mercoledì 31 luglio 2013

L'ultima soperchieria.

Bradley Manning rischia l'estinzione in carcere per aver rivelato al mondo di che cosa consistano, nel costume quotidiano sul campo, le guerre al terrorismo del suo paese. Il ventiduenne soldato è comparso davanti alla Corte marziale dopo undici mesi di detenzione, nella condizione di prigioniero di guerra o quasi, cioè come i detenuti di Guantanamo, a Cuba. Sull'isola dei caraibi, gli statunitensi tengono una base e ora anche un campo di concentramento, pagando un regolare affitto al Governo di Raul Castro. La località, turisticamente amena, ispiratrice del celeberrimo Guantanamera, è popolata, all'interno della riserva militare, da tanti soldatini che vi vivono reclusi e vengono avvicendati ogni sei mesi. Sei mesi di abbrutimento, comunque. I cubani delle vicinanze li definiscono dei bravi ragazzi. Sono reclute diciannovenni e ventenni, come Manning, ancora intrisi dei principi evangelici delle tante concezioni morali e religiose di cui si compone l'america del nord; non hanno ancora capito che a loro si chiede obbedienza cieca e fedeltà alla consegna, o se lo hanno capito, continuano a coniugarle con l'etica coscienziale del protestantesimo. Non sono particolarmente istruiti, nè critici, provengono da famiglie modeste o di piccola borghesia. Fra questi ultimi si annovera Bradley Manning. Costui, senza cercare di farsi pagare in cambio del suo spionaggio, senza cercarne lucro alcuno, ha ritenuto che le vili e brutali azioni, come sparare su assembramenti di cittadini iracheni intenti in conversazione o urinare sui cadaveri di persone appena uccise, o, infine, condurre raid punitivi contro la popolazione civile, dopo essere stati attaccati da armati del Paese che avevano invaso, fossero realtà da far conoscere, da diffondere in Rete. Aveva inizialmente cercato un contatto con i due principali quotidiani statunitensi, che avevano lasciato cadere le sue documentate denunce. Ha contattato, a mezzo Rete, Julian Assange e le sue denunce, le sue cassette registrate hanno fatto il giro del mondo e, solo allora, sono state riprese dai quotidiani. Il sistema di monitoraggio dei singoli atti compiuti in zone nevralgiche e in ambienti delicati, ha impiegato poco ad individuare il propalatore, mentre non si è mai curato di conoscere gli abusi e gli atti criminali che ogni giorno vengono compiuti sui cittadini inermi e non di un paese invaso ed occupato. Il Sinedrio militare, dopo undici mesi di sevizie morali e probabilmente materiali, ha ripresentato il ragazzo, in brevi istantanee del processo. Il giovanissimo idealista è riuscito a sopravvivere e a mantenere un aspetto, un'apparenza di vigore e franchezza. E' cresciuto e si è irrobustito moralmente, tutto in una volta, di una robustezza che aveva già ingenuamente dimostrato di possedere in potenza. Le sue denunce, i suoi video sono sostanzialmente innocui, non espongono né le truppe, né il suo paese a rischi concreti. Quanto alla reputazione era già persa, ma non ancora documentata. Per questo, come una divinità offesa, o meglio come una Coorte di sacerdoti vendicatori, si è istruito un processo monstre, composto di ventidue capi di imputazione, per farlo invecchiare e spegnere in carcere, perché i misfatti di un esercito di mestiere possano rimanere nascosti sotto la retorica ufficiale e il megafono dei media. Troppe sono ancora le soperchierie da perpetrarsi per il mondo perché si possa ammettere che un soldatino, un ragazzo possa fare appello alla sua coscienza, per poi, soprattutto, ascoltarla.

martedì 30 luglio 2013

L'armageddon che da noi non viene mai.

Mentre, fra poche ore, si chiuderà(?) la vicenda politica di Silvio Berlusconi, attraverso la prima sentenza passata in giudicato, è prossimo il redde rationem della sinistra nata dalla fusione della DC popolare e dell'ex partito comunista. Sul piano politico e sottoculturale non poteva andare diversamente con i chiari di luna successivi alla fine del comunismo, dato che cattolici e socialisti non potranno mai confondersi. mentre, a livello sentimentale una simpatia sotto traccia collega le rispettive basi del fu PCI e di metà della già DC. Sulla base di un pasticcio irrazionale non si è dato luogo solo ad una formazione perdente anche se giocasse da sola, ma si sono fuse due banche, una rossa con base territoriale espansa a qualche utile transazione internazionale, ricca ma conservatrice e conservativa, con Banca Antonveneta, già frutto di una sintesi fra due realtà, una padovana e una lombardo veneta, della finanza cattolica. Sta di fatto che, operando sul mercato, si sono scoperte le macroscopiche approssimazioni dell'acquirente ufficializzato in MPS ( spesso l'acquirente non è reale, si procede per concambi azionari manipolatori e, alla fine, nessuno mette un soldo ). In questo caso, invece, sono usciti dalle casse del MPS dieci miliardi di euro: uno sproposito, soprattutto al buio della mancata preliminare stima dello stato patrimoniale dell'Antonveneta, non disastroso comunque, parametrato al prezzo. A detta di molti, più che di una stima sbagliata ed eccessiva, si è trattato di una trasfusione nelle condutture del costituendo Partito della Margherita, antesignano del PD. La catena evolutiva di queste fragili compagini è molto più complicata e sfuggente di quella umana, perché le specie vincenti sono troppo numerose e l'orizzontalità spartitoria della base cultural-popolare ne fraziona troppo i beneficiari, che, fra l'altro, non sono di miti pretese. I compagni anemici si sono avventurati con troppa superficialità nella palude delle clientele para confessionali e, nella veste di donatori - perché pare che i soldi siano stati effettivamente conferiti e non nominalmente scambiati - si sono trovati con l'acqua alla gola. Veleggiando, senza bussola, nel mare magnum del mercato, anche se afasico e domestico, già che c'erano, hanno per anni mascherato il potenziale default attraverso operazioni sui derivati, cioè scommesse sul futuro, che hanno occultato lo stato reale della banca post acquisizione. Nessuno crede che la situazione sia sfuggita agli ispettori della Banca d'Italia, anche se i derivati, per degli statali, quali sono i qualificatissimi tecnici della banca centrale, restano, probabilmente, oscuri. Ma che lo stato dei conti non fosse esplicito dovevano saperlo. Sta per abbattersi sul MPS e sulla politica "democratica" uno tsunami giudiziario del tutto simile a quello che ha coinvolto, a posteriori, l'irresistibile, ma non chiara, ascesa di Silvio Berlusconi e, vedrete, che avrà la stessa genesi, la stessa trafila giudiziaria, solo più rapida se sarà circoscritta alla banca. Ma se toccherà gli apparati dell'incongrua brigata, saranno i magistrati a trovarsi sotto accusa, mentre i capataz rifiuteranno di dimettersi, al netto di qualche caso "esemplare". Questo nostro Paese non possiede neanche un barlume dell' etica civile che caratterizza almeno le classi dirigenti di Paesi alieni e frigidi e, in questo senso, l'amoralità è democratica, orizzontale e condivisa. Lo scandalo consiste, casomai, nel non poter prendere parte al banchetto. Le acque per ora si sono solo ritratte: aspettiamo l'onda e poi...gli ex democristiani si separeranno ( divorziare mai, non è ammesso ), gli ex comunisti italiani, unici fra tutti gli ex comunisti d'Europa, resteranno con i cocci da incollare? Potrebbe essere una situazione da larghe intese, con tanti sacrifici per chi continua a tirare la carretta. Da noi, il Messia è già arrivato, ma il giudizio finale tarda sempre.

domenica 28 luglio 2013

La festa è finita.

Il pampa-Papa ha concluso sulla spiaggia di Copacabana la sua Festa della gioventù, che non avrebbe potuto trovare scenario più adeguato in quella terra luminosa e povera, violenta e vitale. Pare che ci fossero tre milioni di partecipanti, forse discesi dalla favela di Santa Marta che ne ospita altrettanti, abbarbicata su di una collina prospiciente alla celebratissima distesa di sabbia, invece semiartificiale. Se i tre milioni non erano solo favelados, è prevedibile che un milione sia stato borseggiato, anche dai figli di chi mi rapinò sull'avenida di Copacabana mentre rientravo in albergo. Il Brasile è lo spaccato delle cesure sociali, nel quale ad una borghesia rintanata, ma tecnologicamente evoluta, fa riscontro una miriade di diseredati, festosi e allegri finché le forze li sorreggono, che poi declinano rapidamente. In Brasile metà della popolazione ha meno di sedici anni; la maggior parte degli abitanti alla mia età sono già morti. Commozione e speranza, inscindibili in anime fresche, ma le prospettive in quel paese-continente sono solo illusorie, anche se una fede sincrestistica e la commistione biologica, unica al mondo, ne cinetizzano le brevi, brevissime e sorridenti dinamiche. Se l'economia mondiale può abbandonare una minoranza di Paesi poveri, in quanto economicamente non interessanti e privi di importanza, può comportarsi allo stesso modo con le persone povere all'interno dei confini di ogni paese, se e finché il numero dei consumatori potenzialmente interessanti resta abbastanza grande e, se non lo è, finchè sussitono ambiti di mercato nei pressi o ovunque nel mondo, per la produzione e le competenze impiegabili negli scenari economici internazionali. Creando ovunque sacche di esclusione. Osservando la situazione dall'alto e con distacco, come fanno gli economisti ma anche i contabili aziendali, è possibile affermare che nessuno, fra chi commercia i beni, ha realmente bisogno di quel 10% di popolazione statunitense, ad esempio, le cui paghe orarie sono calate del 16%, dal 1979. Una concezione simile, però, non potrebbe essere, né è stata, sostenuta da chi viva all'interno di una economia nazionale, pur se quest'ultima è inserita in un'economia mondiale ; vale a dire, da tutti i governi nazionali e dalla maggioranza degli abitanti dei loro Paesi. In ogni caso, non sarà possibile evitare le conseguenze politiche e sociali degli sconvolgimenti economici mondiali sulle periferie del mondo e su quelle dei singoli Stati. Qualunque sia la natura di questi problemi, un'economia di libero mercato, senza restrizioni né controlli, non può offrire nessuna soluzione ad essi. ( Anch'io, derubato del portafoglio in Brasile, ne comperai un'altro di ottima fattura, da Stern, che, nuovo, è ancora riposto in un cassetto perché privo di portamonete, che in Brasile non si usavano ). Non può, anzi, che peggiorare fenomeni quali la crescita della disoccupazione e della sottoccupazione permanenti, dal momento che la scelta razionale dell'impresa, orientata al profitto, è di ridurre, il più possibile, il numero dei dipendenti, visto che gli esseri umani sono più costosi dei computer; ridurre il più possibile tutte le tasse sulla sicurezza sociale e ogni tassa in generale. E' il mantra di tutte le destre. Non c'è nessuna ragione per ritenere che un'economia mondiale di libero mercato possa risolvere questi problemi. Fino alla metà degli anni '70, il capitalismo nazionale e mondiale non aveva mai operato in condizioni di libero mercato allo stato puro e, qualora tali condizioni fossero state presenti, non ne aveva necessariamente tratto beneficio. Le dinamiche dell'economia mondiale sono contraddette, almeno fino a quando non saranno spazzate via, se i Governi nazionali non saranno più in grado di contenerne le influenze, dalle piccole casseforti dei capitali "strategici" o comunque da poter lasciare inutilizzati in qualche forziere vetusto o ammuffito. Nell'Ottocento - sono circa duecento e vent'anni che il capitalismo è egemone, l'applicazione del modello di libero commercio è coinciso con la depressione economica, della quale è stato la causa principale. Nel ventesimo secolo, i suoi miracoli economici non vennero ottenuti con il laissez-faire, ma contro di esso. La logica del mercato, insomma, che, con entusiastica ignoranza dei cicli storici, si era celebrata dall'inizio degli anni '80 e che aveva creato il demente fenomeno dello yuppismo - oggi agitato e contraddetto nelle piccole aziende di famiglia e di nicchia depositaria - si è già scontrata con una realtà storicamente nota. Tuttavia, due gravi ostacoli si oppongono al ritorno di una concezione realistica dell'economia: l'assenza di una minaccia credibile al sistema capitalistico, privano il capitalismo dello stimolo a riformarsi, per farsi accettare. Al contrario, il declino e la frammentazione della classe operaia e dei suoi movimenti e la riduzione dei poveri, nei Paesi sviluppati, ad una sottoclasse di minoranza, riducono al minimo l'incentivo ad una riforma. Tuttavia, il risorgere di movimenti di ultradestra e l'inattesa rinascita di consenso per gli eredi del Partito comunista, nei Paesi dell'ex socialismo reale, sono segnali ammonitori, tranne per chi è accecato dall'egoismo o rinserrato in fortini vetusti, ma blindati. L'altro ostacolo alla riforma del capitalismo è proprio il processo di mondializzazione , i cui effetti sono accentuati dallo smantellamento dei meccanismi nazionali che servivano a proteggere le vittime di una economia mondiale, dai suoi costi sociali. Sarà questo lo scenario degli anni a venire, anche se questo o quel Ministro dell'economia intravede ( ma non sarà la cataratta? ) luci all'orizzonte. Saranno quelle della vostra Festa, cari ragazzi. Godetevela finché potete in quel contesto lussureggiante. A Cracovia, gli stessi principi gioiosi assumeranno una veste molto più grigia e alcuni di voi saranno già troppo attempati, per parteciparvi.

