Gruppo FIAT nazionale si ammortizzano con la cassa integrazione, la scarsezza delle maestranze e gli straordinari non pagati, essendo venuta meno la vigilanza della CGIL, espulsa dalle fabbriche. Nel mondo dei servizi, la gara è al maggior servilismo verso i reddituari timorosi dello spread e verso gli scarsi avventori delle rivendite, talvolta serviti a domicilio. Se possibile, si cerca di fidelizzarli con tessere, sconti dichiarati, che devono comunque comprendere un surplus per il venditore, con i budget meschini che comprendono un lauto guadagno per la piccola coorte dei proprietari e una stentata retribuzione per i promotori alle vendite. Ci sono ambiti e ambienti che, proprio perché non legati strettamente e direttamente alla produzione, sono più irretibili nella tela del ragno padronale; nelle banche, in particolare, anche se molto declassate in professionalità, retribuzioni e livello contrattuale, si riesce ancora a far indossare una livrea ideale a un numero grottesco di persone. Il lavoratore dipendente odierno e lo schiavo antico sono, in ordine inverso l'espressione dell'evoluzione Smithiana e Malthusiana, nei rapporti di produzione. Per comodità d'esposizione, li chiamerò d'ora innanzi, il padrone e lo schiavo. Il padrone e lo schiavo sono uniti da un bisogno economico reciproco che tuttavia non affranca lo schiavo perché, nel rapporto fra padrone e schiavo, il padrone "non pone" il bisogno che ha dell'Altro; egli ha il potere di soddisfare questo desiderio e non ne fa oggetto di mediazione. Viceversa, lo schiavo, nel suo stato di dipendenza, per speranza o per paura, interiorizza il bisogno che ha del padrone. Anche se l'urgenza del bisogno fosse pari in ambedue, tornerebbe sempre a favore dell'oppressore verso l'oppresso. Rifiutare di essere l'Altro, rifiutargli la complicità, significherebbe rinunciare a tutti i vantaggi che porta con sé l'alleanza con la casta superiore. Il "sovrano" proteggerà materialmente lo schiavo e ne "giustificherà" l'esistenza. Certi polpettoni sindacali attuali, rappresentano, in termini demandati e mediatori, il ping pong servo-padrone. Sottraendosi al rischio economico, lo schiavo scansa il rischio, per lui metafisico, di una libertà che deve creare i propri fini senza il concorso altrui. In realtà, ogni individuo, oltre all'esigenza di affermarsi come soggetto, che è una esigenza etica, porta in sé la tentazione di fuggire la propria libertà e di tramutarsi in "cosa"; è un cammino nefasto, perché passivo, alienato, perduto, in cui l'individuo entra nel gioco di volontà estranee, è scisso dalla propria trascendenza, spogliato di ogni valore. Ma è un cammino agevole; si evita così l'angoscia e la tensione di una esistenza autenticamente vissuta.

venerdì 23 novembre 2012

Le buone ragioni.

Questa settimana mi hanno particolarmente colpito tre fatti, apparentemente scollegati, che invece fotografano, secondo me, una uniforme realtà umana. Il cappellano del carcere di Opera si era fatto, da anni, un harem di giovani detenuti extracomunitari, in cambio di piccoli beni di conforto e del conforto dei suoi buoni uffici per farli uscire prima o temporaneamente dal gabbio. Al subdolo delegato ecclesiastico deve esser sembrato conforme che i beneficiari gli ricambiassero il conforto, anche con pratiche rapide, che consumava nel suo ufficio a miracolo avvenuto, influenzandoli circa o, forse, detenendo un effettivo potere di modifica dei provvedimenti che costituivano per i malcapitati l'alternativa fra beneficio o vendetta. Poi, sotto ricatto, liberati dalla galera, ma non affrancati dalla schiavitù nei suoi confronti, li ospitava in casa sua per continuare ad abusarne. La pratica utilitaristica che sfruttava la costrizione degli oggetti potenziali di una modifica esistenziale molto parziale, li affossava nell'umiliazione di una scelta che non pareva frutto di una violenza, solo perché non era fisica, ma squisitamente morale. L'evoluzione del fenomeno, diffusissimo nelle carceri, come anche il cappellano certamente sapeva, fin nei dettagli, attraverso le confessioni, si fondava sulla pervicace riconferma della sopraffazione, quale unica e ricorrente espressione del potere, anche quello che si ammanta di carità. L'ebreo Mimun,nel suo telegiornale ci ha fatto sentire uno spezzone di predica ai detenuti del loro Torquemada, nel quale lo si sentiva affermare "che siamo tutti qui per espiare il nostro peccato, quel peccato di cui tutti siamo vittime e protagonisti e che ci rende uguali come uomini". Interessante l'esegesi del testo, al quale, forse, l'ecclesiastico aderiva, in cuor suo, sinceramente. E' la sovrastruttura morale, culturale e interpretativa a rendere ambigue le parole. La seconda riguarda il trattamento che due poliziotti in borghese hanno riservato ad un ambulante motorizzato che non si era scostato prontamente alla loro intimazione di farsi da parte per farli passare. La fretta non doveva essere eccessiva se hanno avuto il tempo di rincantonarlo, tumefarlo di pugni, fino a farlo svenire, per poi sbatterlo contro il guard rail, non appena si è ripreso e prima di continuare il loro viaggio. Per fortuna, un altro automobilista ha annotato la targa dell'auto civile con la quale si travisavano e ha fatto denuncia, provocando l'identificazione dei responsabili da parte di altri poliziotti, sarebbe potuto avvenire anche a parti invertite. Il testimone, lo avrebbe fatto anche se avesse assistito alla stessa scena, interpretata da uomini in divisa, scesi da una auto ufficiale? Ovviamente, è stata addotta la delicatezza della missione in corso, che l'impudente si era permesso di rallentare e che, per questo, lo aveva visto pestato secondo gli usi e i costumi tipici della malavita. Chissà qual'è la loro sensibilità verso i manifestanti quando sono in servizio di ordine pubblico? Il terzo riguarda la sottoscrizione parziale del testo proposto dal Governo e chiamato "patto di produttività". Già dall'intestazione si evince che non si tratta di un contratto, di una norma obbligatoria per i sottoscrittori, ma di un compromesso fra due parti, l'impresa e il sindacato, a scapito dei lavoratori. Questo accordo, infatti, chiede a chi lavora, ancora più orario in cambio di ancor meno salario, perché, è elementare, se aumenta l'orario di attività in rapporto ad un'invarianza di retribuzione, il valore del lavoro viene diminuito, svilito e solo la propaganda conquistatrice può avere l'impudenza, nel silenzio delle controparti ormai associate al sistema, di affermarlo. Il motivo di questa illogicità non può che risiedere, coerentemente, nella stessa ragione, per la quale, conosciamo oggi e di colpo, un feroce sistema pensionistico, la massima flessibilità del lavoro, i più brutali tagli all'istruzione pubblica e allo stato sociale e la pretesa che tutto questo sia solo l'inizio e che i successori dell'attuale compagine "tecnica" - probabilmente di centro-sinistra - procedano sulla stessa falsariga. Ne consegue: se l'Italia deve sottostare ai drastici vincoli dei patti di stabilità europea, che non compromettono l'equilibrio dei Paesi del nord Europa, né migliorano l'empirico e classista sistema inglese, della banche, della finanza mistificatrice dell'evasione fiscale, della moneta unica artificiale, dei Governi conservatori, se il sistema delle imprese vuole incrementare i margini di profitto, nonostante la crisi, allora è chiaro che l'unica leva che rimane, l'unica reale flessibilità , è quella che riviene dal supersfruttamento del lavoro. Queste macro evoluzioni del sistema si ammantano di ufficialità fascinosa, di dottrine elaborate da chissà quali intelligenze e competenze e, invece, sono la copia, neanche bella, della propaganda familistica della mia aziendina di pianura, tradiscono la famelicità appropriativa di piccole e grandi dinastie della "roba". Tutto questo non ha nulla a che fare con la difesa dell'occupazione, ma solo con quella dei profitti. Anzi, la disoccupazione, quanto più selettivamente estesa, è indispensabile per cercare di indurre i lavoratori a piegarsi al supersfruttamento. La disoccupazione, che è la sotto occupazione di chi lavora, deve rimanere e crescere, altrimenti il modello non funziona, come testimonia da sempre l'andamento ambivalente delle borse valori. A tal fine, il Governo mette a disposizione la riduzione delle tasse, Leviatano del padrone, che, per altro, provvede con tutti i mezzi ad evaderle da sé, solo per il salario flessibile. Mentre alla maggioranza dei lavoratori viene calata la paga, una minoranza può mantenere il potere e, attraverso di esso, continuare ad arricchirsi e a rendere ancor pià coeso il collante del potere stesso. Se solo i lavoratori, anche quelli che presumono di essere i più acculturati, sapessero esercitare una critica, non difficile, ai provvedimenti univoci ed uniformi che si succedono, saprebbero individuare le modalità, in una forma o nell'altra, della loro depredazione e l'applicazione preventiva del modello da parte dei loro padroni-imprenditori. Si configura un modello di selezione sociale, con non sfumati contorni eugenetici. E' la risposta demistificata di Monti e degli interessi classisti che rappresenta, interessi che impongono una svalutazione sociale del lavoro sempre più brutale e, mano a mano che viene accettata, palese. Questo apparato sociale che presto prenderà o - spero - tenterà solo di prendere le forme della reazione revanchista più tradizionale, si appoggia su di un sistema corporativo di caste e di interessi, burocraticamente organizzati. Tutto il sistema delle imprese, comprese naturalmente le cooperative e le aziende strettamente legate al Partito democratico, ha sottoscritto subito e con mal celato entusiamo, il testo. Tra i sindacati, i firmatari sono tutti coloro che hanno già sottoscritto le stesse condizioni alla FIAT, ricevendone in cambio la facoltà di sopravvivere, protetti dal padrone, ma cambiando natura. Non è avvenuto solo alla FIAT. La CGIl, che non ha sottoscritto ancora l'accordo, ma annaspando in un mare di contraddizioni e di incertezza, non ha ancora costituito un'alternativa al cedimento differito, che non esclude, anche se, ovviamente, non lo dichiara. Tante volte vi ha ceduto e vi ha acceduto, anche nel recente passato, ingannando coloro che in buona fede avevano aderito alle sue manifestazioni. Il bivio dei contratti è lo stesso della politica. La pseudo sinistra trasformistica ha già deciso di far finta di voler "superare" Monti, mentre continua a sottoscrivere tutti gli impegni assunti dall'attuale Governo. Solo i gonzi possono illudersi che interessi in alternativa possano convivere, senza subordinarsi a quelli più forti. Per tutti gli altri, si tratta solo di impotenza, all'interno delle strutture nelle quali si sono ormai accomodati o aspirano ad accomodarsi e di ipocrisia. Sul futuro non mi spendo. I soggetti sono fisiognomicamente trasfigurati e, forse, originali. La crisi indotta e coltivata, ha prodotto delle soggettività che prima non si manifestavano. Anche se non ne conosco i connotati, che sono anch'essi in gestazione, sono con loro con tutto il cuore.

domenica 18 novembre 2012

E verrà un uomo.

