sabato 24 novembre 2012

Declinazioni.

Da tempo, anche se ce la cantiamo, suoniamo e balliamo fra di noi, abbiamo abbandonato le velleità competitive sulla tipologia e sulla qualità dei prodotti e abbiamo puntato tutto sul basso costo del lavoro, che, conseguentemente, si è rivelato monocorde e schematico. Per poter competere efficacemente sui costi, dobbiamo riferirci a quelle realtà dell'imitazione asiatica o alle retribuzioni e agli orari di quei paesi che sperimentano l'economia post bellica, dopo una sconfitta. Le condizioni che la FIAT ha imposto agli operai serbi della ex Zastava sono le stesse che ha spuntato a Pomigliano D'Arco. L'unica differenza è costituita dagli stipendi, sui 1.200,00 euro, contro i 300 dei fieri cetnici, costretti allo sfruttamento. Ma i ritmi e i tempi del lavoro tayloriani sono gli stessi che, nel Gruppo FIAT nazionale si ammortizzano con la cassa integrazione, la scarsezza delle maestranze e gli straordinari non pagati, essendo venuta meno la vigilanza della CGIL, espulsa dalle fabbriche. Nel mondo dei servizi, la gara è al maggior servilismo verso i reddituari timorosi dello spread e verso gli scarsi avventori delle rivendite, talvolta serviti a domicilio. Se possibile, si cerca di fidelizzarli con tessere, sconti dichiarati, che devono comunque comprendere un surplus per il venditore, con i budget meschini che comprendono un lauto guadagno per la piccola coorte dei proprietari e una stentata retribuzione per i promotori alle vendite. Ci sono ambiti e ambienti che, proprio perché non legati strettamente e direttamente alla produzione, sono più irretibili nella tela del ragno padronale; nelle banche, in particolare, anche se molto declassate in professionalità, retribuzioni e livello contrattuale, si riesce ancora a far indossare una livrea ideale a un numero grottesco di persone. Il lavoratore dipendente odierno e lo schiavo antico sono, in ordine inverso l'espressione dell'evoluzione Smithiana e Malthusiana, nei rapporti di produzione. Per comodità d'esposizione, li chiamerò d'ora innanzi, il padrone e lo schiavo. Il padrone e lo schiavo sono uniti da un bisogno economico reciproco che tuttavia non affranca lo schiavo perché, nel rapporto fra padrone e schiavo, il padrone "non pone" il bisogno che ha dell'Altro; egli ha il potere di soddisfare questo desiderio e non ne fa oggetto di mediazione. Viceversa, lo schiavo, nel suo stato di dipendenza, per speranza o per paura, interiorizza il bisogno che ha del padrone. Anche se l'urgenza del bisogno fosse pari in ambedue, tornerebbe sempre a favore dell'oppressore verso l'oppresso. Rifiutare di essere l'Altro, rifiutargli la complicità, significherebbe rinunciare a tutti i vantaggi che porta con sé l'alleanza con la casta superiore. Il "sovrano" proteggerà materialmente lo schiavo e ne "giustificherà" l'esistenza. Certi polpettoni sindacali attuali, rappresentano, in termini demandati e mediatori, il ping pong servo-padrone. Sottraendosi al rischio economico, lo schiavo scansa il rischio, per lui metafisico, di una libertà che deve creare i propri fini senza il concorso altrui. In realtà, ogni individuo, oltre all'esigenza di affermarsi come soggetto, che è una esigenza etica, porta in sé la tentazione di fuggire la propria libertà e di tramutarsi in "cosa"; è un cammino nefasto, perché passivo, alienato, perduto, in cui l'individuo entra nel gioco di volontà estranee, è scisso dalla propria trascendenza, spogliato di ogni valore. Ma è un cammino agevole; si evita così l'angoscia e la tensione di una esistenza autenticamente vissuta.

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