mercoledì 14 ottobre 2009

Esilii, migrazioni e angherie.

Dice Brodsjij, nel corso di una conferenza sugli esuli, a Vienna, nel 1987:
"Grazie alla sua precedente incarnazione, il nostro uomo - l'esule - è in grado di apprezzare i vantaggi sociali e morali della democrazia assai meglio di coloro che nella democrazia ci sono nati.
Ma proprio per la stessa ragione (alla quale si accompagna la barriera linguistica, che è il principale prodotto secondario dell'esilio) egli si trova in una totale incapacità di svolgere una parte significativa nella sua nuova società."
Perde, in sostanza, di significato.
E' quanto avviene agli intellettuali, scacciati dal loro paese perché non influenzino i loro connazionali, sottoposti alla dittatura, con idee difformi, perché, anche se hanno il coraggio di diffonderle, supportati dalla loro cultura e libertà, non contraddicano le ideologie strumentali, ammannite da chi detiene il potere e ne trae dei materiali vantaggi.
E' lo stesso genere di dittatura che si riscontra nelle organizzazioni aziendali ed in ogni ambito dove si persegua un risultato economico.
In politica, è il costume delle dittature fasciste e comuniste. Relegate queste ultime, per la loro complessità e tendenza al proselitismo ed all'espansione geografica e militare, nel limbo clandestino delle occasioni perdute, con la loro pretesa di subornare quanto era stato proprio delle civiltà e dei costumi ai quali si erano sovrapposte, resta il fascismo quotidiano, più autoritario che totalitario nella sua patologia, fatta di conformismi, prevaricazioni, adeguamenti costrittivi ed esclusioni.
Anche la burocrazia, autocautelativa, produce gli stessi, tossici effetti.
Burocrazia e pianificazione, obiettivi di utili crescenti e fagocitosi di chi non mantiene il ritmo e i comportamenti che se ne fanno conseguire, inducono sofferenze morali crescenti e fughe da se stessi, che si manifestano, secondo scienza e coscienza di ciascuno, in alienazioni, tempo per tempo cangianti e sostituentesi.
Per questo chi fugge la fame e la persecuzione, non troverà buona accoglienza nei paradisi di destinazione e serberà nel suo cuore un'amarezza diversa di cui non coglierà fino in fondo il significato. L'unica sua consolazione sarà, ora, di potersela permettere.
P.S.
E' per lo sradicamento dell'esiliato, forse, che Milan Kundera non ha mai vinto il premio Nobel per la letteratura, che le sue amare ed ironiche cronache praghesi gli avrebbero meritato. Il suo premio è stato il conseguimento dei lidi democratici e parigini, la sua pena è stata l'isterilirsi della vena creativa, che riverbera solo nei suoi saggi di critica letteraria, anzi culturale.

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