Il mondo dell'esegesi, ebraica e newyorkese, in questo caso, continua ad approfondire una tesi che individua le radici ebraiche di quel fenomeno di successo mondiale che ha preso, decontestualizzato, il nome di Cristianesimo. Il Cristianesimo, per altro, ha sistematizzato i suoi connotati telogici solo dal Cinquecento, dopo contese acerrime che non si sono limitate solo alla dottrina. La cristologia, per questi Ebrei, non esiste come fenomeno originario, ma è, invece, ben nota e sviluppata nell'ambito delle non uniformi tradizioni dottrinarie ebraiche, da apprezzarsi ed analizzarsi nel loro contesto di produzione, molto dialettico quando non conflittuale, del tempo, cioè, in cui il Gesù storico visse, ebreo fra altri ebrei, in Palestina. Questi studi incontrano delle difficoltà di divulgazione in parte dei Paesi cristiani e vengono veicolati da intellettuali ebrei, cittadini di questi Stati. In italia, in questo ambito, si è impegnato Corrado Augias. Gli approfondimenti trovano terreno fertile nei paesi multireligiosi, multietnici e multiculturali, mentre suscitano diffidenze e fastidi quando vengono proposti nelle realtà monofideistiche, anche se sono poco praticate e anche da chi le rifiuta. Le analisi testuali del newyorkese Daniel Boyarin, lo hanno portato a concludere che le idee e le pratiche del movimento cristiano possono essere interpretate, con certezza, come parte integrante delle idee e delle pratiche dell'ebraismo coevo. Le idee della Trinità e dell'incarnazione erano già presenti tra i seguaci del credo ebraico, molto prima che Gesù si presentasse sulla scena per incarnarne le nozioni telogiche e per rispondere alla chiamata messianica, alla quale alcuni ebrei credettero e altri non. Boyarin non è uno stravagante, è solo l'ultimo, in ordine di tempo ad affrontare l' argomento in termini squisitamente culturali, lontano dai sacri suoli e dai sacri templi che, per quanto riguarda l'ebraismo. sono luoghi di culto ma anche Accademie e Symposi e non luoghi di potere. A cambiarne, ma solo in piccola parte, la natura è intervenuta la creazione del laicissimo Stato di Israele, la cui compresenza pone questioni di competizione identitaria. Il retroscena ebraico del cristianesimo delle origini, sorto in terra d'Israele è attestato dagli stessi Vangeli, intesi, invece, nell'interpretazione delle Chiese cristiane come una netta cesura con il giudaismo dell'epoca. Quando Gesù si propose, lo fece in una forma che molti ebrei stavano aspettando. la questione, non di accademia teologica, ma di costume tramandato, fu: "questo falegname di Nazareth è o non è colui che stiamo aspettando?" Alcuni ebrei risposero di sì, altri di no. Oggi, chiamiamo il primo gruppo, cristiani e il secondo gruppo, ebrei, ma a quel tempo le cose non stavano affatto così. Allora, sia coloro che accettavano Gesù, sia coloro che lo rifiutavano, erano israeliti. L'idea di religione alla quale appartenere, non era ancora emersa, il culto era una designazione etnica; l'etnicità era una designazione religiosa. Non esistevano né l'ebraismo, né il cristianesimo. Solo verso il terzo secolo, cristianesimo divenne il nome che i seguaci adottarono per contraddistinguersi, mentre gli ebrei non avrebbero avuto un nome per la loro religione prima del diciottesimo-diciannovesimo secolo. Una sorta di anticipazione di quell'appartato snobismo a cui Anna Harendt, dopo l'olocausto, attribuì buona parte della disgrazia capitata ai suoi connazionali-correligionari.Una sorta di espiazione per non aver partecipato, pur capendole, alle dinamiche del mondo. Il termine giudaismo, quindi, veniva usato solo da non ebrei. Il cristianesimo, autodefinitosi, si separò, quindi, da un coacervo di rituali, pratiche, credenze e valori, storia e devozioni, legati al popolo di Israele, non a una devozione chiamata ebraismo. Per gli ebrei, essere tali è una categoria mista, che non si lascia mappare secondo criteri solo etnici o religiosi. Anche Sigmund Freud, agnostico puro, ne avvertiva l'indefinita influenza culturale. Essere un ebreo osservante, all'epoca, era, come anche oggi, una condizione molto complicata. I rabbini non esistevano e i sacerdoti di Gerusalemme erano divisi. Le idee su che cosa caratterizzasse un ebreo erano le più disparate. Fra queste, anche che Dio avesse un delegato divino, un emissario, forse addirittura un figlio, al di sopra degli angeli e intermediario del Padre. Secondo gli esegeti degli antichi testi, Cristo, il divino Messia, era ebreo, non sovvertitore ma severo osservante dei culti, soprattutto igienici, dell'ebraismo e in aperta contesa con le teorie farisaiche, che, venute a contatto con culture esogene, volevano superare le cerimonie kosher. i concetti fondanti da cui sarebbero scaturite la Trinità e l'incarnazione appartengono al mondo in cui visse Gesù e in cui agivano gli evangelisti Marco e Giovanni, i primi a scrivere della sua nascita. L'idea di Gesù, quale messia umano e divino, risale a prima della sua nascita e degli inizi del movimento cristiano. Da un punto di vista stettamente secolare, il cristianesimo è stato un culto della crisi indotta dalle influenze di altri ebrei, che erano venuti a contatto, preso altri popoli, con costumanze difformi e diversi modelli sociali e che volevano importarle a Gerusalemme, sede unica del Tempio, allora sede unica del culto. Fra costoro, spiccavano i Farisei che contestavano le rigide consuetudini puristiche o kosher degli osservanti autoctoni e contro i quali, da buon Ebreo - secondo questo autore - Gesù si oppose. Il Cristianesimo, all'inizio, si accompagnò a una rivolta politico-militare, lungo il tradizionale solco ebraico dei Messia secolari, uno dei quali fu additato dal Governatore romano Pilato come uno pseudo re degli Ebrei, sulla scia di Davide e che come tale venne giustiziato. Gli Ebrei non avrebbero mai pensato ad un Messia ellenistico soprannaturale e, quindi, l'idea di Gesù, morto e risorto poteva solo arrivare mediante uno spirito neolitico della vegetazione , il "dio morente" del vicino Oriente. Gli ebrei sostengono che il Cristianesimo si è appropriato della Bibbia ebraica e l'ha modificata ai propri fini, distorcendone il senso. Per alcuni di loro, il Cristianesimo si è impossessato anche del Nuovo Testamento, strappando quel testo di natura ebraica dalle sue radici culturali, sviluppatesi tra le comunità giudaiche della Palestina durante il primo secolo, per trasformarlo in un attacco alle tradizioni ebraiche, ma ve ne sono altri che sostengono, invece, come anche il Nuovo Testamento sia completamente immerso nella vita e nei pensieri ebraici dell'epoca che loro chiamano del Secondo Tempio, in una logica assimilatoria. La maggioranza degli studiosi del Nuovo Testamento sostiene che i passaggi più fenomenali della vita di Gesù, com'è raccontata nei Vangeli: che fosse il Messia, che sia morto e che sia risorto, che vada adorato come Dio, scaturiscano, dopo l'evento, dalla comunità dei primissimi seguaci di Gesù. Un popolo aveva parlato per secoli, aveva elucubrato e aveva letto di un nuovo Re, un figlio di David, che sarebbe venuto a redimerlo dall'oppressione seleucide e romana e che era arrivato a immaginarsi quel re come una seconda figura divina, più giovane, ebbene, quel popolo, in parte, si persuase di vedere in Gesù di Nazareth colui che stava aspettando. Quindi, il cristianesimo è visto come un'evoluzione settaria dell'ebraismo, che dibatte da sempre, anche laicamente, i contenuti e l'esegesi dei suoi testi sacri, che sono innegabilmente anche quelli del Cristianesimo e dell'Islam. che, però, a differenza della religione ebraica non contemplano l'agnosticismo e si basano sul proselitismo, quindi anche sull'esportazione militare della Fede, a differenza dell'ebraismo che conserva la sua identità, anche presso gli ebrei non credenti, in ogni parte del mondo. E' in questa così analitica ricerca che consiste l'identità irriducibile degli Israeliti - da non confondersi con gli Israeliani - il loro bagaglio dialettico, presente anche nelle persone più umili e incolte, ciò che li rende orgogliosi e li fa temere per le loro future generazioni.

Giustizia etno-culturale.

