domenica 18 ottobre 2009

Il coraggio della verità e l'attività politica sono due cose incompatibili in Italia.

L'affermazione di Pasolini del 1975, contenuta negli "Scritti corsari" che pubblicava sul Corriere della Sera è quanto mai d'attualità. Lo è sempre stata del resto e fissa con semplicità e chiarezza il dato antropologico della nostra inciviltà.

mercoledì 14 ottobre 2009

Esilii, migrazioni e angherie.

Dice Brodsjij, nel corso di una conferenza sugli esuli, a Vienna, nel 1987:
"Grazie alla sua precedente incarnazione, il nostro uomo - l'esule - è in grado di apprezzare i vantaggi sociali e morali della democrazia assai meglio di coloro che nella democrazia ci sono nati.
Ma proprio per la stessa ragione (alla quale si accompagna la barriera linguistica, che è il principale prodotto secondario dell'esilio) egli si trova in una totale incapacità di svolgere una parte significativa nella sua nuova società."
Perde, in sostanza, di significato.
E' quanto avviene agli intellettuali, scacciati dal loro paese perché non influenzino i loro connazionali, sottoposti alla dittatura, con idee difformi, perché, anche se hanno il coraggio di diffonderle, supportati dalla loro cultura e libertà, non contraddicano le ideologie strumentali, ammannite da chi detiene il potere e ne trae dei materiali vantaggi.
E' lo stesso genere di dittatura che si riscontra nelle organizzazioni aziendali ed in ogni ambito dove si persegua un risultato economico.
In politica, è il costume delle dittature fasciste e comuniste. Relegate queste ultime, per la loro complessità e tendenza al proselitismo ed all'espansione geografica e militare, nel limbo clandestino delle occasioni perdute, con la loro pretesa di subornare quanto era stato proprio delle civiltà e dei costumi ai quali si erano sovrapposte, resta il fascismo quotidiano, più autoritario che totalitario nella sua patologia, fatta di conformismi, prevaricazioni, adeguamenti costrittivi ed esclusioni.
Anche la burocrazia, autocautelativa, produce gli stessi, tossici effetti.
Burocrazia e pianificazione, obiettivi di utili crescenti e fagocitosi di chi non mantiene il ritmo e i comportamenti che se ne fanno conseguire, inducono sofferenze morali crescenti e fughe da se stessi, che si manifestano, secondo scienza e coscienza di ciascuno, in alienazioni, tempo per tempo cangianti e sostituentesi.
Per questo chi fugge la fame e la persecuzione, non troverà buona accoglienza nei paradisi di destinazione e serberà nel suo cuore un'amarezza diversa di cui non coglierà fino in fondo il significato. L'unica sua consolazione sarà, ora, di potersela permettere.
P.S.
E' per lo sradicamento dell'esiliato, forse, che Milan Kundera non ha mai vinto il premio Nobel per la letteratura, che le sue amare ed ironiche cronache praghesi gli avrebbero meritato. Il suo premio è stato il conseguimento dei lidi democratici e parigini, la sua pena è stata l'isterilirsi della vena creativa, che riverbera solo nei suoi saggi di critica letteraria, anzi culturale.

domenica 11 ottobre 2009

Cento anni iconografici.

