martedì 27 novembre 2012

Quando l'ipocrisia non serve più.

La proprietà dell'ILVA di Taranto, che per trent'anni, consapevole, ha raccolto profitti e seminato tumori in una percentuale superiore di un terzo a quella nazionale, ha reagito alle incriminazioni dell'erede di tanta ricchezza ed a quella del collateralismo amministrativo, politico e finanche spirituale, con il contributo, per l'ordine "costituito" di un poliziotto, con la serrata, che la Costituzione espressamente vieta, a differenza dello sciopero, avendo individuato in questo atto, ricattatorio ed intimidatorio, uno degli strumenti più violenti della proprietà. Sfavilla che, privati del loro meccanismo accumulatorio e senza complicità, aiuti pubblici, sconti e favori, la fulgida proprietà che ha dato da mangiare companatico inquinato alle sempre numerose maestranze ai cancelli, non sa, non può, non vuole pagare di tasca sua, una parte di quanto impropriamente e, in questo caso anche criminalmente accumulato. La figura del prefetto Ferrante, candidato del Centro sinistra alle elezioni comunali di Milano, appena andato in pensione dalla sua carica pubblica e sconfitto dalla Moratti e subito riciclato all'ILVA, spicca come una figura di vetusto mercante in un quadro di Bruegel. A compattare in una formazione monolitica, proprio chi è sempre pronto a piombare come un avvoltoio sulle difficoltà altrui, è stato necessario un atto dovuto di un'entità che in questo caso ha saputo essere super partes, nella tutela delle condizioni di vivibilità. Eccoli, dunque, attraverso la reazione ufficiale della Confindustria, non vergognosa di prendere le parti di simili malfattori - troppi altri ce ne sono - e del suo quotidiano tecnico, che sono insorti contro i Giudici di tutti, quindi non i loro, nel nome della "libertà" d'impresa che, se fosse questa - e purtroppo lo è - non meriterebbe menzione, né considerazione. L'accozzaglia imprenditoriale italiana non è in grado di affrontare nessuna crisi senza cancellare leggi e contratti, oltreché senza evadere le imposte. Del resto questo è il senso del patto sulla produttività del quale le composite e confuse rappresentanze politiche, sindacali e sociali che hanno prestato il loro consenso, dato che il loro contributo non è stato richiesto, costituiscono l'amalgama fluido, impegnato in parziali e continue modificazioni camaleontiche d'aspetto che ne permette, trasversalmente, come si suol dire, il mantenimento. Venisse meno la palude, da quella parte, del privilegio irresponsabile e insensibile, ci si potrebbe aspettare ogni possibile prepotenza, se non riuscisse a trovare accordi mediatori e diluitori. Di fronte a questi molluschi morali, non per loro valore, ma solo perché di fronte alla disoccupazione, sta la coscienza che in questo momento e per ora, hanno acquisito le maestranze dell'ILVA. Non la coscienza civile: a quella buona parte di loro, fomentati attraverso scioperi vandeani, avrebbe abdicato per quella vita temporalmente possibile, alle condizioni, che il padrone riteneva confacenti ai suoi profitti. Sulla dignità civile devono continuare a vegliare i giureconsulti di Taranto, che sono stati i soli, fino ad ora, a fare chiarezza nei miasmi cittadini e verso i quali non va rivolta nessuna accusa impropria. Hanno adempiuto al loro dovere, nell'ambito delle loro competenze. Non è sul loro fronte che è mancata la responsabilità...verso il bene comune.

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