Fiat voluntas sua.

La vicenda della FIAT è emblematica del processo di riforma del capitalismo italiano, che, pur producendo un violento impoverimento generazionale, non precipiterà l'industria e la società italiane negli abissi della Grecia – molto pubblicizzati - e dell'ignorato Portogallo, almeno fino ad ora. E' diversa la dimensione dei rispettivi paesi e l'Italia che sopravviverà sarà icona per tutta la nazione, anche se le diverse realtà territoriali avranno poco da spartire, l'una con l'altra. Ero poco più che bambino, quando sembrava che la FIAT stesse per fondersi con la Citroen. Poi fu la volta della Wolkswagen. Mentre apriva succursali in Unione sovietica ( a Togliattigrad ) e in Polonia per far contento il Partito comunista italiano e compensarne gli affari indotti e le donazioni della Casa madre, continuava a immigrare frotte di meridionali, che, nella provinciale e chiusa realtà piemontese, finirono per affossarsi nel quartiere di San Salvario, oggi occupato dai negri ( consentitemi il politicamente scorretto, ne ho piene le tasche dei manierismi ), dopo un trattamento parimenti razzistico da parte dei meridionali che hanno ceduto loro gli appartamenti. Torino è l'unica città d'Italia nella quale il Muezzin chiama, per ora solo alle 17, i fedeli alla preghiera con l'altoparlante. I contadini meridionali, trasformatisi, come Mimì metallurgico, in operai FIAT, si comunistizzavano in loco e, un po' per rivalsa e un po' per "contrastare il capitalismo" producevano guasti alle autovetture: la FIAT, anche in tempi recenti, è stata la marca con i maggiori difetti di fabbricazione, anche gravi. Adesso le produzioni decentrate dei principali concorrenti, in Messico ad esempio, le stanno facendo recuperare lo svantaggio competitivo. La condotta sindacale di acceso contrasto aveva tre origini: I ritmi e gli infortuni che ne derivavano, erano quotidiani e in alcuni casi, menomanti. Il controllo all'interno degli stabilimenti era carcerario; esistevano alcuni reparti ghetto. Il terzo elemento era l'aspirazione, più dei sindacati moderati che della CGIL, che pure sperava ( vanamente ) di entrare a farne parte, che consisteva nell'auspicata irizzazione di una azienda con centomila dipendenti, che spesso era sull'orlo del collasso, sanato con ogni sorta di trasfusione finanziaria da parte dello Stato, in cambio di assunzioni generiche degli immigrati. La FIAT ha cavalcato gli eventi, ha preso gli aiuti, è assurta ad un ruolo politico che le ha fatto preferire a tecnici di prim'ordine come l'Ing. Ghidella, burocrati romani, ammanicati con il potere politico, come Cesare Romiti, che non ne hanno favorito, né l'evoluzione tecnica, né la salute economica. Ed eccoci ai giorni nostri. La FIAT non ha curato, per così dire, i dettagli ed è stata scalzata in numerosi segmenti merceologici dalla concorrenza, anche quella minore, che nelle lacune produttive si è inserita. Anzichè essere ceduta all'I.R.I. - che poi sarebbe sparito – la FIAT beneficiò dei buoni uffici di Bettino Craxi, il nazionalista, che la preferì alla FORD – che aveva fatto un'offerta migliore – quando fu l'I.R.I. a cedere l'Alfa Romeo – da cui sparì il sottomarchio Milano -. Si trovò ad essere il marchio unico nazionale ed uno dei maggiori in europa, con la gamma più completa di autovetture da offrire al mercato. Il sistema avrebbe dovuto evolversi, attraverso la cessione di rami di produzione e l'acquisizione di altri – ma, date le dimensioni – molto meglio attraverso fusioni, cioè operazioni sul capitale e sulla razionalizzazione dei modelli, per segmenti di mercato. Ma sarebbe venuta meno l'appartenenza alla famiglia, rappresentata anche da personaggi alla Lapo Elkan. Non sia mai! Ecco che, quindi, si è avvitata, in una contraddizione dimensionale ed economica. Infine, è stata lei a "salvare" la Chrysler ed a spostare il baricentro dei suoi affari in america. Le chiusure delle fabbriche nel deserto del sud d'Italia ne sono stata l'inevitabile, anche se contrastata conseguenza. In quei luoghi, in quarantacinque anni di attività, non è stato costruito niente in termini di infrastrutture civili, non è cambiata la natura della società, non ostante i cospicui finanziamenti endogeni e comunitari. Gli operai di mezza età, sono tornati a sedersi al tavolo dei bar, dopo qualche protesta di maniera. La Fabbrica Italiana Automobili Torino, con il suo brutto marchio in caratteri littori, vaga per i contesti internazionali, alla ricerca del mantenimento del suo tornaconto, diluendo la rintracciabilità dei suoi investimenti. I rampolli, che si sposeranno, anche se preferiranno sempre in cuor loro i trans, si baloccano in linee ottiche. Ma la ex classe operaia non potrà più cantare, come negli anni '50 e ' 60: "le fabbriche d'Italia chiudono per tanti guai, viva la FIAT che non si chiude mai". Parte della produzione - che dovrebbe essere ceduta - cesserà, per mancanza di acquirenti che, apportatori, a loro volta, di ristrutturazioni profonde, sarebbero sindacalmente e forse politicamente osteggiati, salvo donazioni tangentizie, che, riguardando soggetti stranieri, non sarebbero neppure investigate. Parte, invece, sarà esperita all'estero, dove però, ai bassi costi non pare corrispondere la buona accoglienza. C'è, infatti, nella galassia FIAT un senso di appartenenza, di proprietà materiale, che contrasta con l'anonima e dispersiva turbo-economia. Le determinazioni vengono ancora assunte in consigli di famiglia, il controllo si esercita attraverso un modesto possesso di capitali e un ferreo controllo sulla galassia dei contributi diffusi, ferreo controllo che si tasfonde nelle officine. Solo Carlo De Benedetti, sfruttando questa debolezza potenziale, dopo solo sei mesi da Amministratore delegato, stava sfilando l'azienda alla famiglia, che se ne accorse in extremis. Poi, Umberto sembrava propenso a trasformare la FIAT in una finanziaria pura, ma venne stoppato dagli altri membri della famiglia e da Cesare Romiti. Oggi, dopo aver agitato una contrazione incostituzionale della rappresentanza sindacale e l'adozione di costumi coreani, l'azienda è tornata in un limbo di indeterminatezza, come tutta la società civile ed economica. Il tentativo di importare in Italia regole, in altre forme sempre applicate in ditta, ha avuto una valenza tutta politica e non è riuscito. Per le sue dimensioni e interessi e senza più l'apporto costante delle finanze statali, è normale che la FIAT si sparga, delocalizzi e specializzi. Lo Stato corporativo è finito da settant'anni e la Skoda o la Trabant per i proletari non sono state mai prodotte, Bianchina a parte. Quindi, anche le rimostranze sindacali, affiancatrici od ostative, sono state pubblicitarie e funzionali a mai soddisfatti e non più attuali, auspici istituzionalizzatori; la FIOM sarà costretta a diventare un partito o la componente di un nuovo partito, frutto probabile di riposizionamenti di formazioni già esistenti. Sarà un altro effetto della ristrutturazione globale in articulo nationale.

sabato 27 luglio 2013

Stentati esordi.

E' già il secondo omicidio politico, in Tunisia, di esponenti del partito di opposizione al Governo che, scaturito dalla primavera araba, che è cominciata in Tunisia, si è poi ripiegato in forme di regressione ideologica e civile, sulle orme di un recupero, neanche troppo lento, della tradizione e soprattutto della legislazione islamica, in un piccolo Paese che, nelle città, almeno, se ne era affrancato. Non si può assumere la carica di leader dell'opposizione, senza venire uccisi: è toccato alcuni mesi fa al primo segretario e pochi giorni or sono, al suo successore. Sembra la mattanza che ha colpito gli oppositori della mafia a Palermo o i suoi manutengoli divenuti inefficaci. L'ultimo ucciso, un certo Brahami, aveva una cognata a Trento, sposata a suo fratello, che gestisce una ditta di trasporti. E' stata lei a rendicontare, per noi, i suoi funerali, a tesserne lo scontato elogio e a lodare lo "spirito di vicinanza al popolo dell'esercito". ( ma ci sarà anche il popolo che ha eletto il Governo in carica ). Affacciatosi a una democrazia non esclusivamente d'importazione, la Tunisia sembra in preda ai regolamenti di conti delle "famiglie", in una similitudine impressionante con i costumi della mafia siciliana. Anche i tratti somatici moreschi ( di chi non è normanno o ispanico e, casomai, francese, prima dei Vespri ) sono speculari. Dolore e lutti sono il germe della democrazia in un terreno arido e corrotto.

La potenza dell'ignoranza.

Il colpo di Stato in Egitto si è trasformato in guerra civile. Il sollevamento di un Presidente, democraticamente eletto, ma che stava trascinando il suo grande Paese verso un islamismo in progress, di supporto ad Hamas, che, a sua volta, ha vinto le elezioni nella striscia di Gaza, viene altrettanto decisamente osteggiato dalla Fratellanza musulmana, che ha occupato la roccaforte dei contestatori che hanno favorito il golpe, piazza Taharir. Le piazze sono luoghi di aggregazione; in esse non si esercitano i rituali del potere - tranne che nei regimi - e, quando rappresentano genuine rivolte popolari, sono represse con intimidazioni, percosse e umiliazioni, ma, se, come nel caso dei determinatissimi gruppi religiosi, risultano incontenibili, vengono letteralmente annientate con le armi. Colpi diretti, per uccidere. Non sarà l'odierna carneficina a fermare la controrivolta e l'Egitto conoscerà una esperienza analoga a quella tutt'ora in corso in un altro grande Paese arabo, l'Algeria. Constatato che il deposto Presidente non accettava di assecondare la pretesa militaresca, è stato arrestato - sempre con detenzioni brevi, per così dire in evoluzione - e poi accusato ed inquisito per un grappolo di accuse che configurano l'attentato alla Costituzione, che i militari hanno sospeso,fino allo spionaggio in favore di Hamas, come a dire, di un Governo straniero. Una messa in scena, anche se parte delle accuse fossero fondate. Non è uso di una formazione politico-religiosa "abbozzare" e le conseguenze si sono viste subito, con una criminale accentuazione sul versante del potere costituito, ma incerto, perché espressione contraddittoria di una parte importante di quel paese, contro un'altra, altrettanto importante e ben sicura di sé. A contendersi il terreno, folle di diseredati, che, senza speranze, affermano vitalisticamente la loro non riconosciuta dignità, finché la morte non li sollevi dal loro assurdo sopravvivere. Di quel cesso di Governo che ci ritroviamo, solo il Ministro Kyenge, ha garbo, serietà e coraggio. Rappresenta il suo Ministero con coerenza e senza tentennamenti, non cerca la conferenza ma è aperta al dialogo con chi glielo chieda. E' sobria ed educata. Per questo è oggetto di una lapidazione verbale - per ora - che accompagna ogni sua iniziativa. I contenuti della contestazione nei suoi confronti, non sussistono. Si rivolgono ad una platea incolta che possa assentire a paragoni con le scimmie, che paventi l'uomo nero stupratore, che si ecciti con le banane e che corredi gli itinerari del Ministro di feticci, simili agli spaventapasseri. Lei fa il suo lavoro, senza distrarsi, ben sapendo che, contro l'ignoranza, il ragionamento è vano. L'ultima contestazione alla Kyenge si è verificata in Romagna, proprio in coincidenza con la vicenda di una stagionale italiana che si era "impiegata come baby sitter" presso uno dei tanti alberghetti di Riccione e che si era trovata a svolgere compiti plurimi per quindici ore ininterrotte al giorno. Il suo contratto prevedeva che le ore dovevano essere quindici alla settimana. A norma del contratto di settore, alla ragazza venivano corrisposti ottocento euro mensili. Ribellatasi alla preannunciata riduzione del salario, la lavoratrice veniva posta di fronte all'aut-aut: o firmare una lettera di dimissioni e poter usufruire, per l'ultima volta, della sua stanza in albergo o dormire all'aperto. E così è avvenuto. Almeno la vicenda è venuta alla luce del sole. Se non ci fossero contratti e tariffe, che si cerca sistematicamente di manipolare, potete star certi, cari amici, che gli "imprenditori" applicherebbero tariffe variabili ad ogni prestazione lavorativa, anziché - come fanno - orari in nero per tariffe standard. Soprattutto, mi vien da constatare, in questa regione, così celebrata per le sue strutture sociali - in via di deframmentazione - ma così provinciale e meschina sul fronte di chi usufruisce di lavoro. La disgraziata precaria aveva già lavorato in mezza Italia, ma una situazione del genere non l'aveva mai vissuta. La realtà ha sempre due facce, credem'a me.

venerdì 26 luglio 2013

Percorrenze.