La bella mostra, allestita dal Bologna f.c. 1909, nel Palazzo del Parco delle rose, in via Saragozza, a pochi metri dal Meloncello e dallo stadio, documenta e suggerisce cent'anni di passione popolare, vissuta senza distinzioni di classe.
La differenziazione si manifestava, invero, nei settori che venivano occupati sugli spalti del glorioso Littoriale, oggi Stadio comunale Renato Dall'Ara, dal nome dell'ultimo presidente scudettato della storia calcistica cittadina, nel 1964, a Roma, dopo lo spareggio vottorioso con l'Internazionale del Mago Helenio Herrera.
Renato Dall'Ara morì tre giorni prima dell'epilogo favorevole, durante una lite con Angelo Moratti, padre dell'attuale presidente dell'Ambrosiana, Massimo.
Sugli spalti, non numerati, dello stadio che Mussolini inaugurò a cavallo, nel 1925, in occasione di un incontro Italia-Spagna, vinto dagli azzurri per 1-0, con un goal del "paso doble" Angiolino Schiavio, che, a fine carriera, continuò a caratterizzare la toponomastica cittadina attraverso il marchio "Schiavio Stoppani" all'angolo fra le vie de' Toschi e Clavature, dedicato all'abbigliamento sportivo di qualità, che ha chiuso i battenti da pochi anni, per la prima volta presero posto i sostenitori, compulsati tra la genuina passione nazionale e le esigenze propagandistiche del regime. In porta, per la Spagna, giocava il mitico Zamora, celebrato dagli aedi delle gazzette sportive e della radio: non vi era, allora, la televisione.
In quel 1925, il Littoriale, capace di 50.000 posti sui suoi gradoni stipati, era il più grande stadio d'Europa, dedicato all'atletica ed al pallone. La scelta bolognese era stata dettata soprattutto dalla fama che già accompagnava quel Bologna che avrebbe collezionato sei scudetti in rapida sequenza e due Coppe dell'Expo di Parigi, assimilabili alla successiva Coppa dei campioni, oggi Champion's league.
I calciatori appaiono piuttosto tozzi, di scarsa sicumera e rude e rustica prestanza, con la maglia di lana grezza ed i calzettoni spessi; il pallone è di buon cuoio scuro, cucito a losanghe, lo sfondo è spoglio e tristemente autunnale.
Fino all'anno prima, il Bologna f.c. aveva giocato e acquisito fama sul campo, in leggera pendenza, dello Sterlino, in via Murri, sede, attualmente, di due piscine comunali. Gli spalti si limitavano a tre-quattro file di gradoni ai lati del prato , che chi scrive ha fatto in tempo a vedere, deserti, prima della trasformazione dello spartano impianto.
Non mancavano, neppure allora, gli stranieri e gli oriundi sud-americani, in ispecie Uruguaiani ed Argentini che, spesso, naturalizzati, contribuivano alle fortune, oltrechè dei clubs, Torino, Genoa e Bologna soprattutto, anche della Nazionale calcistica, che si apprestava allora con il Commissario tecnico Pozzo, a conquistare le sue due Coppe Rimet. Era questo il nome che si attribuiva al trofeo consegnato alla squadra nazionale vittoriosa nella finale di un torneo indetto fra le migliori compagini del mondo, dopo che la definitiva acquisizione della vecchia icona alla squadra del Brasile, quando conseguì il terzo successo nella manifestazione, è diventata la Coppa del mondo tout cour.
Su quei gradoni di cemento grezzo, il tifo popolare si esprimeva con grida, slogans, sbandieramenti ed una non propriamente urbana rivendicazione della propria identità, nella svalutazione e nel dileggio di quella degli ospiti.
In quegli anni, soprattutto nei confronti dei tifosi genoani, corsero, reciprocamente, insulti, risse e, anche, colpi di pistola. Simulazioni della guerra e dell'appartenenza, il loro messaggio non giungeva in tempo reale e visivamente alle masse, coinvolte direttamente o nella medesima intossicata passione e le gazzette si limitavano a prenderne atto, senza presumere di dover educare, nè le autorità - oltre alla punizione degli eventi delittuosi - si impegnavano in propagande sul "politicamente corretto", mettendo nel conto che quella violenza agonistica dava sfogo a tante tensioni e frustrazioni,in un ambito politicamente e socialmente circoscritto.
Per un paio di decenni, almeno, il risorto P.C.I. del dopo guerra, considerò la passione calcistica popolare, alla stregua di un novello "oppio dei popoli", mentre, nei Paesi del socialismo reale, le squadre assunsero i nomi adatti a propagandare quella simbiosi di "Comunismo ed elettricità", così cara a Lenin: Dinamo, Lokomotiv, oltre al simbolo del conseguito destino astrale dei lavoratori: Stella rossa.
Il medio ceto impiegatizio occupava, al Littoriale, i distinti, centrali e laterali, tribune opposte alla centrale che davano ( e danno ) le spalle a Piazza della Pace. Da lì, gli spettatori piccolo-borghesi potevano apprezzare la realtà in movimento da una posizione speculare, ma opposta, rispetto a quella della classe dirigente del denaro ( poca )e, soprattutto delle tessere-invito, riservate alle autorità pubbliche.
Se in curva si militava, come nelle "adunate oceaniche" o nelle "riunioni di manipolo", antesignane dei moderni Fan's club - di prossima conoscibilità, attraverso un'apposita tessera del tifoso, come gli ammorbati contagiosi -,come nei picchetti davanti alle fabbriche nella competitiva società democratica del dopoguerra, e si incitavano con foga e grida i gladiatori alla sottomissione degli avversari, nei "distinti" si commentava, si discuteva animatamente, si criticava l'arbitro - a quei tempi, cornuto - e si gioiva veramente solo quando la propria compagine andava a segno.
In Tribuna si andava soprattutto per conoscere o per intrattenere la Gente che contava, per farsi vedere gli uni dagli altri od insieme ai maggiorenti. Ieri, come oggi. Era l'unico settore dello stadio in cui si potevano vedere, anche se di rado, le uniche donne presenti: la moglie del Questore, del Prefetto e via, istituzionalizzando.