Nella totale ignoranza della stampa e della televisione, è stata emessa, in appello, una sentenza di assoluzione, per gli artefici di una pulizia etnica "buona", nella Croazia fascista e cattolica. Questi due caratteri che la contraddistinsero prima della federazione titina e che sono riemersi al suo dissolversi, per poi tornare sotto traccia e manifestarsi di tanto in tanto, furono all'origine della richiesta d'intervento del Santo subito, con l'avallo del nostro Premier D'Alema, a massacri materiali e morali consumati. I Serbi, infatti, avevano vinto la guerra e, dopo aver fatto strame dei mussulmani, rischiavano di egemonizzare la regione, a scapito della Croazia. Mentre delle nefandezze serbe sappiamo quasi tutto, di quelle croate, speculari, ma più limitate numericamente e territorialmente, non ci viene narrato nulla. Ebbene, dalla Croazia, i Serbi sono stati totalmente espulsi, sono state confiscate le loro proprietà, si sono separate le famiglie che si erano costituite. Solo nella regione della Kraijna, nella quale i Serbi in fuga dall'invasione turca, si erano stabiliti ed erano rimasti, stragrande maggioranza, per secoli, Ante Gatovina, rifugiatosi per crimini nella Legione straniera e da lì richiamato dal Presidente Tudiman per porlo alla testa dell'esercito croato e e Mladen Markac, anche lui insignito su due piedi del grado di Generale, portarono a termine la più specifica e mirata pulizia etnica del conflitto balcanico, dopo che l'elemento unificante era venuto meno con la morte di Tito e il dissolvimento dell'Impero sovietico, dal quale gli Jugoslavi si erano affrancati, rimanendo membri dei "non allineati". I due illustri sconosciuti alle nostre cronache, sono stati assolti il 16 Novembre 2012, in appello, dai reati a loro ascritti: l'espulsione del 90% degli storici residenti nella Kraijna e la soppressione, casa per casa, di 3.000 inermi, vecchi, malati e bambini troppo piccoli. In primo grado, Carla Del Ponte aveva ottenuto per i due, rispettivamente 18 anni di prigione per Markac e 24 per Gatovina. La Corte d'appello era composta da un polacco-americano, un turco, una senegalese, un maltese e un italiano, Fausto Pocar di Milano. Theodor Meron, il polacco-americano, aveva in precedenza aggiunto 12 anni di carcere a un ufficiale serbo, condannato in prima istanza, a soli 5 anni. In Croazia, prima della sentenza di appello, si erano tenute, nelle chiese e nelle cattedrali, delle veglie di preghiera. Cattolici e autorità pubbliche si sono profusi in manifestazioni di giubilo "per i nostri eroi" e li hanno accolti con canti, ovazioni e saluti fascisti, uno dei quali brevemente interpretato anche da un Ministro. Queste sono alcune delle tante manifestazioni, altrove mascherate, di un fascismo popolare rinascente , in un contesto di incertezze, confusioni e di redde rationem finanziari. Ungheresi, Polacchi e Croati in evidenza, antisemitismo rinascente, squadristi con rappresentanza parlamentare in Grecia, rivincità delle destre plurime e dissimulate dai tecnicismi, in Italia. Il nazionalismo nostalgico è esploso a Zagabria, contraddittorio rispetto alla richiesta di adesione all'U.E. che dovrebbe avvenire nel 2013. I festeggianti hanno celebrato il loro massacro "giusto", la espiazione rituale dei Serbi nel loro territorio. I partiti di destra croati si sono dichiarati apertamente filo-ustascia. Oltre alle veglie, si erano tenuti marce e comizi. Gostovina, il legionario e Merkac, liberati, sono stati accolti da una folla osannante e orante di donne recanti il Rosario. Markac ha gridato alla folla :"Dio esiste!" Poi, accompagnati da duemila "difensori della Patria", si sono recati in Cattedrale per il Te Deum di ringraziamento, officiato da tre vescovi vicari e da dieci sacerdoti. La Chiesa croata ha ripreso la testa dei movimenti patriottici e nazionalisti e ha fomentato l'odio verso i Serbi, definiti scismatici. Con questi nuovi partners è sempre più chiaro a chi e a che cosa serva la moneta unica, in spregio di ogni altro carattere e valore civile, storico e culturale. L'"eroica" operazione fu denominata "Tempesta" e fu condotta dalle milizie croate nella Dalmazia settentrionale, nella Lika, nel Kordun e nella Banja. Furono cacciati 230.000 Serbi dalla Krajna. Solo 30.000 di loro erano soldati. Contro di loro si abbatterono 138.500 soldati e poliziotti croati, ma anche legionari bosniaco-erzegovesi di nazionalità croata acquisita. Dopo l'operazione, non durante, furono uccisi i tremila civili serbi. La sentenza dell'Aja prende partito per una componente della primitiva guerra balcanica ed è un'offesa alle vittime. La notte precedente l'inizio delle operazioni , l'aviazione della NATO, partita dagli aeroporti militari ospitati sul nostro territorio, bombardò i ripetitori di Knin. La richiesta di adesione della Croazia alla U.E. venne accolta solo dopo l'arresto di Gotovina. Ora che i Croati sono felici di riaccogliere fra di loro, lui e quell'altro eroe delinquente, ora, cioè, che trionfa la menzogna, emerge ancora di più la connivenza europea nel disastro balcanico. Franjo Tudiman, Presidente croato e Izetbegovic, suo braccio destro, sono morti naturalmente. Milosevic è morto in carcere - non che non se lo meritasse - dove ora dimorano Radovan Karadzic e Ratko Mladic. Il tribunale internazionale dell'Aja per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia, sta per chiudere i battenti. Prima di farlo, si è assunto la responsabilità, tutta politica, di amnistiare il fascismo croato. E' probabile che la Serbia si chiuda, ancora di più, nel suo nazionalismo. Quanto all'ipocrita mondo civile, che succederà se, per tragica analogia, venisse assolto anche Ratko Mladic? Non succederà, ma anche se succedesse, non reagirebbe, farebbe spallucce come stavolta, dimenticando che la giustizia è oggettiva solo per chi la apprezza e che al mondo le soggettività sono moltissime.

venerdì 16 novembre 2012

Senza patria.

Uragano di missili su Gaza, lacrimogeni dal secondo piano del Ministero della Giustizia - proprio sopra gli uffici del Ministro - su un corteo di studenti. Sembra che i questurini ce l'abbiano in particolare con loro, per invidia e labilità organizzativa. Israele attacca perché le rivolte arabe della primavera scorsa, che non hanno coinvolto le petromonarchie, hanno invece modificato gli assetti su cui si reggeva la tregua a scapito dei Palestinesi. Come si fa a sostenere che non esistono "cupole" a salvaguardia di prioritari e particolari interessi e di mantenimento di assetti di potere ottenuti con la forza militare? Sono della stessa risma quelli economici nelle società occidentali, sovrintesi da "specchiate figure di competenti", trasformatisi, in questa guisa, in tecnici del manganello. La tecnocrazia che opprime la parte dell'Europa più povera, che non ha e che non avrà. Da noi non c'è stato neppure il tentativo di far confermare una linea politica dalla maggioranza del corpo elettorale: siamo stati gli unici a non ricorrere, fino ad ora, alle urne e la repressione delle prevedibili proteste popolari, proteste ai diktat del nord Europa, assume i connotati, ancora larvali ma non indefiniti, dei modelli sud americani, sotto il controllo statunitense. I comportamenti della polizia sono identici; il colpo di Stato è stato "bianco". In progresso di tempo, è facile immaginare che ogni rapporto di lavoro tutelato sarà aggredito fino alla sua estinzione, naturale o indotta, mentre la repressione preventiva si scatenerà su chiunque testimoni di non aspirare solo ad un'occupazione qualunque, ma alla propria dignità lavorativa e personale. Il Ministro Cancellieri, che ha dato ordine alla polizia di filmare e di fotografare gli eventi, ha prodotto un video nel quale si vede la testa di un corteo avanzare con i caschi sul capo, per proteggersi dalle manganellate che sarebbero piovute comunque e la sciarpa a coprire la metà inferiore del viso, per non essere riconosciuti e perseguitati dopo. Il film sfuma sulla carica della polizia, dalla quale la parte avanzata del corteo si protegge, coprendosi a testugine con i cartelli di contestazione che reca, spesso titoli di romanzi famosi. Che cosa crede di dimostrare? Importante, invece, il film dei lacrimogeni lanciati da dentro il Ministero della Giustizia, frutto della ripresa di un dirimpettaio con il telefonino, a testimoniare l'importanza dei social network, che, a tutti i costi, devono rimanere liberi. Il giorno dopo, il movimento fa i conti con la solitudine, nessun partito, nessun sindacato, nessun movimento si è mostrato solidale con loro ad attestazione della sua originalità. I simboli nostalgici sono stati pochi e non hanno caratterizzato i cortei. La manifestazioni si ripeteranno, sono state annunciate. La repressione sarà ancora più dura, i fascisti e i nazisti di Casapaound, hanno indetto nelle medesime giornate le loro sfilate. C'è da dire che il fascismo è immortale. La Digos, questa notte, a Roma ha presidiato, dall'interno, i locali d'accoglienza dell'ospedale Umberto primo, sciamando anche per i corridoi alla ricerca di qualche ferito ricoverato. I medici hanno curato, senza refertarli, contusioni, lacerazioni, teste e denti spaccati. Le mie fonti sono i miei amici romani, tutti più che maturi e nessuno politicamente impegnato. La solitudine dei manifestanti è però molto popolata: dopo le cariche della polizia, gli studenti hanno occupato quasi tutte l scuole. Ieri, almeno, i professionisti della violenza, i tecnici del manganello, indossavano le divise dei Ninjia, blu, con anfibi. Come i ninjia hanno menato botte da orbi per incutere il massimo terrore in personalità ancora fragili: giovani e giovanissimi, molti dei quali alla loro prima esperienza di piazza. Molti, infatti, erano neofiti. Poca organizzazione, quindi, nessun disegno preordinato, rabbia e coraggio nell'affrontare una violenza spropositata, improvvisa e incomprensibile. Questi cortei non avevano nulla di minaccioso, erano semplicemente distanti dalle rappresentanze politiche e sindacali. Sono stati pestati per il rifiuto delle logiche "indiscusse ed indiscutibili" che governano la gestione della crisi. Evidentemente, anche in Italia, la cittadella del governo è diventata la Città proibita delle mitologie asiatiche del potere. Da New York, a Madrid, in 87 città italiane e ad Atene, un po' come durante le primavere arabe, è l'indignazione emotiva a far da ispiratrice delle rivolte, ma, per ora, c'è, dall'altra parte, un principio non enunciato della spending review: i bastoni costano meno delle carote e, soprattutto, non alimentano illusioni. I partiti, i sindacati, nessuno escluso, cercano solo la loro conservazione all'ombra delle necessità tecniche, che giungono alla fine di una lunga sequela di smantellamenti di diritti conquistati con la lotta e che solo con la lotta potranno essere riconquistati. Una sequela che era stata solo troppo lenta. Il Governo Monti, nei suoi primi atti, ha compendiato tutti i suoi scopi e la sua azione. Cosa ha aggredito? Pensioni e dignità del lavoro. Da allora ha fatto chiacchiere come tutti gli altri Governi politici. Tra le giovani generazioni intellettuali sta crescendo un temibile fronte del rifiuto, una nuova soggettività morale e politica, che con i partiti non ha più nulla a che fare. L'Europa delle oligarchie distoglie lo sguardo, contando sulla frammentazione dei dominati, nei diversi Paesi del continente e sulla solida unità dei suoi interessi. Né fra la Plebe, né fra il Patriziato sussistono solidarietà di tradizioni, linguistiche e storiche, ma solo l'identificazione con le rispettive condizioni, senza che i soggetti fisici vengano mai a conoscersi. Il movimento popolare studentesco e precario è in larga parte spontaneo, sospinto dall'esperienza individuale e comune, privo di strutture, organizzazione e gerarchie. Privo di ideologie. Su questa prospettiva si abbattono i manganelli.

giovedì 15 novembre 2012

Bellicismi barbari.

