mercoledì 7 ottobre 2009

Il morto statuto.

E' morto Gino Giugni, sopravvissuto ad una stagione nella quale era riuscito a vendere legislativamente l'illusione ai lavoratori di avere una dignità. Era un socialista, come Giacomo Brodolini. Fornì la sua sapienza tecnica ad un testo liberatorio, intitolando diritti anche dentro l'universo concentrazionario della fabbrica e, con diverse mellifuità, degli uffici.
Consulente del lavoro, quindi, diverso dai D'Antona e dai Biagi, vittime fin che si vuole, ma non alieni dal vittimizzare gli altri, in nome della loro vanità accademica.
Forse, Giuigni, come Consigliere del Principe, ha vissuto ed interpretato un momento per lui favorevole. La discrasia temporale e culturale è comunque stridente.
La legge 300, detta Statuto dei diritti dei lavoratori, è ancora in vigore, ma è da tempo in disuso. Lo stesso giugni si era proposto ripetutamente per modificarla, ma le sue profferte, evidentemente giudicate inaffidabili, erano state lasciate cadere.
Nel 1970, all'epoca della sua promulgazione, la reazione padronale fu isterica: oggi, questa spesso grossolana categoria sociale, può sfogarla senza reticenze e paure, addirittura in nome del "progresso".
Sul piano politico e del costume, lo Statuto dei diritti dei lavoratori, cavalcato dai sindacati, soprattutto quelli storicamente acquiescenti con il padronato e la politica moderata, diede fiato a molte intemperanze e si mostrò uno strumento delicato in mani callose.
Sul versante degli uffici, divenne per molti uno strumento per mascherare le proprie inadeguatezze ( come per tanti capetti di ieri e di oggi ) e per arrogarsi extra-contrattuali riposi. Ma inserendo un cuneo ed aprendo una breccia in un sistema di gerarchie pre e a-legali, nelle quali la dignità delle persone veniva sistematicamente coartata, diede voce, per due decenni, a chi, in cambio di un salario senza decoro, ne era privo.
Anche se le finezze del diritto mal si attagliano alla dura vita sociale, famigliare e di subordinazione alla catena di montaggio ( o alla demenziale politica dei risultati che si allontanano progressivamente, mentre vengono raggiunti ) è stato, per il mondo del lavoro e per la cultura, un buon periodo, sciupato, dall'interno, dalla corruzione.
Purtroppo, anziché costituire una pietra miliare dell'evoluzione del costume lavorativo e sociale, divenne presto, per taluni, l'individuazione di una narcotizzazione della lotta di classe, a cui si opposero, oniricamente e librescamente, attraverso al lotta armata che si abbatté più sui simboli del loro mondo alterantivo, piuttosto che sulla realtà.
Nonostante tutto ciò, quella medievale stagione fu ricca di fermenti fertili, ma non seppe assurgere a volano di crescita e di modernizzazione della società italiana, come i contorcimenti spasmodici odierni stanno pericolosamente a documentare.

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