sabato 10 ottobre 2009

Facce di tolla.

Gianni De Gennaro, Capo della polizia si Stato, è stato assolto a Genova dall'accusa di avere avallato il bestiale pestaggio di tanti giovani, sorpresi a dormire all'interno della scuola Diaz. Non avrebbe neppure indotto il Questore a mentire per coprire i sicari. Ben strano questo Fouché napoletano, già fiduciario dei manganelli presso il Governo di centro-sinistra che lo nominò e poi riconfermato dal Governo di centro-destra, che sui suoi superiormente conformistici contegni, sapeva evidentemente di poter contare. Poco incisiva la Magistratura, che aveva condannato a pene lievi un ridottissimo numero di poliziotti, inquisiti dopo quei fatti. Fredda ed omertosa icona dello spirito di servizio allo Stato, in cambio di una oscena mansione.Il bastone è ritenuto utile da entrambi gli schieramenti e De Gennaro lo sa.

Ruoli e coscienza di ruolo.

Gli operai di una ditta estera di Colleferro, non si sono limitati ad occupare lo stabilimento, con un atto simbolico di appropriazione degli strumenti produttivi, che sono comunque in grado di far funzionare, ma hanno sequestrato, per poche ore, i dirigenti che avevano annunciato loro la prossima chiusura dell'azienda. Hanno cioè cercato di trattenerli con loro nei vecchi ambienti, prossimi alla dismissione, ben sapendo che la dirigenza è mobile e va dove va il grano, mentre a loro sarebbe rimasta la stanziale aridità dell'abbandono.
Narrano le vulgate, che i lavoratori avrebbero saputo che si starebbe per aprire un analogo, anzi identico, stabilimento nel Sud e che la ditta, in precedenza ceduta da un imprenditore italiano ad uno francese, avrebbe già subito una riduzione di organico superiore ai due terzi dell'originario. Un terzo di quanto residuato sarebbe poi stato messo in cassa integrazione.
Nè i superstiti, né i sindacati, avevano battuto ciglio.
Il sindacato dei metalmeccanici dice alle gazzette che l'esasperazione delle maestranze è comprensibile, ma che una eventuale, più che residuale vertenza,si farà solo se i lavoratori avranno un orientamento unitario.
Che cosa vuol dire?
Che se ne salverà alla fine solo uno? De minimis non curat praetor.
Più interessante ed ammaestrante è l'atteggiamento dei cento operai finora rimasti indenni dalle sistematiche speculazioni di vendita e di riorganizzazione, che solo ora si sono ribellati...unitariamente.
Il classico tentativo di chiudere la porta della stalla - con gli stallieri dentro - quando tutti i cornuti sono già stati fatti uscire.
Speravano in cuor loro di stare più larghi e che gli stipendi, per loro, fossero avanzati, mentre i delegati del padrone, o dirigenti che dir si voglia, ne programmavano la cancellazione dai libri mastri.

