domenica 18 novembre 2012

E verrà un uomo.

Il mondo dell'esegesi, ebraica e newyorkese, in questo caso, continua ad approfondire una tesi che individua le radici ebraiche di quel fenomeno di successo mondiale che ha preso, decontestualizzato, il nome di Cristianesimo. Il Cristianesimo, per altro, ha sistematizzato i suoi connotati telogici solo dal Cinquecento, dopo contese acerrime che non si sono limitate solo alla dottrina. La cristologia, per questi Ebrei, non esiste come fenomeno originario, ma è, invece, ben nota e sviluppata nell'ambito delle non uniformi tradizioni dottrinarie ebraiche, da apprezzarsi ed analizzarsi nel loro contesto di produzione, molto dialettico quando non conflittuale, del tempo, cioè, in cui il Gesù storico visse, ebreo fra altri ebrei, in Palestina. Questi studi incontrano delle difficoltà di divulgazione in parte dei Paesi cristiani e vengono veicolati da intellettuali ebrei, cittadini di questi Stati. In italia, in questo ambito, si è impegnato Corrado Augias. Gli approfondimenti trovano terreno fertile nei paesi multireligiosi, multietnici e multiculturali, mentre suscitano diffidenze e fastidi quando vengono proposti nelle realtà monofideistiche, anche se sono poco praticate e anche da chi le rifiuta. Le analisi testuali del newyorkese Daniel Boyarin, lo hanno portato a concludere che le idee e le pratiche del movimento cristiano possono essere interpretate, con certezza, come parte integrante delle idee e delle pratiche dell'ebraismo coevo. Le idee della Trinità e dell'incarnazione erano già presenti tra i seguaci del credo ebraico, molto prima che Gesù si presentasse sulla scena per incarnarne le nozioni telogiche e per rispondere alla chiamata messianica, alla quale alcuni ebrei credettero e altri non. Boyarin non è uno stravagante, è solo l'ultimo, in ordine di tempo ad affrontare l' argomento in termini squisitamente culturali, lontano dai sacri suoli e dai sacri templi che, per quanto riguarda l'ebraismo. sono luoghi di culto ma anche Accademie e Symposi e non luoghi di potere. A cambiarne, ma solo in piccola parte, la natura è intervenuta la creazione del laicissimo Stato di Israele, la cui compresenza pone questioni di competizione identitaria. Il retroscena ebraico del cristianesimo delle origini, sorto in terra d'Israele è attestato dagli stessi Vangeli, intesi, invece, nell'interpretazione delle Chiese cristiane come una netta cesura con il giudaismo dell'epoca. Quando Gesù si propose, lo fece in una forma che molti ebrei stavano aspettando. la questione, non di accademia teologica, ma di costume tramandato, fu: "questo falegname di Nazareth è o non è colui che stiamo aspettando?" Alcuni ebrei risposero di sì, altri di no. Oggi, chiamiamo il primo gruppo, cristiani e il secondo gruppo, ebrei, ma a quel tempo le cose non stavano affatto così. Allora, sia coloro che accettavano Gesù, sia coloro che lo rifiutavano, erano israeliti. L'idea di religione alla quale appartenere, non era ancora emersa, il culto era una designazione etnica; l'etnicità era una designazione religiosa. Non esistevano né l'ebraismo, né il cristianesimo. Solo verso il terzo secolo, cristianesimo divenne il nome che i seguaci adottarono per contraddistinguersi, mentre gli ebrei non avrebbero avuto un nome per la loro religione prima del diciottesimo-diciannovesimo secolo. Una sorta di anticipazione di quell'appartato snobismo a cui Anna Harendt, dopo l'olocausto, attribuì buona parte della disgrazia capitata ai suoi connazionali-correligionari.Una sorta di espiazione per non aver partecipato, pur capendole, alle dinamiche del mondo. Il termine giudaismo, quindi, veniva usato solo da non ebrei. Il cristianesimo, autodefinitosi, si separò, quindi, da un coacervo di rituali, pratiche, credenze e valori, storia e devozioni, legati al popolo di Israele, non a una devozione chiamata ebraismo. Per gli ebrei, essere tali è una categoria mista, che non si lascia mappare secondo criteri solo etnici o religiosi. Anche Sigmund Freud, agnostico puro, ne avvertiva l'indefinita influenza culturale. Essere un ebreo osservante, all'epoca, era, come