I tempi morti, successivi alle elezioni americane, sono finiti. Israele ha ripreso a uccidre i suoi avversari politici e militari. La vendetta si è abbattuta sul carceriere del caporale scambiato con 1.000 militanti palestinesi. Mille sono tanti, soprattutto se sono in carceree conferiscono ai combattenti palestinesi le caratteristiche di un esercito popolare. Israele si serve, invece, del suo esercito regolare e dei suoi servizi segreti con licenza di uccidere e si propone, spalleggiato dagli Stati Uniti di cui è gendarme in una zona molto più ampia del medio oriente, all'interno del quale anch'esso si colloca. Israele si propone di impedire ai Paesi concorrenti nella regione di competere con lui sul terreno nucleare, per rimanere, per conto degli Statunitensi, l'unica potenza d'area. Le formazioni sportive israeliane competono nelle manifestazioni europee, anzichè, come sarebbe logico, in quelle del proprio territorio, di cui esprimerebbero, fra l'altro, valori tecnici ed agonistici conformi, esclusion fatta per il basket, nel quale schierano spesso formazioni professionistiche composte esclusivamente da nord americani. Gli Israeliani bombardano a man salva lo stremato popolo palestinese, recluso nella striscia di Gaza, che reagisce con i mezzi che gli vengono forniti e gode dell'appoggio della maggior parte dei propri disgraziati connazionali. Se così non fosse, la repressione cieca che va avanti da decenni non sarebbe necessaria, sarebbe anzi contro producente. Il mondo occidentale è afono e solo gli interessi geo-petroliferi tengono insieme una Intesa di fatto fra monarchie petrolifere e compratori che è già contraddetto da un virulento terrorismo, che trova origine proprio nei Paesi più commercialmente alleati con le potenze consumatrici. All'esaurirsi delle fonti energetiche, molti equilibri instabili rischiano di crollare. Nell'Europa meridionale si è celebrata una giornata di opposizione alla politica giugulatoria che la parte settentrionale ha imposto, ragionieristicamente, ai popoli meno coesi e meno produttivi oltreché peggio governati. Le manifestazioni hanno avuto molti epiloghi violenti, molti minorenni, in passato percossi, sono stati identificati precauzionalmente per il futuro. A Madrid, un bambino di tredici anni è stato violentemente malmenato. Secondo i collettivi studenteschi, l'azione della polizia è stata premeditata e volta a spezzare, intimidire la testa dei cortei, con sequestri brevi, durante i quali i contusi manifestanti sarebbero stati minacciati di morte. Io credo a questa versione. I poliziotti sono dei bifolchi violenti, hanno una mentalità fascista e troppe volte hanno dato prova di spirito sadico per poter essere creduti nella vulgata dei comodi comandanti, ben pagati e comodamente assisi sulle loro poltrone e che, nonostante questo, spesso tradiscono, a loro volta, ghigni ed atteggiamenti da sbirraglia. Che anche all'interno dei gruppi che provengono dagli emarginatoi periferici dei Centri sociali, vi siano gruppi che cercano lo scontro sistematico, non avendo nulla da perdere, è vero, ma, rispetto alla violenza istituzionale, spesso socialmente approvata e, quindi, vile, si tratta di frange poco incisive anche se non innocue. Il posizionamento acritico, aprioristico, indifferente, verso questi fermenti e la reazione repressiva verso i medesimi è indice significativo della dicotomia sociale e morale che già si è creata nel tessuto sociale, fra coloro che possono continuare a percepire un reddito, più o meno modesto e coloro che ne sono privi, ma che, rivendicandolo, sono sospetti ai beneficiari della crisi perché attestano di volerlo conseguire per obiettivi di gestione delle famiglie, per godimento privato e non solo per incrementare la ricchezza di chi, a questo scopo, lo fornisce. Un altro emblema del barbaro periodo in cui continuiamo ad inoltrarci è la negazione di qualsiasi scopo che non sia strettamente economico e la subordinazione totale al profitto altrui che contempla. Un episodio, avvenuto a Milano, mi conferma nella tristissima sensazione che l'evoluzione - si fa per dire - dei sommovimenti in atto, congiura verso la devastazione sterile e l'appropriazione predatoria. Un ragazzo, un manifestante, infatti, è stato derubato da altri partecipanti al suo corteo. E successo anche lo scorso anno, in Inghilterra, durante il saccheggio del quartiere di Thottenam. Le frange più brute dei manifestanti, che sono destinate ad aumentare, non avendo più né riferimenti, né interlocutori, si dedicheranno al consumismo possibile.

martedì 13 novembre 2012

Truffe e tradimenti

Dal sito Italiani liberi, fondato e diretto da Ida Magli, illustre antropologa culturale e docente all'Università III di Roma, un suo contributo alla conoscenza del "Governo" del Bildenberg, di cui fa parte anche Mario Monti. La posizione dell'illustre antropologa si basa sul concetto di identità storica e culturale che i "mondialisti" o più prosaicamente i nostri venditori attuali e storici al miglior offerente straniero, hanno quasi terminato di alienare. Il governo del Bilderberg di Ida Magli ItalianiLiberi | 03.11.2012 L'Europa è ormai tutta felicemente conquistata. Il programma messo a punto dalla società segreta Bilderberg nella riunione del maggio 2009 è stato quasi del tutto realizzato. Diciamo meglio: dato che la parte più difficile e tuttavia indispensabile era quella riguardante la liquidazione delle nazioni d’Europa, essere riusciti a impadronirsene è il segnale che ormai l’opera è al sicuro, nulla potrà più ostacolarne il completamento. Le bandierine del Bilderberg sventolano allegramente sui colli e le torri europee più importanti. La Banca centrale europea ne è per certi aspetti il capolavoro. Attraverso la Bce il Bilderberg ha in mano la vita di quasi tutti gli Stati che, con una decisione illegittima e assurda dei loro governanti, hanno rinunciato a battere moneta e si sono consegnati alla volontà di coloro che ne sono i padroni (partecipanti al patrimonio): Beatrice d’Olanda, il principe Constantjin, Sofia di Spagna, Philippe del Belgio, David Rockfeller, Filippo di Edimburgo, Mario Draghi (in quanto partecipante della Banca d’Italia), tutti membri del Bilderberg e presenti alla riunione del 2009. Le partecipazioni degli Stati sono in percentuali minime e forse servono, oltre che a salvare le apparenze, anche a ricompensare i politici per la loro rinuncia alla creazione e alla gestione della moneta. Cosa avevano deciso i membri del Bilderberg nella riunione del 2009? Volendo raggiungere come meta finale la realizzazione di un’unica civiltà planetaria, ne erano state predisposte le tappe (ormai per quanto riguarda l’Occidente quasi raggiunte): la distruzione delle identità nazionali, da perseguire attraverso la sovversione dei valori che vi si fondano e l’eliminazione dei singoli Stati; il controllo centralizzato di tutti i sistemi educativi di cui l’avvio è stato dato in Europa con il Trattato di Maastricht e la cosiddetta “armonizzazione” dei programmi scolastici; il ripudio delle discipline storiche e del loro insegnamento in quanto possibile ostacolo nei giovani all’accettazione del Nuovo Ordine Mondiale e al superamento psicoaffettivo del valore della patria, della tradizione, dei costumi in tutti i campi; il controllo delle politiche interne ed estere, come già avviene in Europa attraverso l’esame preventivo delle finanziarie e i vari trattati sui confini, sull’immigrazione, sull’uguaglianza dei diritti; una lingua unica, che è quella già in uso e che a poco a poco tutti sono obbligati ad adoperare: l’inglese. Il perno sul quale i bilderberghiani si fondano in tutti i loro progetti è però sempre quello finanziario visto che, tramite le banche e le speculazioni di Borsa, riescono a guidare concretamente ogni tipo di politica riducendo a propri esecutori gli uomini di governo dei singoli Stati. L’instaurazione di un mercato unico e di una moneta unica è quindi la meta più importante; ma essere riusciti, con la creazione dell’euro, a eliminare quasi tutte le monete europee rappresenta la loro vittoria più significativa in quanto segnala che il progetto finale è sulla via del traguardo. Di fatto tutta l’operazione “Unione europea” è stata pensata come una specie di esperimento la cui riuscita avrebbe confortato i progettisti nel proseguire sulla stessa strada. Nessuno creda che le crisi finanziarie, l’impoverimento dei popoli, l’eccesso di tassazione, siano per il Bilderberg segnali negativi, tutt’altro: era programmato che sarebbero stati questi gli strumenti con i quali giungere alla meta. Come abbiamo potuto vedere attraverso quello che è successo in Italia, il colpo di forza con il quale un banchiere è diventato capo del governo ha avuto come “giustificazione” il crescere del debito, il differenziale sempre più alto con i titoli tedeschi; ma per chi è padrone del gioco di Borsa provocare tali squilibri è facilissimo, tanto più quando i manovratori sono d’accordo sul da farsi essendo tutti membri del Bilderberg o dei suoi rami più importanti, quali la Trilateral Commission e l’Aspen Institut: Mario Monti, Mario Draghi, Giorgio Napolitano, Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi, José Barroso, Giuliano Amato, Vincenzo Visco, Enrico Letta… Tutti nomi citati più volte e da diversi autori, oltre me, negli anni scorsi, quali per esempio Daniel Estulin con il suo “Il Club Bilderberg” pubblicato nel 2005, Marco della Luna con “Euro schiavi” anch’esso del 2005, Elio Lannutti con “La repubblica delle banche” pubblicato nel 2008, senza che nessuno li abbia mai smentiti. Dunque possiamo constatare che tutte le previsioni si sono avverate: gli Stati d’Europa hanno perso la sovranità, l’identità, le loro ricchezze e quelli più difficili da domare a causa della loro creatività, del loro attaccamento alla propria storia, alla propria indipendenza, quali la Grecia, l’Irlanda, la Spagna, l’Italia, sono stati ridotti, tramite la pressione sui titoli sovrani, a dipendere dalla “generosità” dei banchieri con una nuova, orribile immagine di sé, quella di “mendicanti”, di possibili ladri cui è pericoloso prestare soldi se non danno se stessi e i propri figli in garanzia. I banchieri hanno adesso finalmente raggiunto il loro ultimo scopo: darsi la mano diventando interscambiabili con i politici e proclamando così apertamente che è iniziata una nuova era: il Regno dei Banchieri. Avevo scritto due anni fa, nella Dittatura europea, che avrei creduto a questa ricostruzione, che pure ero stata io stessa a fare con puntigliosa, scrupolosissima ricerca, il giorno in cui avessi visto i banchieri mettersi al posto dei politici. E’ proprio quello che è avvenuto. Ed è avvenuto - cosa incredibile - con l’aiuto, la complicità dei politici. Ho tante volte interrogato negli anni scorsi i maggiori leader del mondo politico, religioso, industriale, giornalistico sul perché avessero accettato in silenzio di uccidere se stessi, insieme all’ Italia, senza riuscire ad avere una risposta. Oggi però non possono continuare a tacere e consegnarsi alla storia come dei vigliacchi traditori della propria nazione e del proprio popolo. E’ indispensabile che si scuotano dalla passività nella quale sono sprofondati e si convincano che la desertificazione attuale dei partiti, l’assenteismo e il ripudio degli elettori, perfino la corruzione che ha invaso tutte le istituzioni, sono la conseguenza di questo tradimento perché nessuno ha più davanti a sé una patria da difendere, un valore collettivo in cui credere, un futuro in cui sperare e da costruire per i suoi figli.