Marosi.

Quando la nave affonda, i topi sono i primi ad abbandonrla. Di topi in migrazione se ne sono visti parecchi di questi tempi. Primi i topi leaders, fra essi, Fini, che si è smarcato trasformisticamente, per passare, da Presidente della camera, dal sanfedismo fascista e borbonico-terzomondista, all'illuminismo, appreso a scuola e rispolverato.
Farebbe bene a meditare che la carica non ha portato bene a Irene Pivetti, ridottasi al rango di soubrette, ben sotto il livello della sorella, attrice - anche per i suoi buoni uffici - rivelatasi poi in grado di reggere la parte. Non ha sfondato neppure il cattolico divorziato Pier Ferdinando Casini, che appare appartato ed al quale fa da cuscinetto solo un buon matrimonio, pur se con la rampolla sciapa di una famiglia mafiosa.
Anche altri topi stanno sgusciando...in mare dalla stiva, nella speranza di galleggiare sufficientemente a lungo in acque malmentose, da diventare appetibili per qualche altra o nuova formazione, sperando di poter continuare nello sperpero clientelare, ben temprati come sono alla necessaria litigiosità intestina utile ad incrementarlo.
Se poi il nocchiero dovesse riprendere il controllo della rotta, sarebbero comunque nei paraggi, pronti a riprendere il loro cortigianare.

Un sasso nello stagno, nonostante tutto.

La vicenda politica di Silvio Berlusconi, vista dagli opposti avamposti, assume i contorni del dramma o della farsa, della pochade famigliare o degli interessi portati in politica senza mediazione.
Per quanto non dissimile da altre, consociative e contraddittorie evenienze storiche, che hanno visto ribollire, come un minestrone sul fuoco, le competitive componenti d'interesse sotto etichetta partitica, l'attualità ci offre il destro per un'interpretazione non di maniera delle entità in conflitto. Regolarmente e ripetutamente eletto, il capo del governo confligge contro le autorità di garanzia e di controllo, contro le altre forme di partito-movimento e declama i suoi intendimenti, che sono stati spesso già declinati in provvedimenti legislativi. Soprattutto mostra e dichiara di non credere minimamente alla veste super partes degli istituti di garanzia, anche se assumono la veste togata della Corte costituzionale o quella, più dimessa, della Magistratura ordinaria. nonostante alcune sentenze sfavorevoli, già emesse nei suoi confronti, non inclina ad atti di contrizione e non mostra la sia pur minima considerazione per i canoni della moralità corrente. La sua cultura è quella dell'azienda, del mondo degli affari, un ring nel quale i colpi bassi non sono esclusi. La sua competizione con De Benedetti, altro grande scippatore di beni e di verità , ben visto, però a sinistra, non conosce soste dalla fraudolenta attribuzione della Mondadori ed è degenerata in una contesa reputazionale a mezzo stampa.Ciò non di meno, queste risse svelano e rendono intelligibili - per chi non abbia gli occhi e le orecchie foderati dal prosciutto della propria personale ideologia - gli apparati e le istituzioni per quello che... realmente sono, in attesa che i protagonisti della rappresentazione tornino ad impersonare, senza contestazioni di pari peso e livello, il potere "legittimo" e le sue sacrosante sanzioni, elidendosi o superandosi in una più alta "sintesi".

mercoledì 7 ottobre 2009

Ciurlonerie.