Si può dire qualunque cosa di questo Papa secondo e Francesco primo, gesuita e quindi politico: che la proposizione della sua immagine è di marketing, che le sue parole e le certamente contraddette intenzioni non cambieranno di un nulla la condizione reale dei poveri, ecc. Ma una cosa l'ha certificata, con i crismi del prestigio e del potere,apparentemente dismessi, dato che la semplice verità di chi la vive, come si sa, non conta nulla; il modello economico che la fine della guerra fredda ha slacciato da ogni vincolo e da ogni contesa, moltiplica, conferma, ribadisce e schiaccia, non solo la miseria diffusa, ma l'ideologia dell'egoismo e della irresponsabilità. I poveri delle favelas, della periferie del mondo, intese come contenitori di esclusione rispetto ai quartieri sicuri, eleganti e sonnacchiosamente annoiati, non sono il frutto degli ultimi eventi, ma è da lì che il politico Bergoglio sa di dover ripartire per non farsi irretire dalle piccole convenienze, caudatarie delle grandi, facendovi ricadere la sua Ecclesia. E' dura, buon Francesco, essere poveri e sovrani. Buon viaggio, comunque. Guardati dagli imitatori.

giovedì 25 luglio 2013

Ferarum ritu

Una bambina yemenita di 11 anni è stata sottratta al suo matrimonio, combinato dalla sua famiglia con un uomo maturo, da uno zio che le ha conferito anche la sicurezza necessaria a denunciare la sua vicenda ed a proporre un manifesto contro la vendita delle bambine in "spose", in società immobili nel loro costume. La fortunata vicenda che non mitigherà l'infelicità di quelle creature, è una delle tante e dissimulate espressioni della pedofilia, in questo caso, nel mondo arcaico. Ho potuto vedere in rete un documentario, realizzato nelle strade di Napoli, a cura del Comune stesso, nel quale, a bordo di un'automobile, guidata da una giovane assistente sociale, si percorrevano le vie della prostituzione minorile e infantile, praticata da sempre nella città partenopea e descritta letterariamente da almeno tre generazioni. Ebbene, le famiglie - dicevano i protagonisti dell'indagine - continuano a mandare per strada, a prostituirsi, i loro figli, bambini e bambine, per i quali c'è un mercato a cielo aperto. La macchina della illustratrice, lungo il percorso, veniva colpita dai sassi che i ragazzini, "disturbati", le lanciavano per allontanarla. Tutti i visi erano schermati. Infine, un assessore, anche lui sullo sfondo delle zone dove si svolge lo straziante mercato, si limitava a descriverlo e ad invocare l'intervento di non si sa chi, se neanche l'amministrazione pubblica, compresa - devo ritenere, anche se non se ne parlava - quella di polizia, non fanno altro che constatare e commentare. Anche in India, a Bombay ( Mumbay) in quelli che in occidente definiremmo con ipocrisia "quartieri a luci rosse", vivono, si riproducono e costituiscono delle vere e proprie famiglie, tanti "intoccabii" che praticano, per vivere, la propria prostituzione e, prestissimo, quella dei loro figli e figlie. E' una schiavitù scoperta, dichiarata, ignorata e utilizzata. In occidente, l'abuso infantile viene ugualmente praticato, come si scopre tristemente in ambiti degradati economicamente e culturalmente, in una percentuale certamente inferiore a quella reale e come "non si scopre", con ogni probabilità in ambienti borghesi e alto-borghesi. Sembrano quasi emersioni dalle latebre dell'evoluzione, rimosse, occultate e negate, ma purtroppo - a quanto pare - irresistibili, in persone che non possono non avvertire lo sconvolgimento psicologico che provocano. E' un contegno che è praticato ( perchè non posso credere che il fenomeno si sia estinto con la sua denuncia ) nell'ambito della corporazione degli ecclesiastici, in ogni parte del mondo e che pare presente anche nell'ambito di persone che, per mestiere, missione, vocazione o semplice occasione, hanno facilità e costanza nella frequentazione dei fanciulli. E' ben noto - ma non orizzontalmente - che l'efebismo, nell'antichità, non era una platonica contemplazione estetica. Temo che non ci sia soluzione, se non quella propugnata da Gesù, che certamente ne vedeva la pratica nella società in cui viveva: meglio togliersi la vita, prima di infelicitare quella di chi vi si affaccia.

lunedì 22 luglio 2013

La vita è un vuoto che si può riempire in molti modi.

Erik Priebke compirà 100 anni lunedì prossimo. Abita a Roma in un appartamento del centro e frequenta ristoranti. Non soffre di solitudine perchè sfreccia in scooter ( o almeno sfrecciava fino a tre anni or sono ) trasportato dai suoi attempati camerati italiani, numerosi e attivi politicamente a Roma, dove sussistono numerosi "acquartieramenti" per i fascisti irredimibili, che non si sono mai trovati fuori contesto e che, anzi, conducono una intensa vita sociale. Pare che si stia avvicinando al cristianesimo e che abbia solo ubbidito agli ordini. Un fiore simbolico alla memoria di ciascuna delle sue vittime. Ne riceverà anche lui, quando sarà morto e di questo dobbiamo rimanere consapevoli. Se non erro, il capitano Priebke fu rintracciato a Bariloche, in Argentina, dalla Fondazione Simon Wiesenthall. L'Argentina e il sud america furono un canale privilegiato d'espatrio di questi criminali, perché molti di quei cialtroneschi regimi politici, si ispiravano al nazismo oppure erano dichiaratamente o nei fatti fascisti. Il Vaticano organizzò un corridoio che ne favori la latitanza, nel corso di un paio d'anni, dopo la fine della guerra. Arrestato, fu trasferito in Italia, in quanto ufficiale e personale esecutore della decimazione delle Fosse Ardeatine, di cui si erano tenute retoriche celebrazioni, ora molto spente, ma per la quale, le ignave autorità italiane avrebbero sperato di non incappare più in un diretto responsabile. Altri gerarchi nazisti, attivi in Italia, dopo la rottura dell'alleanza con la Germania erano stati rintracciati, ma la Germania stessa ( allora solo occidentale ) che aveva favorito la fuga dal Celio ( d'accordo con le autorità politiche ( Ministro Lattanzio ) e militari italiane di un moribondo, Eric Kappler, comandante della guarnigione di Roma, aveva sempre rifiutato l'estradizione, con relativo respiro di sollievo dell'imbelle rappresentanza politica nazionale, in gran parte neppure di sentimenti antifascisti. Almeno, gli Israeliani, quando potevano raggiungerli direttamente, li facevano fuori, evitando complici rogatorie internazionali, prendendosi il risarcimento dovuto ai loro morti. Noi, invece, no. Non ci identifichiamo con quei morti, non ci identifichiamo con nessuno che non sia - e spesso ipocritamente - della nostra famiglia, della nostra "parrocchia", del nostro nucleo di interessi. Per questo è possibile che si festeggi anche la pellaccia di un nemico, fino a poco prima alleato E' l'Italia che ti aspetti.

venerdì 19 luglio 2013

La mafia mi ucciderà, ma saranno stati altri a volerlo. Paolo Borsellino.

Perchè la mafia non è un'accolita di zoticoni ignoranti, ma il braccio armato tradizionalista - tranne che negli scopi estranei alla sua vetusta mentalità - del potere fondiario, di cui costituì originariamente la Guardia bianca, gattopardescamente riformatosi nelle apparenze, ma rimasto chiuso in se stesso, nell'ambito di una società che vuole immobile e non influenzabile da metodiche dinamiche e trasparenti. La mafia è sempre stata nello Stato, lo ha affiancato ma soprattutto se ne è servita. Lo Stato è contro chi si oppone alla mafia, che considera eversori del suo equilibrio e trova nella mafia volgare i suoi esecutori. Le terre dominate dai poteri borbonici, intatti nella loro stratificazione, sono finanziariamente ricche, ma nessuno di quei denari viene investito nell'evoluzione economica e civile di quelle terre rassegnate o complici. Involve in depositi statici e in partite di giro a favore di un'appartata e riverita società di reddittuari. La Sicilia conosce la maggior densità di sportelli bancari.

Insostituibili.

Senza questo governo ( penoso )le conseguenze sarebbero irrecuperabili. Ipse dixit. Tra un rimpasto e una dimissione, pur in un contesto nel quale l'uno non può più fare la morale all'altro, in questo consorzio che ricorda quello dei ladri di Pisa, che cosa c'è da recuperare? E' solo una condivisione fallimentare. Tale Lady, agente della C.I.A. a Milano, che comandò drappelli formati da poliziotti e carabinieri italiani, durante il rapimento di Abu Homar, inseguito da un mandato di cattura internazionale, firmato dal Ministro Severino, è già stato rimesso in libertà ed è in volo per gli Stati Uniti. L'hanno beccato perché faceva il suo lavoro criminale, sotto copertura, in un Paese qualsiasi, dove le autorità giudiziarie non sono state insensibili alle rogatorie internazionali, ma le autorità politiche lo hanno subito levato d'impiccio. Dei trenta Gmen rapitori, era l'unico ad essere stato identificato e inquisito. Era stato trasferito - non importa dove - ed era ancora sul campo. Questo imprescindibile governo ( ma anche altri )faranno finta di protestare. L'unico che ebbe un sussulto di dignità nazionale fu Bettino Craxi, che, pur colpevole di ruberie, fece poi la fine che tutti sappiamo, salvando la ghirba attraverso la latitanza e l'esilio, dove nessuno lo importunò, per non esserne importunato. Sbeffeggiati da americani, tedeschi e kazaki, eppure lo stallo scoppiettante di miserabili scandali non è rimovibile. Sarebbe come rimuovere il sistema che lo sottende. Anche in passato fummo sanguinosamente interferiti: dagli israeliani che fecero precipatare un piccolo aereo con tre carabinieri a bordo, decollato in missione da Venezia, per lanciare un segnale mafioso al governo Moro, che aveva stretto accordi di omessi controlli con i palestinesi, in transito sul nostro territorio. A questo atto criminale, insabbiato e taciuto, succedette la sparatoria al banco di accettazione della El Al israeliana, a Fiumicino, attaccato da un commando pelestinese, che ricevette la risposta di agenti speciali che staccavano i ticket dei passeggeri, per dissimularsi. Quando si dice la proattività. Un assaltante fu finito, al suolo, con un colpo alla testa, mentre giaceva ferito. Il governo tacque. Anche Moro ha fatto, guardando le cose in controluce, una fine da ignavo. Per chiudere, sette anni di reclusione e interdizione perpetua dal ricoprire incarichi pubblici per il direttore di un quotidiano televisivo, anzi di due, perché fu già direttore del TG1, con un'accusa miserabile. L'eccellenza del ruffiano. Ne ho conosciuto, anch'io, l'espressione. Questa e non quella narrata, è l'Italia.

La democrazia autoritaria.