Le piccole memorie

Propongo un contributo di José Saramago, il grande scrittore portoghese, morto il 18 Giugno del 2010, a ottantasette anni, tratto dal suo blog: Il Quaderno, al quale si era dedicato negli ultimi due anni della sua vita, riguardo alla oscura vicenda morale che stiamo vivendo. Di mio aggiungo solo che non solo le grandi corporations, le anonime entità finanziarie e via dicendo, vanno monitorate e considerate nella critica, ma anche quelle gemmazioni minori, fino a quegli sputacchi nell'universo che a quel mondo dell'avidità e dello sfruttamento fanno particolaristicamente riferimento. Basta aggiungerle col pensiero alle citazioni di Saramago. "La gravissima crisi economica e finanziaria che sta agitanto il mondo ci porta l’angosciosa sensazione di essere arrivati alla fine di un’epoca senza che si intraveda come e cosa sarà quella che ci aspetta. Cosa facciamo noi che assistiamo, impotenti, all’oppressivo avanzamento dei grandi potentati economici e finanziari, avidi nell’accaparrarsi più denaro possibile, più potere possibile, con tutti i mezzi legali o illegali a loro disposizione, puliti o sporchi, onesti o criminali? Possiamo lasciare l’uscita dalla crisi nelle mani degli esperti? Non sono precisamente loro, i banchieri, i politici di livello mondiale, i direttori delle grandi multinazionali, gli speculatori, con la complicità dei mezzi di comunicazione, quelli che, con l’arroganza di chi si considera possessore della conoscenza ultima, ci ordinavano di tacere quando, negli ultimi trent’anni, timidamente protestavamo, dicendo di essere all’oscuro di tutto, e per questo venivamo ridicolizzati? Era il periodo dell’impero assoluto del Mercato, questa entità presuntuosamente auto-riformabile e auto-regolabile incaricata dall’immutabile destino di preparare e difendere per sempre e principalmente la nostra felicità personale e collettiva, nonostante la realtà si preoccupasse di smentirla ogni ora che passava. E adesso, quando ogni giorno il numero di disoccupati aumenta? Finiranno finalmente i paradisi fiscali e i conti cifrati? Si indagherà senza remore sull’origine di giganteschi depositi bancari, di ingegneria finanziaria chiaramente illecita, di trasferimenti opachi che, in molti casi, altro non sono che grandiosi riciclaggi di denaro sporco, del narcotraffico e di altre attività delinquenziali? E le risoluzioni speciali per la crisi, abilmente preparate a beneficio dei consigli di amministazione e contro i lavoratori? Chi risolve il problema della disoccupazione, milioni di vittime della cosiddetta crisi, che per avarizia, malvagità o stupidità dei potenti continueranno a essere disoccupati, sopravvivendo temporaneamente con i miseri sussidi dello Stato, mentre i grandi dirigenti e amministratori di imprese condotte volontariamente al fallimento godono dei milioni coperti dai loro contratti blindati? Quello che si sta verificando è, sotto ogni aspetto, un crimine contro l’umanità e da questa prospettiva deve essere analizzato nei dibattiti pubblici e nelle coscienze. Non è un’esagerazione. Crimini contro l’umanità non sono soltanto i genocidi, gli etnocidi, i campi della morte, le torture, gli omicidi collettivi, le carestie indotte deliberatamente, le contaminazioni di massa, le umiliazioni come modalità repressiva dell’identità delle vittime. Crimine contro l’umanità è anche quello che i poteri finanziari ed economici, con la complicità esplicita o tacita dei governi, freddamente perpetrano ai danni di milioni di persone in tutto il mondo, minacciate di perdere ciò che resta loro, la loro casa e i loro risparmi, dopo aver già perso l’unica e tante volte già magra fonte di reddito, il loro lavoro. Dire “No alla Disoccupazione” è un dovere etico, un imperativo morale. Come lo è denunciare il fatto che questa situazione non la generano i lavoratori, che non sono i dipendenti che devono pagare per la stoltezza e gli errori del sistema. Dire “No alla Disoccupazione” è arrestare il genocidio lento ma implacabile a cui il sistema condanna milioni di persone. Sappiamo di poter uscire da questa crisi, sappiamo di non chiedere la luna. E sappiamo di avere la voce per usarla. Di fronte all’arroganza del sistema, invochiamo il nostro diritto alla critica e alla protesta. Loro non sanno tutto. Si sono ingannati. Si sono sbagliati. Non tolleriamo di essere le loro vittime".

Clubs, lobbyes, privées.

Pubblico un articolo del Giornale sulla riunione in corso a Roma del club Bilderberg e raccomando,a chi sia interessato, la lettura del "Club Bilderberg" di Daniel Estulin, un giornalista free lance canadese. Fonti ufficiali, circa questa associazione, non ce ne sono e bisogna ricorrere, per documentarsi, al giornalismo anglosassone. Lungi da me indulgere a sentimenti cospirativi, a evocazioni di congiure. Sono semplicemente convinto che, in qualsiasi ambito che coinvolga interessi, si vada dalla macro alla micro concertazione fra parti in causa. Peccato che le frattaglie di questi organismi se ne sentano parte costituente. "Quantomeno la coincidenza con l'anniversario dell'investitura di Mario Monti a Palazzo Chigi dà nell'occhio. A un anno dall'investitura alla presidenza del Consiglio, il gruppo Bilderberg sbarca nella Città Eterna per fare il punto sul commissariamento dei Paesi euro più a rischio. Tra questi, va da sé, c'è anche l'Italia. Ovviamente della 61° sessione di lavori non c'è traccia alcuna. Il vertice è completamente avvolto da un alone di mistero: neppure sul sito ufficiale della più potente e misteriosa organizzazione mondiale si fa alcun accenno. E nel mistero sarebbe rimasto segli organizzatori non avessero piazzato gli ospiti all'Hotel de Russie, il prestigioso albergo di via del Babuino che, in questi giorni, è letteralmente invaso da troupe televisive e fotografi che seguono il Festival del Cinema. I gotha del mondo economico mondiale approda a Roma. Troppe le coincidenze per passare inosservato. Nei giorni in cui Monti soffia una candelina insieme ai ministri tecnici che ha chiamato a raccolta per "salvare" l'Italia su consiglio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e a pochi giorni dalla riconferma di Barack Obama alla guida del Paese più potente del mondo, il gruppo Bilderberg si dà appuntamento a Roma. Da sempre, gli incontrivengono organizzati in posti riservati e lontani da occhi indiscreti, due volte l'anno, lontano dalle telecamere. Ai primi di luglio la riunione era stata tenuta a Chantily, un paesino non lontano da Washington. Allora, a detta di molti, si erano ritrovati per decidere sul futuro degli Stati Uniti d'America, oggi al centro dei lavori ci sarebbe invece il futuro dell'Unione europea e, in particolar modo, dei famosi Piigs - i Paesi "spendaccioni" a rischio default. Tra questi c'è, ovviamente, anche l'Italia. A Chantily l'incontro era finito a manganellate con gli indagnados a stelle e strisce che si erano piazzati davanti al Marriot per contestare i grandi della finanza mondiale. A Roma, invece, rischia di finire tra lustrini e paillettes. Attorno all'Hotel de Russie c'è, infatti, un via vai di attrici, starlette, vippame varie. Così, per non farsi notare, i circa ottanta invitati al vertice hanno rganizzato una gita (privatissima e riservatissima) ai Musei Capitolini che, oggi pomeriggio, hanno chiuso i battenti in anticipo per permettere ai grandi della finanza di chiacchierare in santa pace. Il gruppo Bilderberg è un incontro non ufficiale che raccoglie, solo su invito, le personalità influenti in campo economico, politico e bancario. Pur avendo un ufficio a Leida, nei Paesi Bassi, i partecipanti cambiano di volta in volta riunendosi in hotel o resort di lusso in varie parti del mondo (normalmente nel Vecchio Continente, una volta ogni quattro anni negli States o in Canada). Quest'anno sulla lista dei partecipanti, che solitamente viene resa pubblica attraverso la stampa, c'è un fitto alone di mistero. A svelare qualche nome ci ha pensato Libero. Tra gli italiani c'è un'ampia partecipazione dell'attuale governo: oltre a Monti figurerebbero anche il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, il duo Elsa Fornero e Paola Severino, il titolare dell’Istruzione Francesco Profumo. "Non si sa se Monti ci va - ha commentato Francesco Storace - il premier prenda nettamente le distanze dalle consorterie internazionali". Il ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri avrebbe, invece, declinato l’invito. Sarebbero poi presenti Giuliano Amato, indicato nei documenti ufficiali come presidente della Treccani, Emma Bonino, il numero uno delle Ferrovie Mauro Moretti, l'ad di Mediobanca Alberto Nagel, Angelo Cardani dell'Agcom, l'ad di Unicredito Federico Ghizzoni, Enrico Cucchiani di Intesa, Fulvio Conti dell’Enel, la presidente della Rai Anna Maria Tarantola, il neo presidente della Cir Rodolfo De Benedetti e il direttore del telegiornale di La7 Enrico Mentana. Le conferme, ovviamente, non ci sono. I nomi vanno presi con il beneficio del dubbio. L'incontro, però, c'è. Ed è in corso proprio in queste ore".

domenica 4 novembre 2012

In viaggio con Pietro.