Secondo un vecchio socialista lombardiano, il professor Ciurlone, la magistratura, oltre ad essere composta da parassiti, quasi tutti di estrazione meridionale, ospita nel suo seno istituzionale, anche i peggiori delinquenti.
Argomentava, questa mattina, che la Corte costituzionale, non aliena da merende con una parte in causa, stava aspettando la "pizzata", prima di deliberare, in un senso o nell'altro.
Allo sconcerto giustizialista degli astanti, opponeva la sua esperienza di navigatore nel sottobosco della politica e delle istituzioni, per dichiarare che i giudici, che non lavorano per più di tre ore al giorno, vengono sitematicamente retribuiti dai Carabinieri ( con soldi pubblici ) per costruire teoremi giudiziari e che non disdegnano di farsi pagare anche dalle peggiori e più forti organizzazioni criminali, tanto da stemperare il significato convenzionale dei termini, per investirsi, al riparo della toga, del medesimo ruolo, rafforzato.
Il profesor Ciurlone ha poi aggiunto. "se i funzioanri pubblici fossero pagati di più, soprattutto i peggiori, cioè i poliziotti e i carabinieri, non dovrebbero arrangiarsi con attività collaterali e contrarie al mandato, così come tanti altri, se meglio remunerati, non dovrebbero fare un "secondo lavoro". Nel profferire queste parole, si è portato le mani verso il petto.
Sembra ignorare che anche quando la Repubblica romana decise di attribuire degli stipendi magnanimi ai governatori delle provincie, non per questo, costoro si sentirono appagati. Il rubare, l'approfittarsene è evidentemente la vera essenza del potere e il retore avvocatesco Cicerone non seppe far altro che pronunciare le celeberrime verrine, contro il governatore della Sicilia, Verre.
Da quanto sopra, un dubbio: è immorale rubare ed approfittare delle cariche? E' immorale brigare per ottenerle e non avere smaccatamente altro scopo che di goderne con prepotenza, poi?
E' specularmente immorale ergersi a censore di questi misfatti da un pulpito comodo e protetto, dando poi testimonianza, nel prosieguo della propria vita e in diverse circostanze, di non essere da meno, in termini di immoralità, di coloro che, con tanta sapienza e facondia, abbiamo censurato?

Il morto statuto.

E' morto Gino Giugni, sopravvissuto ad una stagione nella quale era riuscito a vendere legislativamente l'illusione ai lavoratori di avere una dignità. Era un socialista, come Giacomo Brodolini. Fornì la sua sapienza tecnica ad un testo liberatorio, intitolando diritti anche dentro l'universo concentrazionario della fabbrica e, con diverse mellifuità, degli uffici.
Consulente del lavoro, quindi, diverso dai D'Antona e dai Biagi, vittime fin che si vuole, ma non alieni dal vittimizzare gli altri, in nome della loro vanità accademica.
Forse, Giuigni, come Consigliere del Principe, ha vissuto ed interpretato un momento per lui favorevole. La discrasia temporale e culturale è comunque stridente.
La legge 300, detta Statuto dei diritti dei lavoratori, è ancora in vigore, ma è da tempo in disuso. Lo stesso giugni si era proposto ripetutamente per modificarla, ma le sue profferte, evidentemente giudicate inaffidabili, erano state lasciate cadere.
Nel 1970, all'epoca della sua promulgazione, la reazione padronale fu isterica: oggi, questa spesso grossolana categoria sociale, può sfogarla senza reticenze e paure, addirittura in nome del "progresso".
Sul piano politico e del costume, lo Statuto dei diritti dei lavoratori, cavalcato dai sindacati, soprattutto quelli storicamente acquiescenti con il padronato e la politica moderata, diede fiato a molte intemperanze e si mostrò uno strumento delicato in mani callose.
Sul versante degli uffici, divenne per molti uno strumento per mascherare le proprie inadeguatezze ( come per tanti capetti di ieri e di oggi ) e per arrogarsi extra-contrattuali riposi. Ma inserendo un cuneo ed aprendo una breccia in un sistema di gerarchie pre e a-legali, nelle quali la dignità delle persone veniva sistematicamente coartata, diede voce, per due decenni, a chi, in cambio di un salario senza decoro, ne era privo.
Anche se le finezze del diritto mal si attagliano alla dura vita sociale, famigliare e di subordinazione alla catena di montaggio ( o alla demenziale politica dei risultati che si allontanano progressivamente, mentre vengono raggiunti ) è stato, per il mondo del lavoro e per la cultura, un buon periodo, sciupato, dall'interno, dalla corruzione.
Purtroppo, anziché costituire una pietra miliare dell'evoluzione del costume lavorativo e sociale, divenne presto, per taluni, l'individuazione di una narcotizzazione della lotta di classe, a cui si opposero, oniricamente e librescamente, attraverso al lotta armata che si abbatté più sui simboli del loro mondo alterantivo, piuttosto che sulla realtà.
Nonostante tutto ciò, quella medievale stagione fu ricca di fermenti fertili, ma non seppe assurgere a volano di crescita e di modernizzazione della società italiana, come i contorcimenti spasmodici odierni stanno pericolosamente a documentare.