Siamo da tempo precipitati in un sistema che con la democrazia non ha nulla a che spartire, ma non è una condizione originale. L'Italia è sempre stata quella che si rappresenta ora e i passaggi giudiziari che hanno cassato la prima Repubblica, dietro violento imput degli Statunitensi, non ne hanno cambiato la natura sociale, né hanno alterato i meccanismi del potere che sull'assemblaggio sociale si fondava e si fonda. Sono anzi riemersi, dopo decenni di ipocrita rimozione, tutti gli stigmi di un fascismo occasionalmente superato in sede bellica, nel contesto di una società sfilacciata e restituita alla sua superficialità. Quando ci si adagia su una mentalità basata sul silenzio prudenziale e, in qualche caso, sull'obbedienza cieca, l'impatto morale e ambientale è devastante: si incistano e poi si radicano nel profondo le tabe del servilismo. Siamo stati travolti e non riusciamo a rialzarci, da un fenomeno uniforme di impoverimento, morale e materiale e di crisi, nel quale sono riverberate forme di rifeudalizzazione e si è ricreato un vasto e diffuso ceto dipendente, composto da famigli, servidorame, che cerca in questo stato una tutela dalla precarietà. Sul piano istituzionale, abbiamo un Presidente della Repubblica garante di poteri alieni, in un Paese nel quale funzionari esteri comandano operazioni di polizia, senza che il Ministro preposto "ne sappia nulla". In fondo, Napolitano è come quei fascisti che presero altre sembianze dopo la caduta del regime, rimanendo intrisi degli umori, dei sentimenti e dei comportamenti, dissimulati a parole, della loro costituzione interiore. Sul versante comunista, che è franato, il Funzionario Napolitano è la stessa cosa; per i paradossi storici, può, in fin di vita, impersonarne i tratti illiberali, dirigistici e anormativi, nei quali guazzano i corrotti tradizionali, gli aspiranti corrotti e tutta un'insipiente accolita politica, ormai conchiusa nel suo recinto e fine a se stessa. In questi termini, la situazione non è suscettibile di cambiamenti. Occorrono sommovimenti radicali, drammatici ma necessari.

giovedì 18 luglio 2013

Società omertose.

Antonio Ingroia ha fatto una scelta che va a sommarsi ai molti misteri omertosi palermitani. Quando era in prima linea e nell'imminenza dei processi da lui istruiti, se ne è andato per due mesi in Guatemala, per un prestigioso, ma distraente incarico, dal momento che il suo Nicaragua ce l'aveva in Sicilia. E' sembrato un tentativo di sottrarsi ad un prevedibile regolamento di conti, in una fase in cui la radicalità dello scontro, condotto coraggiosamente, aveva toccato i santuari della politica e coinvolto il Presidente della Repubblica. Non ha fatto in tempo a inimicarsi i trafficanti nicaraguensi perchè, dopo sessanta giorni, durante i quali aveva fatto ben due incursioni in Italia, ha abbandonato armi e bagagli per fiondarsi sulle elezioni politiche nazionali con una formazione che nell'acronimo ricordava un remake di Rifondazione comunista, anziché una improbabile Rivoluzione civile. Tanto è vero che, girata tutta l'Italia, senza mezzi, né appoggi mediatici significativi, ha preso una manciata di voti, compromettendo la carriera giudiziaria e quella politica insieme. Si è trovato disoccupato, non avendo accettato di esercitare il suo mandato ad Aosta, unica realtà nella quale non si era candidato. L'effetto trascinamento, sulla sola base dell'antimafia non ha avuto nessun successo, come volevasi dimostrare, neppure nelle regioni che ne sono più infestate, non più relegabili nel solo mezzogiorno. Ciò non ostante e seppur recuperato ad un incarico ben remunerato come la Presidenza di un Istituto della Regione Sicilia, è in un limbo, nel quale e dal quale vuole agitare un impegno politico che, seppur lodevole, pare privo di prospettive e che se si eserciterà sul fronte del contrasto alla malvita lo avrà restituito al proscenio nel quale la sua eliminazione - producibile dovunque - sembra ricontestualizzarsi. In quali intrighi o in quali ambasce pirandelliane si è involuto il coraggioso P.M.? I parenti del suo antesignano, il giudice Borsellino, del quale era stato sostituto ed al quale era subentrato, lo hanno sempre ignorato e pubblicamente snobbato se richiesti di giudizi sul suo conto. La famiglia Borsellino è di estrema destra, come il giudice ucciso, secondo un costume vetero-borghese radicatissino nell'estremo sud d'Italia. Ingroia è un dichiarato comunista. Anche il suo aspetto dimesso e la laconicità sembrano tradire la sua appartenenza d'origine alle classi subalterne. Potrebbe essere soltanto questo il senso della sottovalutazione. Sta di fatto, però, che il suo sgusciamento apparente in ambito amministrativo, sembra riaffermare l'eterna subordinazione al potere, borbonico e feudale, prima che mafioso, che caratterizza l'Italia meridionale in genere e la Sicilia anche in termini ridondanti e barocchi. Ieri, il suo principale accusato nell'ambito della trattativa fra lo Stato e la mafia - da non intendersi come quell'accozzaglia di bruti ignoranti, per cui viene spacciata mediaticamente la mafia e sulla quale, doppiamente e perfidamente ironizzava il Senatore Andreotti, è stato assolto, ponendo un'ipoteca insabbiatoria sugli altri processi e sull'intero impianto accusatorio, che ha subito un forte stop con l'inibizione e poi distruzione delle registrazioni fra il Senatore Mancino, Ministro degli Interni all'epoca e il capo dello Stato. Il dott. Ingroia, che conosce bene il suo ambiente e il sottobosco sociale e politico che vi sottende, pare essersi fatto inghiottire in quell'omertà impotente che aveva cercato di scalzare, trovandosi nuovamente di fronte al fatto incontrovertibile che la mafia è dentro lo Stato, attraverso i suoi rappresentanti storici, i maggiorenti regionali e chissà quante altre concrezioni, stabili ed occasionali, interne ed internazionali. Speriamo che, pur fra regressioni e immobilismi, il provato segugio siciliano, sappia, dal versante politico, riprendere la sua battaglia contro i parassiti vandeani e le loro dissimulate alleanze. Siciliani doc asseriscono che, per combattere la mafia con lo stesso impegno inquisitorio di un magistrato, ma con maggior efficacia, sia necessario, in certi contesti, scendere in politica. Se questo è lo scopo, come mi auguro, per ora sono riusciti ad allontanarlo considerevolmente dall'obiettivo.

mercoledì 17 luglio 2013

Una dinastia in gattabuia.

L'arresto dei tre figli di Salvatore Ligresti e del capostipite stesso, ai domiciliari per ragioni di età, segna un atto di giustizia tardiva. Il patriarca è stato per decenni uno degli imprenditori più spregiudicati della triangolazione fra capitale, politica e imprenditorialità. Il vecchio Salvatore si trasferì dalla Sicilia a Milano e con grande capacità di penetrazione in quel mercato, si dedicò, come quasi tutti agli esordi, all'edilizia. Col denaro accumulato, cominciò a pendolare con Roma, dove, favorito dagli interessamenti continui dei partiti di governo cominciò ad occultare i suoi proventi in sfacciate e denunciate speculazioni e donazioni finanziarie, nelle quali la ricchezza delle commesse che la politica gli procurava, si alimentava delle continue tangenti che il costruttore, diventato finanziere elargiva. Tantissime operazioni grigie e nebulose sono passate per la galassia Ligresti, in un volano del quale è stato alimentatore e fruitore con un successo impossibile da conseguire onestamente in una sola generazione. Durante il suo splendore, è stato uno dei personaggi più celebrati nel mondo bancario. Col passar del tempo, si era convertito al ramo assicurativo, da sempre, insieme alle banche, crogiolo di interessi combinati, prima appaltati ai partiti, poi "protetti" dalla politica. Dopo quasi trent'anni di inchieste abortite all'origine, finalmente l'ipocrita inquisizione fiscale ne ha rivelato le trame più piccine e volgari, quali sono quelle di truccare i bilanci per escludere i piccoli azionisti dai dividendi, da spartirsi in famiglia, con una moralità del tutto opposta a quella che viene insegnata ai rampolli delle famiglie modeste e lavoratrici. Ligresti & figli sono sicuramente colpevoli, di questo e di molti altri reati che non verranno investigati. Puramente contingente, infatti, è stato l'impulso esogeno che ha prodotto la rapida sintesi investigativa, come le interruzoni della latitanza di "ricercati" da decenni. Speriamo almeno che la "moralità" nordica e i vincoli dell'Unione europea facciano giustizia del corrotto "generone" nazionale. Del sistema ancora in essere, nei suoi organigrammi attuali e storici, non resterebbe più niente.

martedì 16 luglio 2013

Il cliente etologico.

Il cliente, chi è costui che posa su di un basamento d'argilla? La sua venerazione nella società mercantile è pari alla sua rarità e la sua rarità alla sua preziosità. Mi è sovvenuto oggi, mentre un non più giovane cameriere saltellava attorno a me e agli altri commensali, rifilandoci menu diversi ad ogni portata. Il Cliente, nella Roma antica, era spesso uno schiavo beneficiato dal padrone, "in riconoscimento del suo valore, competenza e merito, ecc. ecc", mentre, in realtà, se lo inchiappettava. Trattandosi di schiavo maschio, il "merito" restava nel vago. Invece, alle schiave, per la loro "emancipatio" era richiesta la procrezione al padrone, dal padrone, di quattro amati schiavi. Erano soggette, per così dire, all'onere della prova. Le banchette massoniche e familiari sono spesso il forziere statico di un numero ristretto e "selezionato" di barocchi "rentier", una specie di circolo di nostalgici di quando Berta filava, che amano veder riprodotti nei salamelecchi ruffiani, gli ossequi che la società di massa, da tempo, non gli riserva più. Costoro, talvolta, coltivano analoghi costumi nelle loro botteghe, in un minuetto di riverenze clientelari. Gli uni e gli altri, si occupano di pretesti e coltivano le apparenze. Trattano articoli per pochi e di nessuna validità che non sia estetica, sia pur bandita a caro prezzo. Son gli uni clienti agli altri e dei soldi non sanno che farsene, tanto che spesso li giocano al tavolo verde, dove reincontrano i loro clienti, bardati per le feste. Fra costoro, trascurando i cosmetizzanti e i costumisti, i gioellieri, i negozianti di ninnoli, che a favore di una clientela di vecchie maitresses e di giovani, filiali e non, apprendiste, assoldano per commessi dei ragazzini che pietrificano in atteggiamenti che dovranno conservare per tutta la vita al servizio dei capricci di dame coreografiche. Ne conobbi uno, già anziano ai tempi della cura dei valori mobiliari che mi si dice sia ancora in servizio, quale ispettore, superati gli ottant'anni. Quando si dice la fiducia, più che l'esperienza. Quest'uomo, facoltoso, ma con il cervello infantile che derivava dalla sua mancata ginnastica e "pervertito" dagli estetismi manieristici, non trovò di meglio che invitarmi ad una cura personalizzata dei suoi investimenti, in cambio della sua promessa gratitudine , "come si usa in qualsiasi rapporto commerciale". L'unica cosa che ricevetti - e ne avrei fatto volentieri a meno - dopo aver rifiutato, fu una penna falsamente argentata, che la maison riservava ai suoi clienti, secondo una ritualità a cui non volle rinunciare. Ne ho visto i prodromi, ancora conflittuali, in un ragazzetto, tenuto sotto strettissimo controllo, arruolato nei manierismi conservativi di un piccolissimo ambiente, che tenta le ultime ribellioni dal barbiere. Sa di essere destinato a soccombere e, tutto d'un tratto, si risente dell'evidenza che non vorrebbe riconoscere e, probabilmente, se ne lamenta con chi detesta. Una fattispecie della "sindrome di Stoccolma". Di entità così meschine ne esistono molteplici, a macchia di leopardo, dal Nord al Sud, a volte collegate fra di loro. Sono luoghi di deposito, sostanza e apparenza; le attività vengono demandate, talvolta occultate, ad entità complesse e composite che, nel magma degli interessi intrecciati, ne confondono le caratteristiche e ne rendono irriconoscibili i tratti. Quando si trovano sul punto di essere scoperte, guarda caso, vanno in crisi, si rimescolano con altri in qualche pentolone, in una commistione irricostruibile di elementi ricombinati. Fu il caso, ad esempio, della Banca privata italiana, di Michele Sindona, della quale si serviva l'alta borghesia milanese e siciliana, che per i suoi affari e per i suoi traffici, abusò del Banco ambrosiano di Roberto Calvi, irretito dallo I.O.R., fino a condurlo al fallimento. La liquidazione della Banca privata italiana fu demandata al Banco di Roma, che la effettuò in termini "preferenziali", secondo le indicazioni di Giulio Andreotti di cui Sindona era il braccio destro operativo ( il sinistro lo appaltava al Vaticano ), per il tramite del direttore generale del Tesoro, Gaetano Stammati. Il Banco fu pesantemente multato, ma nessuno dei creditori minori ottenne risarcimento. Conobbi, presso l'ufficio estero-lire, un collega dalla chioma candida e affettatissimo, tanto che nella subura capitolina fu a lungo ritenuto "un frocio", proveniente dall'azzimata Banca dei privati che più privati non si può. Era un umbro, dapprima emigrato a Milano, che non era affatto frocio, anche se nelle movenze e nel parlare ricordava Paolo Poli; viveva anzi, more uxorio, con una signora discreta e borghese. Che c'azzecca? Niente. Narrazioni a trama libera, libere associazioni d'idee, come dallo psicanalista, che ormai caoticamente s'affollano nelle crescenti lacune neuronali. Saltiamo dunque di palo in frasca. Le prostitute stradali, strumenti di raccolta, una specie di piano d'accumulo, hanno i loro budget, da raggiungere su territori a loro assegnati, sotto il rigido controllo di manager di comprensorio che si valgono di numerosi cointeressati collaboranti. I malcapitati clienti, assimilabili ai clienti occasionali delle banche e delle società di servizi private, non possono aspirare a nessuna intimità che possa favorire un dialogo ( ammesso che i clienti delle prostitue vi aspirino ): i tempi ridottissimi sono controllati, attraverso un sistema di vedette, fin dall'abbordaggio e sanciti da una specie di sveglia telefonica, quando il trascuratissimo cliente, che pensava di essere un satiro, sta venendo o si sta ancora sbottonando i pantaloni. La mia fonte è stata una dirigente di polizia, attigua logisticamente al mio sindacato. Lo dico per i maliziosi. Il servizio, a basso valore aggiunto e, quindi, praticato massivamente, deve essere frequente, meccanico e sistematico. Se il budget non viene raggiunto, nonostante la più prolungata esposizione possibile in vetrina, sono sanzioni e reprimende, fino a che la lavorante in esubero viene sperimentata in altro territorio dove la concorrenza estetica e i modi degli abituali clienti, si presume che possano favorirne la redditività. Fungibili e flessibili, dunque. Chi abbia avuto la pazienza e la costanza di leggere quel testo sacro della "ragioneria" che è "La ricchezza della nazioni" di Adam Smith, avrà colto l'animo arido e speculativo del capitalismo reale, così diverso dalla sua scoppiettante pubblicità. Avrà apprezzato la minuta, costante computisteria dei prezzi e delle convenienze di produzione e di acquisto, che sono stati alla base della conquista di vaste aree del mondo da parte degli inglesi. Una delle più grandi e sistematiche colonizzazioni, dopo quella dei Romani. Per questo, bisogna diffidare e guardarsi dai grigi ma avidi contabili, che, per queste metodiche, così estranee alla natura umana, quando è libera, sana e capace di esprimersi, aspirano e si organizzano per rendere schiavi quanti più elementi, umani e materiali, sia possibile, ai fini della propria opulenza, anzi della prorpia vanità. E' questo, semplicemente, quello che passa sotto la definizione di imperialismo. Subito dopo, sarà Malthus, un prete battista, a far discendere il perverso corollario della dottrina smithiana: le risorse si (ri)producono in progressione aritmetica, le necessità in progressione geometrica. Esisterà quindi uno iato fra quanto sarà disponibile per i consumi e le bocche, di cui un apparente benessere o la necessità di braccia favorirà l'incremento. Guai a intenerirsi per le bocche affamate, che non diventeranno mai nostre clienti: lavorino e si (ri)producano fino allo sfinimento, rielaborando "naturalmente" gli equilibri e, già che ci siamo, cerchiamo di favorire l'affinamento dell'arte culinaria, con i migliori prodotti, per chi sa apprezzarla. Le associazioni religiose vaticane hanno assoldato nelle loro file ogni sorta di boiardi di Stato e facoltosi imprenditori privati, tutti meritevoli di tali onorificenze, per la loro sensibilità elemosiniera, costante nel tempo. Dopo la caduta del comunismo, anche due esponenti dell'ex Partito comunista italiano sono stati assoldati. Il primo è stato Massimo Dalema, che non è neppure battezzato, ma partecipò, invitato, alla cerimonia di beatificazione di Escrivà De Balaguer, fondatore dell'Opus Dei, che favorì l'elezione di Giovanni Paolo II, trapassato dall'interminabile agonia alla santità istantanea. Guarda caso, Dalema è stato Presidente del Consiglio dei ministri. Chi può essere l'altro? Giorgio Napolitano, bipresidente della Repubblica. A che servono queste associazioni? A veicolare e favorire rapporti fra ambienti e personalità della ricchissima finanza vaticana, della Massoneria e delle istituzioni politiche, che si accreditano e si rendono strumenti della diplomazia occulta del potere sostanziale. Sono, le une, le clienti delle altre.