Abbiamo fatto un viaggio fra valli ubertose di colori dolcemente declinanti, sferzati da un vento preconizzante il gelo di una vita raccolta, nascosta ai suoi fulgori. Ci siamo inoltrati nel grigio di terre contigue, antichissime. Sotto di noi, trasferite ad una natura immutabile, sedimenti di anime che furono, storicamente reinterpretate, ai più ignote. Abbiamo intravisto alcune fisionomie arcaiche di umanoidi, che hanno trasferito i loro geni, senza confonderli, trasfigurarli, in una fissità che tradiva staticità, quasi sempre nel sacrificio e nella dolorosa insensatezza, eppur magnifiche nelle riscoperta. Osci, Sabelli immortali. Correndo a dorso d'Italia, ci siamo rifugiati in un ostello arroccato e appartato, al quale la notte, soprattutto, conferiva l'aspetto di rifugio e usbergo accogliente, intorno al quale si consumava nella noia indigente, la vita degli altri. Il piccolo maniero, corredato di aggiornati stallini, dal quale si entrava e si usciva, sotto il piovischio, per brevissimi tratti, per guadagnare la taverna sussurrante in pietra viva e il confortante ricetto, le antistanze, per un'altra ristorazione prossima o per salire sulle carrozze, fiduciose nell'attesa. Pochi passi nell'ambito centrale del fortilizio, con l'immancabile rinfrescante fontana, or secca e rimembrante. Con un ascenditore riservatissimo si discendeva, per poi ascenderne, in un piccolo luogo di manierismi salutistici benefici e coreografici, costituiti di marmi riscaldati e teporosi, di fumenti umidi, di nebba vaporosa, di benefica irrigazione mitigante. Poi il riposo sopra un sudario deposto in sdraio iodizzate dalle pareti. Pochi passi, avvoltolandosi nel bozzolo finemente intessuto, la porta, che scopriremo essere destinata allo scarico delle vettovaglie mercificate, mentre l'ingresso è immancabilmente in pendenza, nel vicolo. Ovunque, anche per errore si può accedere; le porte sono aperte, la rocca non è più presidiata, o meglio, il presidio è alle antiche porte, di sotto. Dall'alto si osserva una sterminata vallata, appena digradante e sfumata nei colori della sua stratificazione, nella quale e lungo la quale, gli antichi abitatori consumavano i loro giorni nel trar frutti, ottimi, dalla terra, per offrirne le eccellenze e le primizie ai piccoli signori circoscrizionali, fino a che contese per questo o quel prodotto, per questa o quella coltivazione o ancor più banali e capricciose intenzioni, portavano le salmerie del signorotto contiguo a invadere i possedimenti del nostro, di cui occupiamo come ospiti paganti il ristrutturato maniero. Allora i contadini, portando con sé quanto di non deteriorabile potesse conservarsi per resistere all'assedio, affollavano il pertinenze del piccolo signoraggio e si trasformavano in soldati, a protezione e conservazione del loro signore e della loro specifica servitù. Ora, da un feudo all'altro, si corre su puzzolenti carrette, cogliendo in fretta, come in un film, le scene dei secoli. Ogni capoluogo si riproduce in scala, dai più consolidati ai più specifici e fissa nel suo cuore istituzionale i luoghi della Signoria: la Loggia dei mercanti, il Tribunale, l'Amministrazione dei beni comuni, nei quali, però, non tutti, in quei tempi, trovavano uniforme collocazione. La rappresentazione degli stati dominanti costituiva spettacolo e modello ammirato per i poveri, demandando loro il servaggio, per l'accoglienza. Ma, come allora, negli spazi liberi, nei pressi, lo sciamare del popolo, fra manifestazioni gastronomiche, politiche, folcloristiche e di fede, tutte frammiste in superstiziosa simbiosi, ci richiama alla constatazione di una realtà immota ed immutabile, nella quale le icone evolutive sono solo mascherate dall'ignoranza e dalla faticosa, deambulante aspirazione. La piazza, dunque, che compendia il mercato e i suoi custodi. D'intorno, le sue arterie e le sue vene, il reticolo di vicoli stretti, a tangere le botteghe artigiane e commerciali, i laboratori e le abitazioni, le umide concrezioni della vita, del lavoro che consuma, eppur così creativo, della malattia e della morte, a pochi passi dall'agio e dalla magnificente e autoglorificata opulenza. Tutto, lungo ripidi saliscendi, fra richiami e scalpiccii. Ci arrampichiamo lungo i pendii scoscesi, sulle protesi mobili delle scale, ridenominate mini metro, che ci conducono dalle adiacenze inferiori al centro, intruppandoci comodamente lungo le calli, ma inibendo la circolazione automobilistica, in precedenza consentita lungo tutto l'itinerario cittadino. Dove siamo? Che importa rispetto alla peregrinazione discreta eppur confusa nel caos, che coglie le bellezze architettoniche e non si cura della pastura a cui provvedono le fiere delle leccornie. Provate a indovinare. Fuori, da dove proveniamo, l'antico contado operoso per i fastigi nobiliari e poi padronali, rivive nell'affacendarsi senza posa dei traffici, delle mercature, della manifatture e delle tecnologiche realizzazioni; i ragazzi sciamano per e dalle scuole, mentre preparano la loro validità strumentale, a pochi altri, più che a se stessi, i fughinisti, numerosi e coesi, sostano in balotta fuori dai bar e altri ritrovi popolari. Desiderosi di chiostri silenziosi, di sale appartate chiediamo a un vigile motociclista, dove si trovi il Museo civico. Costui, armato, piccolo, tarchiato e calvo, interrompe la sua narrazione a un collega di un pellegrinaggio ad un luogo dei dintorni, dove si mangia bene e nessun molesta la digestione e, un po' interdetto, ce la fa difficile, si informa se siamo motorizzati, se sappiamo dove si trovi l'ospedale civile ed il viale del dolore che là conduce e poi, senza citare l'attribuzione nominalistica, civica o emblematica, del raccoglitore di vestigia artistiche, ci congeda. Ridiscendiamo, lungo il mini metro all'incontrario e ci inoltriamo in latebre underground, che l'ingresso automobilistico in città ci aveva ascose. La città sotterranea, massiccia e in pietra morta per l'infossamento, ci protegge sinistramente. percorriamo le buia ante fondamenta, precipiti alle porte fortilizie, rischiarate a chiazze da lampade sostitute degli antichi supporti per le torce. Sinistra e bellissima, inquietante perché, da un momento all'altro, per cedimento o per tradimento, potrebbe trasformarsi nelle volute, attorciliantisi, di Castel Sant'angelo, anch'esse fortilizio, ma carcerario, per gli sconfitti, sempre reprobi. Quasi al buio liquido dell'umidità scoscesa, le anime che le produssero e che le abitarono rivivono immutate, le parole, i conciliaboli, l'ansimare e il tacere, persino gli abiti, celati e trasfigurati dal caliginoso riflesso dei muri, non hanno epoca. Solo recuperando la banalità della loro attualità, questi contemporanei avvertiranno nuovamente, non senza un inspiegabile sconcerto, la loro vitalità. Scopriremo, nel pomeriggio, che l'unico Museo di cui aveva sentore, nella sua Perugia, il gladiatore nanerottolo è quello del cioccolato della Perugina, di proprietà, però, fin dal 1988, della multinazionale svizzera Nestlé. Per accedervi, bisogna comperare un biglietto e assistere ad una rappresentazione stereotipata e ripetuta per tutto il giorno, della saga della famiglia Buitoni, che novant'anni fa implementò il business delle caramelle con quello dei dolciumi. Apprendiamo a teatro - buona la dizione e la capacità interpretativa di questi attori, in un periodo di eclissi della cultura - che il famoso Bacio fu un'invenzione della Signora Luisa, che lo espose nei negozi di famiglia in assenza del marito per fargli una delle sue periodiche sorprese e che, prima di prendere inizialamente il nome della sua creatrice, fu da lei battezzato come "cazzotto", del quale le ricordava la forma. Prevalse poi una sensibilita di marketing più affinata, che preferì sostituire la richiesta di un cazzotto con quella di un bacio e che consolò l'orgoglio padronal-coniugale coll'attribuzione del nome della sposa e valente collaboratrice al cioccolatino. Il clima non mi piace: è marcatamente militare. Subito dopo lo spettacolino, è ancora d'obbligo, partecipare ad una tombola di baci, con una cartelletta che viene rilasciata all'atto dell'acquisto del biglietto; facciamo ambo, tris e quaterna consecutivamente con quella di Pietro. Accompagnati dagli sguardi di contrizione invidiosa dei non baciati, ci accalchiamo in cortile, dove attendiamo la convocazione del nostro gruppo, il 13. Infine, di ritorno da un altro tour, una tampucciotta di mezza età, presentatasi come Elisa, levando una paletta, ci dà il via, intimandoci di seguirla come cagnolini e di serrare i ranghi. Subito dopo il cancello c'è una mescita gratuita di cioccolato caldo. La truppa rompe le righe, si accalca, brandisce le tazze in polistirolo e plastica e si scotta le labbra, mentre il caporale Elisa sbraita: "avrete modo di strafogarvi durante la visita, proseguiamo!" Chissà da quanto scarpina. Poteva andare diversamente? Nel numero prequantificato che costituisce i gruppi e nei tempi che ne scandiscono la visita, occupiamo i rigidi scranni di una saletta di proiezione, alla parete della quale sono appesi alcuni manifesti che illustrano la vita societaria e le sue sponsorizzazioni e, per venti minuti, assistiamo ad un filmino da Istituto Luce, nel quale gli spunti di conoscenza, pur presenti, sono molto inferiori all'apoteosi pubblicitaria. Al termine, ci raduniamo davanti ad un bancone di pasticceria: la calca si fa di nuovo indistinta. Incediamo verso una porticciola metallica. Si capisce che stiamo per entare in un ingranaggio, nella fattispecie, quello della fabbrica. Inibizione di telefonini e strumenti di ripresa; la concorrenza spia. Ci inoltriamo per un budello costeggiato da vetrate, sotto le quali si possono osservare i macchinari, i nastri trasportatori, alcuni contenitori in plastica di Baci Perugina avvolti nella stagnola che, da distante, qualcuno confonde con dei bulloni. La fabbrica si sviluppa