anche oggi, una condizione molto complicata. I rabbini non esistevano e i sacerdoti di Gerusalemme erano divisi. Le idee su che cosa caratterizzasse un ebreo erano le più disparate. Fra queste, anche che Dio avesse un delegato divino, un emissario, forse addirittura un figlio, al di sopra degli angeli e intermediario del Padre. Secondo gli esegeti degli antichi testi, Cristo, il divino Messia, era ebreo, non sovvertitore ma severo osservante dei culti, soprattutto igienici, dell'ebraismo e in aperta contesa con le teorie farisaiche, che, venute a contatto con culture esogene, volevano superare le cerimonie kosher. i concetti fondanti da cui sarebbero scaturite la Trinità e l'incarnazione appartengono al mondo in cui visse Gesù e in cui agivano gli evangelisti Marco e Giovanni, i primi a scrivere della sua nascita. L'idea di Gesù, quale messia umano e divino, risale a prima della sua nascita e degli inizi del movimento cristiano. Da un punto di vista stettamente secolare, il cristianesimo è stato un culto della crisi indotta dalle influenze di altri ebrei, che erano venuti a contatto, preso altri popoli, con costumanze difformi e diversi modelli sociali e che volevano importarle a Gerusalemme, sede unica del Tempio, allora sede unica del culto. Fra costoro, spiccavano i Farisei che contestavano le rigide consuetudini puristiche o kosher degli osservanti autoctoni e contro i quali, da buon Ebreo - secondo questo autore - Gesù si oppose. Il Cristianesimo, all'inizio, si accompagnò a una rivolta politico-militare, lungo il tradizionale solco ebraico dei Messia secolari, uno dei quali fu additato dal Governatore romano Pilato come uno pseudo re degli Ebrei, sulla scia di Davide e che come tale venne giustiziato. Gli Ebrei non avrebbero mai pensato ad un Messia ellenistico soprannaturale e, quindi, l'idea di Gesù, morto e risorto poteva solo arrivare mediante uno spirito neolitico della vegetazione , il "dio morente" del vicino Oriente. Gli ebrei sostengono che il Cristianesimo si è appropriato della Bibbia ebraica e l'ha modificata ai propri fini, distorcendone il senso. Per alcuni di loro, il Cristianesimo si è impossessato anche del Nuovo Testamento, strappando quel testo di natura ebraica dalle sue radici culturali, sviluppatesi tra le comunità giudaiche della Palestina durante il primo secolo, per trasformarlo in un attacco alle tradizioni ebraiche, ma ve ne sono altri che sostengono, invece, come anche il Nuovo Testamento sia completamente immerso nella vita e nei pensieri ebraici dell'epoca che loro chiamano del Secondo Tempio, in una logica assimilatoria. La maggioranza degli studiosi del Nuovo Testamento sostiene che i passaggi più fenomenali della vita di Gesù, com'è raccontata nei Vangeli: che fosse il Messia, che sia morto e che sia risorto, che vada adorato come Dio, scaturiscano, dopo l'evento, dalla comunità dei primissimi seguaci di Gesù. Un popolo aveva parlato per secoli, aveva elucubrato e aveva letto di un nuovo Re, un figlio di David, che sarebbe venuto a redimerlo dall'oppressione seleucide e romana e che era arrivato a immaginarsi quel re come una seconda figura divina, più giovane, ebbene, quel popolo, in parte, si persuase di vedere in Gesù di Nazareth colui che stava aspettando. Quindi, il cristianesimo è visto come un'evoluzione settaria dell'ebraismo, che dibatte da sempre, anche laicamente, i contenuti e l'esegesi dei suoi testi sacri, che sono innegabilmente anche quelli del Cristianesimo e dell'Islam. che, però, a differenza della religione ebraica non contemplano l'agnosticismo e si basano sul proselitismo, quindi anche sull'esportazione militare della Fede, a differenza dell'ebraismo che conserva la sua identità, anche presso gli ebrei non credenti, in ogni parte del mondo. E' in questa così analitica ricerca che consiste l'identità irriducibile degli Israeliti - da non confondersi con gli Israeliani - il loro bagaglio dialettico, presente anche nelle persone più umili e incolte, ciò che li rende orgogliosi e li fa temere per le loro future generazioni.

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