domenica 14 luglio 2013

Opacità del futuro, ma qualcosa si muove.

La grande ritirata dei partiti di massa da una rappresentanza effettiva degli interessi popolari, ha finito col porre non uno, ma due poteri sulle spalle dei ceti popolari: il dominio dei gruppi economico-finanziari e i partiti-Stato. Da tempo, questi ultimi sono impegnati, con capacità mediatoria, che varia da caso a caso, a trasformare il potere mondiale del sopramondo economico-finanziario in agende politiche nazionali, con effetti stridenti sempre più noti ed evidenti. Mentre sono impegnati a liberalizzare e a privatizzare, a piegare tutti gli scopi della vita umana e sociale a regole profittevoli di mercato, a scatenare insonni campagne pubblicitarie sulla competizione e sul "merito", a rendere "contendibili" le imprese - come suona la retorica predatoria della finanza - flessibile il lavoro, essi marciano in direzione inversa. I partiti si statalizzano, non premiano il merito ma le clientele, non attivano la competizione ma, più spesso, gli accordi segreti, non sono contendibili, non adottano flessibilità, spesso sono corrotti e collusi, anche con i poteri criminali. Si sono trasformati, di fatto, in chiusi oligopoli, impegnati a perpetuare il loro ruolo e potere.Questa evidente contraddizione fra ciò che si impone alla società e si risparmia a se stessi è certo causa non ultima del rancore che si va accumulando nel fondo dell'anima popolare e che di tanto in tanto esplode. Eppure, non è questa la grande causa comune che credo di percepire al fondo dei moti che dilagano per il mondo. Il fuoco che alimenta le rivolte, a prescindere dalla varietà delle occasioni locali, è una contraddizione che ormai stride davanti agli occhi di chiunque voglia osservare. Una conoscenza diffusa, una informazione quotidiana a scala universale di cui si impossessano ormai masse crescenti di cittadini, confligge con violenza contro l'opacità, la distanza, l'impenetrabilità perdurante del potere, di tutti i poteri. Il cittadino che sa, comprende sempre di più che le scelte operate dallo Stato o dall'amministrazione locale influenzeranno la sua vita e, perciò, pretende di dire la sua, vuole partecipare alle decisioni. Egli va scoprendo, di giorno in giorno, i diritti lungamente occultati di cui non gode. Ma, a fronte della conoscenza di cui dispone, il suo potere di influenza sulle scelte del ceto politico è spesso nullo. Vediamo infatti sempre più limitate le sovranità nazionali, sempre più inascoltate le richieste e le proposte che salgono dalla società. Tale regressione, aggiornata all'Ottocento, richiede che si torni a parlare di popolo e di popoli. E questi popoli oggi sono stanchi di non essere ascoltati e di contare sempre meno. Stanchi di osservare l'avanzare in ogni dove di una nuova democrazia dell'informazione, i segnali di un nuovo mondo possibile e di trovarsi addosso inette oligarchie che paiono trascinarli nell'opaca passività dei secoli passati.

Io

In questo "libero" e concorrenziale mercato, nel quale ci stiamo sciogliendo come fecondo concime, il lavoro organizzato in strutture aziendali è ridotto a fare concorrenza sleale al lavoro nero. Cominciò Marco Biagi, con il suo, all'epoca, fin troppo celebrato Libro bianco, a millantare che il lavoro flessibile e precario creasse una maggiore occupazione. Non fece altro, quel povero diavolo, che parafrasare i canoni primitivi della destra economica e poi politica, che sono liberiste..per sé. Secondo questa ideologia, le aziende non assumono perché la merce lavoro costa troppo rispetto agli utili attesi ( questo non lo dicono, affermano solo che costa "troppo" ). Perché questa merce non resti invenduta, bisogna quindi abbassare il prezzo in salario e diritti, fino a che sia di nuovo conveniente acquistarlo. I nostri Governi, composti da persone incompetenti, espressione degli interessi consolidati o degli apparati, abituati a mettersi in favore di vento, si sono adeguati alla propaganda succeduta alla Guerra fredda. Questo comodo atteggiamento orienta, da trent'anni, la politica del lavoro ed è la causa fondamentale , insieme alla speculazione finanziaria, del perdurare e dell'aggravarsi della crisi. Infatti, il lavoro precario non si aggiunge al lavoro tutelato, ma lo sostituisce. Si creano così dei margini di guadagno per le imprese, anche se producono poco o involvono i denari in partite di giro per i propri associati e i pur sparuti clienti. A questo si aggiunge l'arcaicità degli strumenti di lavoro, sui quali, approfittando di lavoratori low cost, non si ha interesse ad investire. Infine, è dimostrato che la distribuzione orizzontale della ricchezza, che non viene assorbita dal profitto, viene prodotta dagli scambi commerciali minuti e quotidiani, che, in queste contingenze, si sono gravemente isteriliti. Nonostante l'evidente effetto depressivo sulla società di questo costume e di questa politica, si continua ad asserire, indisturbati, che i frutti non si vedono perché la flessibilità non è ancora sufficiente. Fino a che una violenta opposizione, supportata da analisi e competenze adeguate, non frenerà questo scempio, i lavoratori e la società tutta continueranno a degradarsi. Questo movimento non nascerà in Italia, ma, poi, vi troverà entusiatici ed enfatici interpreti. Per ora, ogni deregolamentazione aprirà la via a quella successiva , non essendo state le precedenti bastevoli, non alla sussistenza, ma al potere e all'acquisizione.La precarietà del lavoro, che comporta spersonalizzazione e mortificazione, produce lauti profitti a breve per le imprese, che non vengono ripartiti con i lavoratori, ma solo con gli azionisti, perché è incerto se saranno ripetibili e nella stessa quantità anche l'anno successivo, in una situazione economica priva di prospettive per molti anni. I profitti materiali, ricircoscritti al puro ambito finanziario e capitalistico, vengono pagati in regresso civile , morale e politico, oltre che economico, da tutto il Paese, che è composto prevalentemente da lavoratori. La campagna delle imprese per la precarizzazione del lavoro continua, anodina e stucchevole, riservando alle contese intercategoriali la perduta competizione con i lavoratori. Fateci caso: le imprese manifatturiere accusano le banche, le piccole aziende se la prendono con le grandi, l'imprenditoria privata recrimina contro la cooperazione, ma i loro rappresentanti, tutti insieme, continuano a chiedere piena "libertà" di sfruttamento del lavoro, come Berlusconi la carcerazione dei suoi giudici. Così, mentre istituti evoluti, che nessuno ha concesso, ma che sono stati il frutto di un lungo sforzo di pensiero, di battaglia politica, di costruzione sociale, insieme allo sforzo del lavoro concreto, dell'apprendimento scolastico e sanitario, vengono abbandonati alla desuetudine, è in corso uno sguaiato e mai sazio assalto al "valore" di ogni singola persona, di tutto ciò che gli appartiene e che nessuno deve poter violare. Lo dicono anche i possidenti, evasori ed evasivi. Stiamo attenti a non farci confondere. Senza questa base del diritto non reggerebbe nulla della nostra civiltà : la libertà politica, l'indipendenza della nazione , l'Ordinamento dello Stato, le leggi che regolano il lavoro e tutto quanto ne dipende. L'Io, il nostro essere prima di tutto "io", come individuo, come persona di valore assoluto, è una certezza inscritta nella coscienza di ogni uomo, da quando emette il primo vagito, fino a quando muore, in ogni epoca e in ogni cultura. La violazione di ciscun Io deve essere causa di lotta e di contesa.

venerdì 12 luglio 2013

Incompatibilità

La moglie del dissidente kazaco e la loro bambina sono state espulse illegittimamente, recita una nota diplomatica, quindi del Ministero degli esteri. Questa volta il Ministro Alfano che, senza interpellare nessuno le ha fatte espellere, mobilitando cinquanta agenti della Digos, ha taciuto. "Potrà tornare in Italia per chiarire la sua posizione". Paese mediorientale ( già latino-americano ) mediocre e insignificante, in cui ciascuno, a tutti i livelli - che poi sono uno solo - cura il suo particolare. Chiacchiere al vento dell'ipocrisia: signora e bambina sono già agli arresti domiciliari, ostaggio di un dittatore e, a parte l'inconsistenza dell'affermazione, sarebbe lei a dover chiarire che cosa? Il capogruppo al Senato ed un altro importante senatore del PD, hanno depositato una proposta di modifica alla legge del 1957 che vieta l'eleggibilità a persone che, detenendo cospicui asset industriali e finanziari - siano in patente conflitto d'interessi, introducendo una proroga di un anno per sciogliere l'impedimento. C'è in questo un odore di diritto "canonico" che sa di crisantemo marcio. Ricordate quando nel 1994 Berlusconi sciorinava di blind trust all'americana e vantava la sua natura idealistica e stoica, che "avrebbe potuto portarlo alla suprema rinuncia, una volta sistemata la posizione dei suoi figli". Se non c'è riuscito fin'ora, perché dovrebbe poterlo fare oggi? E, in ogni caso, dura lex sed lex. Prima cade questo Governo e viene sciolto il Parlamento e meglio è. Speriamo che l'Europa questa volta sia tassativa e che risulti evidente che questa classe politica e questa compagine sociale, in Europa non ci può stare.