orizzontalmente in un'unica direzione, verso, cioè, l'esito atteso. Il disagio apparenetemente immotivato che avevo avvertito prima di entrare nell'ingranaggio, si dimostra giustificato. Come gli otto milioni di baionette di gerarchica memoria, come uno slogan, ci cade sulla testa la comunicazione che nel grande stabilimento, fra l'altro, si producono 1.900.000 baci perugina al giorno, che vengono commercializzati in 50 Paesi. La visita si limita ad un terzo dell'imponente ma anonimo edificio, fra i nastri e le impastatrici-miscelatrici, si affannano, in cuffietta, gli operai, in tuta-divisa color nocciola. Tutti uomini, perché è un giorno festivo e le operaie, ormai imborghesite, sono in gita con la famiglia: è quasi sempre così. Dalle pareti, incuriosite dal fotografo, una fila interminabile di operaie d'epoca, sui due lati di un tavolo stretto, ochhieggia agli astanti, in bianco e nero. Sostiamo, prima del congedo, in un ampio corridoio che reca sulla parete sinistra i disegni dei personaggi più famosi delle confezioni Perugina, disegnate da un tecnico, tale Seneca, che con l'illustre filosofo e poeta latino non ha nulla a che spartire, ma che ha creato delle figure, sullo stile della Domenica del Corriere, alla sua epoca celeberrime e oggetto di raccolta, con la quasi introvabile in evidenza, raffigurante una sorta di Aladino. In cauda, venenum. La parte meno dolce della quasi secolare vicenda dolciaria, viene rassegnata alla fine, dalle storiche e spersonalizzate maestranze. La Perugina, nel 1985, fu alienata all'Ing Carlo De benedetti, finanziere e ristrutturatore di aziende già celeberrime, per darne profitto al cedente e al temporaneo acquirente, che dopo tre anni di riduzione di costi, soprattutto dei salari dei lavoratori che furono licenziati massicciamente con i buoni uffici della CGIL e del PCI, di cui lo spregiudicato speculatore è sempre stato un beniamino, come aveva già fatto all'Olivetti, al Credito Romagnolo, rivendette con grande lucro la Perugina alla multinazionale svizzera Nestlè, che ne è ancora proprietaria, così come De Benedetti è stato cittadino elvetico. Chi ha conservato il posto e chi lo ha acquisito successivamente, lavora stagionalmente, secondo le previsioni di consumo dei dolciumi che sono diventati una gamma numerosissima e sono prodoti in questo o in quello stabilimento della Nestlé, che detiene piantagioni in Africa e fa abbondante uso di OGM. Dopo Pasqua, si va in ferie fino a Maggio e poi, per tutta l'estate, quando i gelati sopravanzano nei consuni le altri leccornie dolci, si lavora per l'autunno, l'inverno e la primavera, anticipando a suon di conservanti tutte le forniture natalizie, pasquali, della mamma e del papà, dell'anno. Non poteva mancare il bacione di commiato. Su di un video al plasma, scorrono le immagini di una fiera cittadina del cioccolato, nella quale, per celebrare un decennale produttivo del marchio nocciolato di fabbrica , la Perugina realizzò un bacio da cinque tonnellate, che faticò ad uscire dalle porte dello stabilimento, perché ne erano state sbagliate le misure, Trasportato in piazza per la sua esposizione e consumazione, con argani, tiranti e mezzi di trasporto eccezionali, la famelicità appropriativa e consuntoria, provvide in due ore a fagocitare mesi e mesi di lavoro. La perorazione è finita. davanti a noi, lo spaccio turistico, dove ci riforniamo. Infine il rompete le righe. Disordinatamente torniamo al prato, destinato al parcheggio di visitatori e torniamo al nostro paesello. Decidiamo di provare la Taverna dove il giullare, a sera, si ricreava e si rilassava delle sue lepidezze e constatiamo che il buffone di Corte aveva delle meschine ma ben fondate ragioni per non lavorare: il cibo è ottimo, i sapori marcati, il vino ricco di umori e screziature. Ci attende un giorno senza soste. Lasciamo il relais di buon'ora e ci dirigiamo verso Assisi. Prima di accedervi, ancora a valle, incrociamo un frate di mezz'età, piuttosto trascurato nell'aspetto che, a piedi nudi, dentro i calzari, agitando un saio troppo largo e sciupato, conduce una frotta di scout chissà dove. Subito dopo cominciano le descrizioni: mi colpisce quella dell'eremo delle suore benedettine svedesi, provenienti da una Regione più luterana che mai, nella quale, però, la libertà religiosa e tutte le altre, sono rigorosamente rispettate. Questo deve aver consentito all'ordine benedettino, anche nella sua versione para diaconale e femminile, di attecchirvi, suppongo elitariamente e di conservarsi, per non so quali canali. Mi auguro che le "sorelle" non dimorino in Assisi per lavare la biancheria dei monaci. La Regola e l'aspetto dei tre fraticelli, in tutto, che intravederò, sembrerebbero deporre per l'incontrario. Mentre ci appropinquiamo, lungo gli ampi tornanti, al paese del Santo e della sua fidanzata Chiara, anche lei Santa, come le affinità celebrative consigliano, inopinatamente si apre la roccia. Uno scalmanato che chissà da quanto tempo ripete quei gesti, ci dirotta autoritativamente in un antro, trasformato in un parcheggio. Ci accorgiamo che l'afflusso di mezzi privati e di torpedoni è incessante. Ci incamminiamo e sfociamo in un vestibolo luminoso, attrezzato a luogo di ristoro e ad emporio di cianfrusaglie più o meno costose, dove, fra icone di santi e scene descritte nei Vangeli, fanno da contrappunto i distributori automatici di bevande e di profilattici; fra gli uni e gli altri un bar ricevitoria, presso il quale si paga anche il ticket del parcheggio. Il giorno è festivo religiosamente e mal ce ne incoglie. Salendo lungo un ripido viottolo, in mezzo a umani transumanti ed esposizioni di chincaglierie, ho modo di cogliere le sagome di altri due frati francescani. Appena, appena, perché l'uno sta spingendo l'altro perché non si attardi sulla soglia dell'Ordine terziario. Entrambi sono magri e giovani, scalzi e ricoperti poveramente solo del saio, un sacco informe marrone. Appena ottenuto il suo scopo, anche lui si infila nel porticato di un chiostro e chiude con fragore la porta, liberandosi ed escludendo dal suo raccoglimento la massa incerta e vagante che ammorba il paesaggio. E' evidente la concentrazione bipartisan sul core business della fede e della credulità, senza distinzioni, in rapporto alla quale, istituzioni civili e religiose si spartiscono il reddito prodotto, presidiando il proprio ambito. Tutte le guide sono preti, non monaci. Ce ne è per tutti: Francesco è Patrono d'Italia, ci ricorda una targa; Benedetto è Patrono d'Europa, amplia il raggio un'altra. Nel combinato disposto delle cointeressenze, trascurando non evidenti inframmettenze azionarie, al potere civile sembrano demandati alberghi, ostelli, ristoranti, taverne e tavole calde, oltre ai negozi. La Chiesa, non bastassero le basiliche, gode di elemosine e donazioni, della sicura esenzione dai tributi per chiari ed esclusivi fini di culto dei suoi densissimi Templi, artisticamente struggenti. In più, rispetto alla mercatura civile, gode del lavoro gratuito di preti, monaci e suore, che curano anche il marketing internazionale, incentivano e promuovono, in cambio di una sussistenza e di un alloggio, dai quali non possono più fuggire. Nessun bene personale trasmissibile. Una autentica sudditanza, causa di tante deviazioni, coperte quando non vengono alla luce. Il lavoro come regola, la retribuzione ridotta alla sopravvivenza, la testimonianza iconografica di un principio che ti ha catturato e costretto per sempre, senza parere, se lo spirito critico è quello dell'officio. Doveva essere così anche ai tempi del Santo, cioè dopo la sua morte. Ciabattanti pellegrini, per i quali sono stati allestiti numerosi punti di ristoro, ricerca superstiziosa dell'utile, attraverso l'ammirazione e il contatto con le spoglie mitologiche di Francesco e quelle, forse autentiche di Chiara, tranne forse i capelli sviliti e stopposi attaccati al cranio. Toccarne le ossa, lambirne le vesti..di Chiara; non starebbe bene per una signorina esibire la glabra nudità delle sue ossa. E', soprattutto, un effondersi di dialettologia partenopea, di richiami alla coesione familiare e di gruppo, di richiesta di informazioni - anche a noi - per sapere dove si trovi la Chiesa del Santo e se sia molto distante. Entrare è possibile, ammirare i dipinti di Giotto, invece, non. E' in corso la funzione e metà dell'edificio è riservato agli oranti, mentre la visita è libera e contestuale negli anfratti non deputati alla liturgia. Secondo quale criterio? Anche la Basilica di Santa Chiara è organizzata nello stesso modo. L'accesso ai sotterranei dove i resti a lei attribuiti sono ancora visibili, si trova nella parte aperta al pubblico anche durante le celebrazioni. A guardia dell'entrata sosta un cartellinato custode, che nulla può, se non schioccare le dita inutilmente, nei confronti degli astuti che entrano velocemente dall'uscita non presidiata. A noi, quest'aspetto di antropologia religosa non interessa, anzi lo troviamo offensivo della spiritualità che, per credenti o non credenti, si effonde, viene suggerita dalla vicenda storica del figlio contraddittorio del ricco mercante e della ragazza che lo amava e che continuerà ad amarlo e a seguirlo anche nella sua trasformazione e trasfigurazione. Torniamo all'esterno. il nostro pellegrinaggio, pedibus calcantibus, non conosce soste, ma, miracolosamente teniamo botta, io in particolare, Pietro è un gagliardo podista. L'idioma, non univoco, ma incontrastato, continua a trasportarci nel mondo della fede della plebe partenopea. Qualche vulgata aspra e meno musicale sembra segnalare la presenza di qualche boss della camorra, notoriamente molto religiosi. La loro vicinanza ci conforta; per loro, speriamo, gli scugnizzi non si azzarderanno a borseggiarci del nostri pochi averi, dei nostri documenti e delle nostre macchine fotografiche. L'arroccato paese del Santo e della sua Santa fidanzata, si è conservato, ma si