Esemplarità

Sia pure a maggioranza, la Corte costituzionale ha stabilito che l'immunità legale per chi ricopre cariche pubbliche, non sta né in cielo né in terra. Che il beneficiario del Lodo abbia reagito in maniera scomposta è il sintomo più chiaro della sua colpevolezza di cui la coda di paglia è conseguenza. Di fatto si è aperta una fase di democrazia plebiscitaria, foriera di un plebiscitarismo antidemocratico. Se si trattasse solo di una questione di anticorpi nazionali, dispererei. Fortunatamente, la camicia di forza della Unione europea ed una riconquistata amministrazione democratica negli stati Uniti, dovrebbe scongiurare questo pericolo. Purtroppo la sinistra bottegaia è clamorosamente assente in questi frangenti.

domenica 4 ottobre 2009

Milone

Caro Milone, come stai?
Che ne dici delle premure verso le gestanti?
D'accordo che la donna è - o era - un fiore, ma ti ricordi quando, nelle campagne o nei suburbi, pur fra rumori, scuotimenti (preliminari e successivi ) e vibrazioni dell'animo e del cuore, si filiava fino alla menopausa, che ritardava in funzione dell'uso?
Le femmine erano sfinite, ma più simpatiche, più allegre, nonostante la cura per i figli - il vero compito di una madre - e meno "uterine".
In quel mondo si prevedeva che la "forza lavoro" dovesse essere continuamente sostituita e che i figli dovessero esere numerosi perché molti morivano cammin facendo e i genitori aspiravano ad un'assistenza privata in vecchiaia.
Su tutto questo, occhiuta, vigilava la Chiesa, ma le donne si difendevano come meglio potevano dagli eccessi produttivi, con pozioni e amicali rimedi.
Negli opifici, al manifestarsi dei disturbi, non solo gestatori, i padroni e i loro delegati erano "generosi" di commenti, più pesanti della gravidanza stessa.
Con le fisime del giorno d'oggi: pari opportunità, managerialità, imprenditorialità, alle donne ( borghesi )si è riconosciuto solo il diritto all'ozio lamentoso e se ne sono assecondati i vizi autocelebrativi.
Meglio le allegre comari del tempo che fu, delle introverse od aggressive titolari di acronimo del giorno d'oggi, che, per evitare rumori, scuotimenti e vibrazioni acidule, prestano fedeltà, novelle e sempiterne vestali, al rito in uso.
Le donne, a causa della crisi economica, anch'essa endemica, fanno oggi "volontariamente" il soldato: anche gli ufficiali ed i sottufficiali hanno figlie femmine da sistemare, con il solito sistema della cooptazione dinastica.
Non avertene a male, ma il regolamento aziendale, pur così preciso e rispondente ai dettami di legge, assomiglia a quello, per pari specie, in vigore nelle forze armate.
La maternità si dovrebbe vivere con emozione, intimità e ponderazione e andrebbe comunicata con discrezione, fuori dal nido domestico, non tramite Postel o e-mail, "appena ne vengano a conoscenza", a PER e SSL, per finire interdette dal lavoro ( previa coinvolgimento della Direzione provinciale del lavoro, come in Cina per le gravidanze doppie ).
Mi sarebbe di conforto una tua opinione.
Spero, con questa mia, di non provocare scuotimenti e vibrazioni a nessuno e che la nota resti all'interno degli ambiti deputati.
Ciao. Pier Paolo