giovedì 11 luglio 2013

Gesù

Nel corso delle ultime settimane ho proposto alcuni testi di critica politica dell'antropologa Ida Magli. La studiosa italiana, ottantaquattrenne vox clamans in deserto, ha sempre affiancato alla sua attività di studiosa dell'antropologia culturale, delle acutissime analisi della contemporaneità, oltre che della storia. Con questo suo impegno, corente nel tempo, è riuscita a "volgarizzare" molti contenuti storici e simbolici e a rileggere in profondità molti avvenimenti che i tempi, sotto spoglie diverse, ripropongono. Ne offro oggi questo bel saggio di antropologia religiosa. Il messaggio di Gesù è straordinariamente attuale. Un messaggio di amore e al tempo stesso di rottura delle regole fondanti il sistema e il modello di Potere nel quale ancora oggi viviamo. Un Potere sacro o una Sacralità potente, perché in realtà sono una cosa sola, inscindibili e intoccabili, pena la morte. Gesù era un genio assoluto, osò amare senza pregiudizio uomini e donne, segnando il suo tempo con la diversità e sfuggendo al condizionamento del modello di evitazione imposto dal sacro potere Ebraico dell’epoca, per questo venne ucciso. Con il saggio “Gesù di Nazaret” (BUR – Biblioteca Universale Rizzoli), l’antropologa Ida Magli tenta di rispondere alla domanda: chi è Gesù? E lo fa con la forza del sapere, ponendosi problemi antichi con interrogativi nuovi, attraverso nuovi strumenti di analisi ed esperienza storica. Ida Magli risponde in esclusiva alle nostre domande, condividendo con noi e i nostri lettori il risultato delle sue ricerche. Con Gesù nasce l’Umanesimo o la religione Cristiana? “Nasce l’Umanesimo. Gesù ha impostato tutta la sua azione contro i rituali, contro il sistema di potere del Sacro così come era organizzato intorno a lui, quello ebraico della Sinagoga, ma che è simile ovunque, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, ivi incluso quello odierno da noi. Insomma ha combattuto proprio contro le religioni, affidando all’uomo, alla sua libertà anche il rapporto con Dio, analogo al rapporto con gli altri uomini: fiducia, verità, comprensione, amore.” Ma allora è l’Uomo che fa esistere Dio, non il contrario? “E’ una domanda alla quale io posso rispondere soltanto nei limiti di ciò che ho creduto di capire studiando il sacro e le religioni ovunque. La certezza, in senso scientifico, che un Dio esista o non esista, non è possibile averla, per questo è assurda, ascientifica la sicurezza di quelli che si dichiarano atei e propagandano l’ateismo, in quanto è evidente che non si può programmare in laboratorio un esperimento sull’esistenza di un dio. Per quanto riguarda Gesù, mi sembra che Gesù dica: “se tu ami e ti affidi all’amore, il tuo Padre si farà presente vicino a te”, di conseguenza dipenderebbe dagli uomini “trascinare” Dio sulla terra. Personalmente, poi, trovo orribile un Dio, come quello immaginato dagli Ebrei e dai Cristiani, che vuole la giustizia del taglione nei confronti delle offese fatte a lui e in ogni caso non desidero incontrare un dio che ha fatto diventare sordo Beethoven (Gli Ebrei ritenevano che certi tipi di malattie o difetti fisici fossero conseguenza di una colpa dei genitori o dello stesso individuo nei confronti di Dio – ndr).” Oggi è possibile un parallelo tra il modello di potere della Chiesa di Roma e il sistema culturale ebraico? “Certamente. I discepoli di Gesù non hanno capito che non dovevano costruire nessuna nuova Sinagoga, nessun sistema strutturato di religione e di conseguenza, essendo ebrei, hanno costruito la Chiesa in analogia alla Sinagoga, trasferendo fin dove era possibile in forma simbolica quello che nella Sinagoga era il sacrificio concreto, come l’uccisione degli animali, i rituali di purificazione e altro ancora. Hanno tradito così totalmente il dettato di Gesù: “se vuoi pregare entra nel tuo cuore, fa’ che nessuno ti veda (…) Non ripetete parole.” E’ chiaro che non doveva esistere nessun luogo di preghiera, nessuna chiesa, nessuna preghiera collettiva prestabilita dove tutti vedono che stai pregando. Al proprio padre, alla persona che si ama, non ci si rivolge con formule. L’amore, come tutti gli innamorati sanno bene, non trova mai parole adeguate per esprimersi, tanto da sprofondare a volte in un silenzio pieno di parole. Come è forte, ancora adesso, quel: “Non ripetete parole.” Mi fa venire i brividi il rosario, addirittura trasmesso in televisione, con in vendita la macchinetta elettronica per contare le ave maria. Povero Gesù, e poveri fedeli ai quali il potere “Chiesa” inculca una simile abiezione.” Andare contro il modello del Potere, contro il Sistema, contro il Simbolismo, e contemporaneamente amare l’Uomo. Oggi si definirebbe vagamente anarchico il messaggio di Gesù? “Il messaggio di Gesù non ha nulla a che fare con l’anarchismo. L’amore gode della bellezza, quindi delle cose ordinate, limpide, come quelle che predicava Francesco d’Assisi: l’unico in tutta la storia del cristianesimo che ha forse capito quello che voleva Gesù. Gli uomini hanno bisogno di ordine per vivere in gruppo: il caos, la violenza del caos non ha nulla a che fare con la bellezza e con l’amore. Purtroppo il fatto che sul Vangelo è stata costruita una religione, ha impedito di “sentire” la bellezza, l’essenzialità dell’opera d’arte che si sprigiona da certe scene dei Vangeli, dalle parole e dai gesti di Gesù, il quale è prima di tutto un poeta e come ogni grande poeta, guarda tutte le cose con occhi nuovi.” Dunque l’esistenza della Chiesa di Roma è un tradimento del Cristianesimo? “Senza alcun dubbio. Del resto la storia della Chiesa si tende a dimenticarla con tutto il suo dispotismo, la sua violenza. Rimane però anche vero che probabilmente senza l’organizzazione della Chiesa le parole di Gesù non sarebbero arrivate fino a noi, soprattutto non sarebbe arrivato fino a noi quel grido: “Perdona!” che ha rivelato di che cosa siano capaci gli uomini e che ha connotato in maniera del tutto diversa dal resto del mondo la civiltà europea. Senza quel “perdona” non avremmo avuto nulla: né l’arte, né la poesia, né la musica, né i grandi personaggi della letteratura romantica, né i Monti di Pietà, né gli ospedali, né la silenziosa, nascosta, ma immensa opera di compassione e di aiuto ai più poveri, ai malati, agli esclusi dalla società, che hanno compiuto migliaia e migliaia di donne nelle congregazioni religiose. Sono state le mani lievi e infaticabili delle religiose a lavare, curare, imboccare, accarezzare i più derelitti, dai neonati abbandonati alle vecchie prostitute, morendo della loro stessa povertà, delle loro stesse malattie. La storia delle donne ancora non è stata raccontata.” Proviamoci. Quando la “Parola” alle Donne? “No, ancora non è possibile la “parola” alle Donne così come non era possibile ai tempi di Gesù, altrimenti Lui l’avrebbe fatto. Non è possibile perché la potenza della parola si fonda sulla potenza della vis, la potenza del pene. Purtroppo le donne non si rendono conto neanche oggi della debolezza della loro parola, anche se avrebbero dovuto allarmarsi e mettersi sull’avviso davanti alla contemporaneità del proprio emergere sulla scena della società con l’improvviso primato degli omosessuali. Il discorso sulla potenza “virile” e la potenza della “parola” ossia del “potere” è molto complesso e non lo si può riassumere qui in poche parole, ma un indizio lo si può vedere subito nel fatto che usiamo lo stesso termine per indicare un uomo “potente” sessualmente e un uomo “potente” nel potere. Un fatto oggi è evidente: i maschi d’Occidente si sono rinchiusi, con l’omosessualità, nel fortino del pene, difendendosi così abilmente dall’invasione delle donne, ma portando l’Occidente alla morte. Il potere delle donne non è “potenza” e conduce inevitabilmente la società europea alla sottomissione nei confronti delle altre società, più forti perché non dominate dallo pseudopotere delle donne. Poco a poco, quindi, l’Europa si estingue perché priva di vis: l’omosessualità maschile ovviamente è il segnale ultimo della prossima morte.” Ma escludendo un Papa donna, non è altrettanto paradossale un Papa Gesuita? “Un Papa donna non è possibile per i motivi che abbiamo appena detto. Ma se un domani avvenisse starebbe soltanto a significare che il papato è diventato una finzione, un’istituzione che non conta più nulla. Un papa Gesuita è invece il segnale dell’estrema debolezza della Chiesa, anch’essa ovviamente travolta, e ancor più tragicamente, dallo stesso tipo di morte del resto dell’Occidente.La Parola potente, quella che trasforma il pane e il vino, che cancella i peccati, è diventata priva di vis. Papa Bergoglio che si arrabatta a parlare in modo semplice, fingendo di non aver bisogno della potenza della parola, ne è la prova. Si tratta, però, di un trucco di breve respiro: o toglie di mezzo tutte le liturgie, eliminando il sistema-Chiesa, oppure dovrà per forza ricorrere alla parola potente. Mi ha colpito, da questo punto di vista, come un’involontaria conferma di quanto affermo, la foto pubblicata il 2 luglio dal quotidiano Libero, in cui il Papa mostra il pollice eretto. Possibile che Bergoglio, che è pur sempre un maschio, non sappia che cosa significa? (simbologia fallica – ndr) Non mi pare che un Papa abbia mai fatto, almeno pubblicamente, un simile gesto. L’Ordine Gesuita è una milizia nata per difendere il Papato, ed è il motivo per il quale non esiste il corrispondente ramo femminile: le donne non sono militi. I Gesuiti, quindi, in base al loro stesso compito, non avrebbero mai potuto diventare Papi. E’ successo per la prima volta adesso, anno 2013, perché evidentemente il trono è debole e in pericolo: un pretoriano si è impadronito del posto dell’Imperatore.” Oggi, in Italia, uno “scandalo indispensabile che avvenga”? “Uno scatto di verità. Togliamo tutti i veli al Potere, sia quello laico, politico, sia quello religioso, ancora affamati degli ultimi brandelli della vittima Europa e gridiamo: “la nostra parola è sì, sì, no, no“, ossia corrisponde alla realtà, non “crea” la realtà, è il solo modo in cui la parola delle donne è uguale a quella maschile. La democrazia, purtroppo, riduce i popoli a pecore obbedienti che hanno un unico diritto: pagare le tasse. Scuotiamoci dalla depressione indotta dal non avere futuro. Quale futuro può avere un popolo cui è stato tolto il diritto al proprio territorio, alla propria indipendenza, alla propria sovranità, alla propria patria? Riappropriamoci di tutto questo: io spero, e credo, nella possibilità di un nuovo Risorgimento.