è trasformato in meta di pellegrinaggi turistici incessanti. Anche in questo si è trasformato, ma pure conservato. Così devono essere stati gli itinerari della superstizione popolare, di una spiritualità esteriore, cioè, propagandata e coagulante, a formare una superficiale identità, al di sotto della quale, le rivalità , le contese rimanevano intatte e l'esteriore comunanza diventava il corpo contundente dell'aggressione ostracizzante o sul capro espiatorio. Le masse umane vanno, là dove il simbolo si sedimenta. Fanno così gli Indù a Varanasi, i Musulmani alla Mecca, i Cattolici a Roma in occasione dei Giubilei. Quello verso il Santo non è un pellegrinaggio minore, è solo più popolare rispetto alla partecipazione inglobante, ma gerarchica, ai riti ufficiali delle diverse confessioni. E' bizzarro assistere alla processione di turisti indiani in sari, in colonna dietro una guida che parla inglese, col loro terzo occhio stampiglaito in fronte a scrutare l'anima degli interlocutori, condursi strani della personalizzazione della fede, loro che antropoformizzano trentatremila divinità pagane. Probabilmente, loro no, che possono permettersi un viaggio ad Assisi. L'utilitarismo spicciolo, impetrato dalle grazie, costitusice la base di quello di apparato, fra potenti, rappresentato in pubbliche cerimonie che il popolo devoto avalla con i numeri della sua ammirata partecipazione. Il francescanesimo, monachesimo medievale, sembra assediato nei suoi conventi; intorno a questi ultimi, ogni giorno, per il borgo vortica un volano ininterrotto di denaro. La pubblica osservanza si muta in privata resa. Ma, con questo, non credo e non affermo che la spiritualità sia stata bandita dalla Rocca, sono anzi certo che sopravviva, celata e impaurita nei cuori e nelle menti di quanti non so, siano essi credenti o meno, nella loro libertà. Non sostengo nemmeno che la fede sia strumentale all'utile economico e propagandistico: la strumentalità di massa viene creata dall'organizzazione ostentativa e didascalica che si vale di una fede superficiale. E' paradossale: pur non sapendo quanti siano gli iscritti nelle liste elettorali del collegio di Assisi, mi viene il sospetto che a contribuire al successo delle liste comuniste del Comune e del circondario, abbiano, a suo tempo, dato il loro contributo anche i frati. Conosciuta l'esistenza di una accreditata scuola musicale e canora, ovviamente sacra e dopo un'intera mattinata di visite e peregrinazioni, impediti nella conquista dello spazio dalla concentrazione pericolosamente indistinta - anche per loro - dei nostri simili ( fino ad un certo punto ), decidiamo di metter piede anche ad Arezzo. Escludiamo Gubbio, perché siamo certi di trovarvi altri e più deprimenti pellegrini. Se gli "assisini" riproponevano almeno uno scorcio immutato della fede immaginifica, petulante ed implorante e per nulla impegnativa, dei fedeli di ogni tempo e, forse, di ogni dottrina, a Gubbio si svolge un altro tipo di processione oracolare, quella dei fans di Don Matteo, di cui si sta recitando in loco un'altra serie, che voglione vedere, toccare Terence Hill o, peggio ancora, vedere di persona la parrocchia di Don Matteo, che credono esistere veramente con a capo il bel parroco. Quando le coltivazioni, soprattutto quella onnipresente e qualificatissima degli ulivi, viene interrotta, lungo il percorso, dagli insediamenti industriali, l'anima si immiserisce, si insquallidisce. Passiamo in mezzo ad una filiera di fabbriche e fabbrichette, di cortili deserti che saranno animati da schiavi al lavoro, di terreni aridi. La luce bigia che aveva conferito alle vallate una nostalgica dolcezza, adesso illumina dei manufatti che irradiano morte, delle praterie desertificate nelle quali gli uomini, quando vi torneranno, saranno l'unica espressione di una vita monca. Sfrecciando sulle vie degli antichi manieri, allertato dall'occhio di Pietro, più vigile dell'autovelox, abbiamo anelato a una delle tante perle, fieramente autonome, della Toscana medievale e rinascimentale, ambita e raggiunta dal Petrarca e nutrice del suo omonimo protagonista della battaglia di Monntaperti. Finalmente, la periferia del capoluogo che ci accoglie, deserta e ci accompagna fino all'unico bastione della sua magnificenza, anch'esso semivuoto: la Piazza grande, digradante secondo disegnate figure geometriche. Poche anime vagule, blandule, sul far del meriggio, conservate botteghe artigiane, opportunità museali con guida obbligatoria. Dopo la calca, il deserto. che ci consente la riappropriazione dello spazio e solo parzialmente del tempo. Di questa piazza, che compendia e racchiude tutto l'antico borgo , ho, nel ricordo, una visione notturna, affascinante. Qualche anno or sono, le porte antiche degli uffici pubblici, della Chiesa e del Museo, dei negozi artigianali ed artistici, degli alimentari di più consolidata tradizione, restituivano intatta alla piazza, l'aura originaria, isolandola, credo, come al tempo della sua prima fabbrica, dallo squallore circostante. Pietro, che desiderava visitarla, se ne è compiaciuto a lungo, fino a che ne è stato temporaneamente sazio. Constato che, purtroppo, qualcosa è cambiato. Accanto ad un ristorante di grande cucina, dove mangeremo frugalmente, pur lasciando all'oste quindici euro di coperto, convive un altro punto di ristorazione, con vista piazzale, di cibi precotti in busta e riscaldati, come quelli che si trovano, anche adiacenti alle pompe di benzina. La piazza, il punto di ritrovo dei cittadini, dovrebbe essere nuda, nella mia concezione, ma così non è mai stata, essendo deputata, anche, alle mercature pubbliche. Vaghiamo ancora, portiamo con noi altri ricordi, le linee arcane ed eleganti, lo sfacelo del Teatro intitolato a Petrarca, al quale è intitolata anche una casa, dove abitò e una via, in memoria di un suo soggiorno aretino. E' sera. Riprendiamo la via di casa. Mentre saliamo lungo i tratti autostradali appenninici fra la Toscana e l'Emilia, la temperatura si abbassa, chilometro dopo chilometro, fino a comprenderci in una tempesta di neve, per una trentina di minuti. La temperatura è di mezzo grado sotto lo zero, i fiocchi grossi e mulinanti nel vento. La neve si deposita sui lati del parabrezza della macchina, mi preoccupo: non ho ancora montato i pneumatici da neve. Per fortuna, lo sciame delle auto, riscaldando l'asfalto, è sufficiente a sciogliere la neve che cade copiosa. Il tratturo, che non sappiamo quanto sarà lungo , ci assorbe in una festa inopinata, che, se un po' ci conturba, sa consolarci nell'ultimo tratto in altura della nostra peregrinazione e infonde calore alla nostra prudenza, nel moto sopportabile, fra camion astringenti, per l'ultimo tratto di questa volta. Qualcuno, impaurito, rallenta troppo, poi accosta e si ferma compromettendo e ritardando le sue possibilità di proseguire. Mezz'ora dopo, la temperatura ricomincia ad alzarsi, fino a stabilizzarsi a 6,5 gradi. La neve viene rimpiazzata dalla pioggia, che lava, sostituendolo, il manto precoce.. Pietro ha filmato, con il cellulare, la nevicata nei tratti illuminati, la data e l'ora dell'evento, il termometro che segnala la temperatura esterna. Pietro, mio nipote, ha prodotto, lui dice involontariamente, tutto questo. Ha scelto ( o è stato scelto? ) luoghi e itinerari e ha guidato e corretto il driver zio al più efficace tragitto. Il nostro dialogo è stato essenziale, ma le emozioni profonde e condivise, con le varianti soggettive, patrimonio dell'interiorità. La nostra compagnia è stata civile, familiare e, nonostante il podismo d'altura, rilassante, per quella compiutezza frutto dell'approfondimento ricercato e libero del nostro essere altrove e dell'esser sempre fra di noi. Per lui, mi ha detto, ha costituito un recupero rispetto alla fatica degli studi coerentemente condotti, all'estate contraddetta, ai tempi che ormai si sovrappongono alle esigenze di uno studente universitario, autonomo, rispetto alle dinamiche familiari. Per un po', abbiamo assistito, estranei, allo stesso spettacolo di cui siamo, altrove, inconsapevoli protagonisti ( o comparse? ) con un po' di conoscenze storiche e artistiche, con il rimando delle sensibilità simboliche studiate concettualmente, apprese e riconosciute per emanazione. Ci siamo difesi dall'aglutinazione del sentimento e dall'omogeneizzazione delle pseudo idee che il piffero conduce alla non meta e che ci ha impedito un raccoglimento completo, laico o religioso che fosse. Ancora quaranta minuti e siamo a Bologna. Gli usuali scenari ci rassicurano, ma un po' ci spengono. Eppure amiamo i luoghi e le famiglie, ma l'empito delle sensazioni incognite, eppur così usuali e spesso sofferte, ci rende nostalgici e desiderosi di riempircene ancora. E' l'espressione più consona e, per me, non ancora indebolita, della nostra spiritualità, un recupero di animus religiosus, senza aspirazioni che non siano frutto della fatica e senza dogmi. Un francescanesimo senza rifugio.

venerdì 2 novembre 2012

Chiaroscuri.

Che Gae Aulenti, "il tocco che abbellì il mondo", sia stata l'architetto che rabberciò esteticamente la Sede bolognese del Credem'a me, trasformando una soffitta, che era il magazzino delle preesistente ferramenta, rilevata a prezzi di fallimento, in un claustrofobico resort di tempietti indù, sotto gli archetti del quale, sullo sfondo, si intravedono i costretti colleghi, ansiosi di uscirne per qualunque meta, da un lato dimostra come, in cambio di pecunia, questi artisti milanesi siano tutt'altro che dei mecenati e, dall'altro, come il simulacro bancario di derivazione reggiana, ambisse a diventare un privé per affiliati ricchi e un emblema regale per i famigli al servizio personale di tutta la coorte. Per cinque anni, fu vietato apportare correttivi al manierismo condizionato della stilista. In carriera, fece anche due lampade per una ditta di articoli elettrici. Ogni vita luminosa ha le sue zone d'ombra.