Flashback

Le ferie, questo istituto che ci mette in condizioni di inferiorità concorrenziale con i cinesi, mina, in questo mese di Luglio, la nostra predatoria presenza sui mercati. L'apertura degli sportelli è a rischio e la funzione organizzativa si esercita fisicamente, sul campo. In un anno che non ricordo, la FABI ( per offrire i suoi bassi servigi a Achille Maramotti, in cambio della preferenza assolutistica per il suo marchio ?) vedendosi snobbata organizzò una manifestazione davanti alla Direzione generale del Credem'a me, a Reggio nell'Emilia. Ne ho ripercorso gli eventi, attraverso un servizio fotografico documentaristico dei diversi momenti della manifestazione, digitalizzato negli archivi sindacali. Vi compaiono anche colleghi che non sono più, chi con un cartello al collo, chi senza decorazioni. Ce n'è uno portato da un caro amico scomparso alla fine del febbraio scorso, che recita: "Maramotti, padrone delle ferriere". Nel "servizio" si notano i manifestanti assiepati su via Emilia San Pietro, un pick up ( avevano avuto un permesso dal Comune comunista o la via era ancora agibile ai mezzi motorizzati? ). Sul pick up, l'allora Segretario generale, Gianfranco Steffani, tiene un comizio, sotto il furgoncino si nota distintamente l'allora Presidente Luigi Marmiroli. Poi le immagini ci trasportano all'interno della profanata Sede; locali a me ignoti, perché non ho praticato altro che i salottini al piano terra. Lungo tutto il servizio fotografico compaiono dei bodyguard o altra milizia privata, eretti, atletici e attenti, in abito nero e con un immancabile walkye talkye. Non me l' aspettavo, quando, improvvisamente, queste immagini si sono associate nella mia mente con quelle che constatavo dal vivo, osservando la milizia privata dei concitati eppur distaccati organizzatori della quadratura del cerchio, specifici nel modello, fissato in immagini identiche. Computer portatili al posto dei walkye talkye. Anche in questo caso, la situazione non doveva sfuggire al loro controllo, secondo le regole d'ingaggio. Sviluppando il film e facendolo scorrere, in ogni ambito di informale ancorché rigido controllo, ora come allora,le stesse diapositive, la stessa disposizione, in un ritmo immutato e uguale per tutti, da film muto e in bianco e nero. Il modello "commando", che supplisce alla scarsità delle truppe e che monta il profitto, sembra immutato, immutabile. Potrebbe essere un'estensione del falsamente aggressivo atteggiamento di poco virili indossatori e anoressiche indossatrici che vogliono offrire per il breve tratto della passerella l'immagine dell'uomo e della donna vincenti in un'incessante proposizione competitiva di se stessi, che si accascia nel promiscuo e sudaticcio camerino dove, sempre gli stessi, indossano molteplici vesti. Dicevamo delle ferie. A inizio anno, il direttore ripete, di postel in postel, che l'azienda richiede di programmare tutte le ferie dell'anno. Si tratta in realtà della copertura minuta dei ruoli, attraverso lo sfarinamento molto breve delle assenze e per evitare che residui, anche minimi, possano alterare lo schema rigidissimo, l'anno successivo. Le sanzioni sono un pretesto, come ogni altra specie di affermazioni, pubblicitarie, tribunizie, cenacolari. Si tratta di un modello aziendale di "ciurlatori nel manico". Comunque, le conferme e le variazioni intervengono fino a Giugno, dopo di che, vengono modificate su due piedi, in un continuo rabberciamento, nel quale le esigenze di chi lavora e delle loro famiglie sono le ultime. Nonostante questo, soprattutto nel mese di Luglio, durante il quale i clienti si apprestano a chiudere gli esercizi, la possibilità di non poter aprire qualche sportello si fa concreta e la caccia alla pedina mobile si fa spasmodica, perseguita fisicamente sul territorio. E stiamo parlando di cinque o sei agenzie. Indipendentemente dalla realtà, le riunioni ideologiche, le video e audio conferenze continuano come se niente fosse: si blatera tutto il giorno in loco e, dopo un'ora, lo stesso officiante si ripropone in video in una orazione ecumenica. Il sistema di controllo spionistico anche delle operazioni più minute, farebbe invidia agli statunitensi, se ne conoscessero l'esistenza. Stiamo parlando, infatti, di uno sputo nell'universo, ma molto narciso. Il sistema di controllo non trascura i clienti, anzi...Chi va in vacanza fuori dai confini deve prima confessarsi con il proprio platformista, che comunicherà periodo, durata e luoghi alla Spectre aziendale, che in caso di cambio di programma provvederà a lasciare i malcapitati in braghe di tela all'estero. I siti, visitati con carta di credito sono monitorati e, se a rischio clonazione, ne viene intimato l'abbandono. I conti correnti del personale sono controllati. Insomma, la strana banca è come il giornale del pomeriggio, che non si pubblica più: è una seconda o terza banca. I costi dei servizi sono onerosissimi per i clienti a basso valore aggiunto, cioè per coloro che operano semplicemente, direttamente, occasionalmente o a esclusivi fini di sussistenza. Le commissioni vengono aumentate senza preavviso e la soglia di derogabilità viene ridotta. La direzione aziendale svolge un non richiesto servizio di consulenza, soprattutto previdenziale, scemando sistematicamente le forze calanti, con incursioni non richieste da chi dovrebbe conoscere i suoi interessi e le sue intenzioni. Anche in quest'ambito i tentativi di intimidazione sono infarciti di forzature e di balle. Un pensionato riciclato manda in quiescenza gli altri,dopo essersi occupato della sua e essere risorto dopo tre giorni, in virtù della sua "esperienza". La strana banca non ha mai aderito al Fondo per il sostegno al reddito dei lavoratori del credito, come attesta la sua mancata contribuzione e quella del "suo" personale alla cassa del Fondo stesso. Quando si sono trovati ad assumersi il relativo onere per demando contrattuale in rapporto all'acquisizione di altrui rami d'azienda, hanno messo sistematicamente in braghe di tela gli incauti aderenti, con formule che i malcapitati non hanno capito, traducendole nei canoni consueti. Non credo che si tratti della consueta avarizia, credem'a me, ma del timore di avvilupparsi in un accordo sindacale di settore, che ne legherebbe i riti al metodo comune e li costringerebbe ad una contribuzione pluriennale e trasparente all'I.N.P.S. Si fa presto a stringere un vincolo e ritrovarsi avviluppati, "in un contesto normativo nel quale il proprietario è in mano ai suoi dipendenti". Sembrano le intemerate di Berlusconi contro le "toghe rosse", che hanno fatto di questo Paese una copia conforme del Sud America, a prevalente economia e mentalità fondiaria. Si diceva del campionato di "ciurlar nel manico" nel quale eccellono. La sicumera, le provocazioni, tradiscono l'inconsistenza delle loro tesi che hanno ad esclusivo riferimento l'utile di pochi e storicamente feudali azionisti. Assoggettano gli incolpevoli dipendenti a un sistema meccanico di valutazione reddituale delle loro operazioni, non contemplando intere categorie professionali e facendo fare a otto persone il normale lavoro di quindici. Il sindacato - sostengono - non è giallo...sarà arancione, ma un sedicente sindacato che di fronte a questo scempio del decoro lavorativo e delle norme che pur sussistono a tutela contro il cottimo dissimulato, non ha mai levato una voce forte, non ha mai sollecitato in assemblea uno sciopero..non è giallo per l'itterizia. Non basta limitarsi, in occasione dei rinnovi disastrosi dei contratti di lavoro, a sollecitare l'adesione a scioperi, che non vengono neppure indetti, "anche dei lavoratori del Credem", in ossequio a liturgie sindacali di vertice che scendono per li rami, come in azienda. Fare sindacato, in questo contesto, vuol dire creare alterità.Loro, invece, "creano il diritto", reinterpretando i canoni fissi della retribuzione,a cui si erano legati per contratto, ai premi budget discrezionali che attribuiscono, ad Aprile e non a Giugno, ai loro galoppini. Fanno "giurisprudenza" su ogni argomento, pronunciando sentenze interpretative su ogni possibilità di offrir voce ai lavoratori su ogni argomento che invece, proprio interpretativamente è affidato alla libera determinazione delle parti. Loro lo interpretano come se fosse loro tutto dovuto e si lasciano scappare, dai più bassi ai più alti livelli, la primitiva affermazione: "ma a lei chi "offre" sussitenza o chi le dà da mangiare?" Ma, principalmente, con questi metodi vetero padronali, più adatti all'amministrazione di una merceria che di una grande azienda, vogliono sottomettere ciascun lavoratore a protocolli oppressivi e spersonalizzanti, del tutto privatistici. Di loro si dice a Reggio nell'Emilia, al di fuori della loro cerchia ristretta, che sono della "brutta gente"; certamente discendono in linea diretta da quella triste genia dei latifondisti di media pianura,il germe originario di "Banca agricola" e si sono distinti per avere costruito e consolidato la loro immutabile ricchezza sullo sfruttamento più brutale ed indifferente di generazioni di braccianti. Ebbero, in termini finanziari, una parte decisiva nelle fortune politiche del regime fascista. Una volta ebbi a chiedere in una pubblica riunione a quanto ammontasse l'impiego della cospicua raccolta, a chi andasse e per quali fini, ma i relatori si guardarono bene dal rispondermi. E' una domanda chiave per capire per chi e a che fine si lavora. Come si può pretendere dedizione se si ignorano queste cose? Ma, a prescindere da questo acquitrino in secca, fatto di formazione "obbligatoria" anche se si è rimasti in due, di costose e inutili riunioni di autocoscienza in alberghi cittadini, che suggeriscono una mentalità salottiera e frivola ed espongono gli "affratellati" a rischiosi spostamenti sotto il sol leone, si "va sotto" per cercare di concordare anche i tempi di assistenza agli infermi, che spesso, costosamente, perché le visite specialistiche vengono programmate improvvisamente o con il preavviso di poche ore, vengono appaltate, a pagamento, a infermieri professionali. A volte, ci si sente delle merde per essersi trovati a fare da supporto a questa gente e ai loro reggicoda, annidati in interstizi angusti, ma quasi tutti provenienti, con portafoglio al seguito, da altre aziende di credito, secondo uno stile che con le vantate caratteristiche del Credem'a me, c'azzeca come la mitologia della fondazione di Roma. Per fortuna ci si sente delle merde solo in rare e fortuite occasioni.

domenica 7 luglio 2013

Il faticoso cammino dell'homo sapiens.

Ventidue anni fa si svolsero le ultime elezioni politiche in Algeria. Si affermarono nettamente gli islamisti contro la coalizione sponsorizzata dall'occidente e dalla Francia, ex potenza coloniale. Un colpo di Stato militare affogò subito quella chiara e netta espressione popolare. L'Algeria si era liberata dalla tutela francese con una lotta di popolo, condotta per anni e scontata con uccisioni, mutilazioni e torture. Il più bel documento filmico di quell'epopea è stato "La battaglia di Algeri" di Gillo Pontecorvo, scomparso da poco più di un anno. Evidentemente, però, quella tenacia, quello spirito di immolazione che non si piega al meno peggio, come usa invece da noi, era sostenuto da una fede intima che, nell'espresione del voto, aveva premiato chi, realmente o apparentemente, la rappresentava. Se nei Paesi dell'Islam si fa votare il popolo, in una parodia delle già parodistiche elezioni occidentali, vince l'Islam, il sentimento profondo del popolo, donne comprese. Per vent'anni, l'Algeria sarà scenario di attentati, uccisioni individuali e di gruppo, rivolte anche a simboli della incongrua dominazione occidentale. Anche sei marinai italiani furono sgozzati nel loro barcone, ormeggiato nel porto di Algeri. Poi, la sistematica repressione ha di molto diminuito l'incidenza degli atti violenti di rivalsa. E' succeduta una generazione, nata e cresciuta in quel sistema dittatoriale. Adesso, uno scenario consimile si propone in Egitto. Se non si riesce a far votare il popolo secondo interessi alieni, vincono gli islamici e gli alti comandi militari, non alieni da interessi diretti, si incaricano di reprimere la parodia democratica e coprono il misfatto "democratico" con figure di garanzia, a prescindere da ciò che si deve garantire ( come il presidente della Corte costituzionale, dopo che la Costituzione è stata sospesa )e, avendolo a disposizione, mettendo in vetrina un premio Nobel, un intellettuale eminente, ma del tutto avulso dall'humus popolare. Il paradosso apparente di questa vicenda è che coloro che, intellettualisticamente, nell'Occidente fomentatore sono considerati meno distanti dai valori democratici, si affidano ad un colpo di Stato per affermarsi sui vincitori elettorali legittimi. Non ritengono percorribile, evidentemente, la strada dell'opposizione costituzionale. Ma i militari, tutti i militari, non sono democratici e, in Egitto, hanno già esercitato il potere sui civili per due anni, uccidendo o cercando di annichilire con le torture, gli elementi non irregimentabili. Nelle cangianti vesti di vittima o di oppressore, fra chi milita negli schieramenti maggiori, nessuno può essersene dimenticato. Con questa gente sullo sfondo e negli anfratti più bui dove consumare i loro misfatti - ci sono già decine di morti - quando gli Egiziani saranno chiamati, se l'ordine regnerà allora a Il Cairo, a rivotare ( come in Europa, ripetutamente sull'adesione all'euro e, inutilmente, in Italia, dopo un Governo, frutto di un golpe bianco ), senza condizionamenti brutali e brogli sistematici, rivinceranno gli islamici, che sono espressione autentica del sentimento diffuso del popolo minuto. Ma perché gli alti comandi militari si sono ancora così incostituzionalmente intrufolati nella vicenda pubblica interna, pur guardandosi bene dall'assumere direttamente la guida del Governo? Ciò che interessa agli alti comandi è di non perdere il controllo del vasto apparato produttivo di cui sono cointeressati capofila e la gestione autonoma del proprio bilancio, ma, soprattutto, la garanzia del supporto americano: 1.500.000.000 di dollari l'anno. I nord americani sono quindi gli azionisti di riferimento degli alti comandi egiziani, che sono i garanti della "conformità" dei Governi egiziani ai desiderata di Washington. Il colpo di Stato ( hanno anche cercato di sostenere che non si trattava di un golpe, mentre lo consumavano ) non elimina le cause che l'anno originato, che restano insolute nei loro termini socio-culturali, politici ed economici. L'Egitto era da tempo precipitato nella miseria e non aveva già, al posto dei militari, i severi custodi del recinto comunitario, come noi, nell'Unione europea. L'emiro del Qatar aveva offerto denari, in cambio della concessione sul canale di Suez ( qualcosa di analogo capiterà presto anche a noi ). In queste condizioni, cosa residua, nominalisticamente, dei movimenti ( più che altro di elitaria opinione ) che si oppongono alle masse islamiche? Alle masse islamiche si contrappongono ( o si offrono come alternative, ai Sauditi, agli Israeliani e agli Statunitensi? )faglie religiose in contrasto e una pletora di mini partiti e movimenti di forte caratura intellettuale, ma del tutto estranei al costume egiziano. Vedremo se le opposizioni, approdate al governo, sfruttando la piazza anti Morsi e l'aiutino dei carri armati, vorranno continuare nella prassi dei Fratelli musulmani, solo a segno rovesciato o se si riusciranno a stringere compromessi labili e mistificatori. Se ciò non avverrà, si aprirà un'altra leva jiadista o uno scenario algerino.

sabato 6 luglio 2013

Santeria. Passione e ritualità.

L'arbitro accoltella un calciatore, uccidendolo, e finisce decapitato. E' successo domenica scorsa in Brasile, nello stato del Maranhão, nel nord. L'incontro tra dilettanti che si stava svolgendo a Pio XII ha avuto un doppio, tragico, epilogo. L'arbitro, Otavio Jordão da Silva de Catanhede, 20 anni, ha espulso un giocatore, Josenir dos Santos Abreu, 31 anni. Questi ha protestato rifilando anche un calcio al direttore di gara, che ha estratto un coltello ferendolo mortalmente. Due i fendenti che hanno ucciso Abreu. Gli spettatori hanno reagito con un'invasione di campo, e sconvolti, hanno raggiunto Catanhede legandolo al palo, lapidandolo, squartandolo e decapitandolo. La testa è stata poi esposta su un palo. Da twitter.

Il nulla al governo.

Il Nipote di tanto Zio, a capo di un'armata brancaleone tanto attinente alla società italiana, non sta facendo letteralmente niente. Annacqua, pericolosamente per i destinatari, i dettagli dei provvedimenti tecnici della Fornero e di Monti, ripristina alcuni provvedimenti di tagli di spesa pubblica, che la Corte costituzionale aveva decretato illegittimi, mette in cantiere una nuova amnistia che, con la scusa di decongestionare, per tre mesi le carceri, salverebbe forse il Cavaliere, a dimostrazione che nella controriformistica Italia, nulla veramente si muove, se non all'interno degli stessi apparati. Lo Zio e il Nipote vengono dalla scuola e dalla frequentazione di Giulio Andreotti, che, agli impegni chiari e netti, ha sempre preferito il rinvio al riassestamento magmatico, ma certo, degli apparati preesistenti, fossero essi anche collusi con la mafia. "Realtà", era il titolo del suo periodico, "il potere logora chi non ce l'ha", la sua filosofia politica e di vita. Zio ( soprattutto ) e Nipote sono invecchiati e cresciuti all'ombra del Divo Giulio e da Lui hanno appreso a controllare le dinamiche standone discosti, a non provocarle mai, ad aspettare che l'esito fosse già intravedibile, facendo finta, solo allora, di accompagnarlo. In quell'Italia in cui il potere adottava questo metodo anche con la mafia, il Mentore di Zio e Nipote è riuscito a stare al potere più di Mao Tze Tung, ma oggi, anche la nostra provincia familistica è squassata dalle interferenze finanziarie che non rispettano confini. Re Giorgio, ha scelto il Nipote proprio perchè, col supporto dello Zio, da destra e da sinistra, si continuasse a competere sugli investimenti immobiliari e un lavoro che non si "crea", tenendosi la parte per tutto il resto, come era già avvenuto almeno dagli anni '70 fra comunisti e democristiani, provocando la rinascita della lotta armata partigiana che, per sostenersi, prese accordi e mantenne contatti con l'insurrezionalismo regionale diffuso ed attinse al mercato secondario delle armi, ( quello che viene intercettato o residua da guerre e scaramucce )cioè ad una forma minore ed illegale di globalismo. Destra e sinistra, attenta la prima agli interessi più sentiti dai suoi sostenitori, parolaia e vacua, cioè proletareggiante la seconda, attendono discutendo, minacciandosi e stracciandosi le vesti che il nostro ( non il loro ) destino si compia, in una garrota di interessi debitori. Oggi, Capitan Findus - come lo chiama Beppe Grillo - si è detto angosciato dalle violenze sulle sponde egizione. Ne parlerà con la Bonino..capirai. In Egitto, "l'acqua nella quale nuotano i pesci" è tanta, anzi travalica i confini del pur grande Paese. Da loro, quando ci si incazza, non si fa finta e i prestiti prorogati dalla Unione europea non sono una "grande vittoria". Le nostre guerre sono state tutte sotterranee, ma, cumulativamente, non meno sanguinose.

venerdì 5 luglio 2013

Parodie.

Ho sentito su you tube, la registrazione di una demenziale, ma drammatica, intervista ad Ali Agca de La zanzara 24, nella quale l'assassino turco, libero, nella sua casa, sghignazzava con gli stolidi intervistatori, che volevano fare un paradosso di una oscura vicenda storica, nei termini della derisione e della grossolanità. Forse per stare al gioco, l'ormai maturo ( ma solo di età ) terrorista, rassicurava il Vaticano, con il tono ieratico che gli conosciamo, che non avrebbe attentato a Francesco I, di nuovo esposto e mischiato alla folla, perché di lui "non gliene frega niente a nessuno", "è solo un parroco di campagna". Tutto, come accennavo, in un tripudio di sghignazzi, nel quale, volendo distinguere una sottintesa, ma sconosciuta anche ai festanti, "ragione implicita" nella presunzione di un interesse politico nell'atto di cui era stato strumento ( commissionatogli comunque da qualcuno della filiera cospiratoria )il vecchio pistolero cercava e trovava nel suo arido ricordo il "sentimento" di una gioia "sacrificale". Un po' come aveva fatto durante i lunghi anni della sua detenzione italiana, recitando diverse parti, ma soprattutto, facendo la parodia dei toni solenni delle istituzioni con le quali è certamente riuscito, sotto traccia, a dialogare, se è stato "graziato" dal Presidente Ciampi, e dopo un breve soggiorno nelle carceri turche, a lui già note, è stato definitivamente liberato e, a quanto pare, si trova in una condizione che non lo ha privato dell'umorismo.

Il valore dell'esperienza..

Gianni De Gennaro, già Capo della polizia all'epoca "della più grave violazione dei diritti umani perpetrata dal dopoguerra in Europa" fonte Amnesty international, di notte, a Genova, contro giovani che dormivano, per il sistema delle "porte girevoli", è attualmente Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega ai servizi segreti e, prossimamente, sarà Presidente di Finmeccanica. L'azienda bellica, ancora a partecipazione pubblica e con 70.000 dipendenti, ha deciso di ristrutturarsi e di abbandonare il comparto finanziario che ne aveva intossicato il pur lucrosissimo business negli ultimi decenni. Ovviamente, il dottor De Gennaro di gestione d'impresa non sa nulla, ma, in un'entità di quelle dimensioni, stuoli di ruoli segretariali saranno a sua disposizione, per rassicurarlo. Finmeccanica torna al suo ruolo tradizionale e storico di mercante d'armi leggere, da destinare a eserciti, ma anche a polizie civili o militari, oggi molto impegnate, con gli eserciti, in paesi esotici. Chi meglio di De Gennaro, come presidente-piazzista, date le sue vaste conoscenze personali e le sue note caratteristiche di "prudenza"?. Quando si dice il "valore dell'esperienza".

Residuati bellici.

La seconda guerra mondiale non ha lasciato, sparsi quà e là, solo ordigni inesplosi, ha, purtroppo, lasciato al loro posto, troppi tumorali poteri che lo sconvolgimento bellico poteva offrire l'opportunità di estirpare. Purtroppo, la coesistenza, fra le forze che si opposero al fascismo, di una parte preponderante - quella anglo-americana - e una minoritaria e partigiana - quella comunista, con rappresentanze interpolatorie delle altre espressioni politiche, compresa una monarchica - non hanno consentito la soppressione delle persone e con esse degli interessi che rivestivano, definitivamente. Preso atto della situazione ( realistici per non approdare da nessuna parte, i comunisti ) il Guardasigilli Palmiro Toglaitti amnistiò tutti i fascisti e i partigiani dovettero riconsegnare le armi. Consiglio vivamente la visione del DVD del film "Novecento" di Bernardo Bertolucci, per "conoscere" la genesi di tanti agglomerati di interessi, particolari e periferici fin che si vuole, ma tristemente riconoscibili, quando vi si incappa. Fu così che nell'Italia "democratica", ma secondo i principi anglicani, ripresero la loro tessitura una miriade di conventicole d'interessi, replicando, al loro interno, per chi vi incappasse, costumi domestici, dominicali, feudali e servili. Mentre la società italiana è stata investita, nei suoi macro agglomerati, dalle modifiche delle dinamiche economiche e da una prima "sovversione" delle sue rappresentanze politiche, che hanno cassato e trasformato, fino a renderle irriconoscibili, le precedenti, malmentose concrezioni di corruzione ed i loro officianti, nelle istituzioni, come nelle banche e nelle grandi imprese produttive, le lobby ricche e particolaristiche si sono sedimentate, senza fondersi, in una deprimente autoreferenzialità. Il "giusto mezzo" del cattolicesimo paludoso italiano, di cui consiste l'humus preferito dei "residuati bellici" di cui ante, ha lasciato il corpo sociale invaso in tutte le sue periferie, da queste cellule tumorali. Le dinamiche sociali, per essere accettate e democraticamente amministrate, devono essere grandi, ampie e dialogicamente condivise, come non avviene in questi "circoli" presuntuosetti e ridicoli.

giovedì 4 luglio 2013

C'è fin troppo metodo nel kaos.

Scusate, cari amici, ma io qualche assonanza fra la politica egiziana, con il suo Presidente della Corte costituzionale che presiede un Governo che ha sospeso la Costituzione e l'Italia, l'avverto. Che sta succedendo? I militari stanno per prendere il potere? Ma no, è che la maggioranza del Parlamento ( solo per darla a bere agli italiani ? ) aveva chiaramente espresso la sua contrarietà ai bombardieri F35, per il cui utilizzo bisognerà chiedere il permesso agli americani che ce li venderanno, in quanto una parte fondamentale dell'hardware di guida resterà nelle loro mani e, il Presidente vetero comunista della Repubblica ha inventato o reistituito il Consiglio supremo di difesa, il Gabinetto di guerra, che, nella sua prima riunione ha sancito che l'acquisto è materia tecnica e non soggetto all'approvazione del Parlamento. Su che cosa si sono formate generazioni di studenti di Giurisprudenza, a questo punto non si sa più. Si manifesta una prepotente tendenza a violentare la ragione, il diritto e il buon senso con interpretazioni capziose e provocatorie, sostanzialmente con imposizioni che relegano l'interlocutore - nella fattispecie il Parlamento, espressione della volontò popolare - nel ruolo di inutile e per ora tollerato impiccio rimovibile. Ecco dunque che il paradosso di questo Paese-calzetta viene clamorosamente allo scoperto senza che un movimento organico di rivendicazione del diritto violato così smaccatamente e violentemente ( la violenza di chi vuole aggredire od impedire ) si organizzi e si opponga. Si dice che, in circostanze analoghe, in altri tempi, le truppe sarebbero già state schierate alle frontiere. Non sono in grado di valutare l'attendibilità di una simile, per fortuna, accademica stima, ma sono spaventato dalla catatonicità civile che incombe come un peso irremovibile sulle coscienze meno egoiste o solo più attente. E' un metodo che va generalizzandosi, che si propone di travolgere gli ostacoli alle strategie di pura conservazione economica e istituzionale. Noi non avremo piazze colme, ma solo un'analisi di nicchia e prese di posizione pubbliche, ma individuali. Non è una ragione per demordere.

Caleidoscopi.

L'esito paradossale e contraddittorio delle manifestazioni egiziane, che hanno portato alla defenestrazione di Morsi e alla persecuzione dei Fratelli musulmani, non è suscettibile di analisi razionali, nè di evolute simmetrie formali con il diritto, come noi lo conosciamo. Resta una tappa, se regressiva lo vedremo presto, di un disperato tentativo di evoluzione di un paese storicamente affascinante che propone quali protagonisti ( o comparse? )plebi violente, irrazionali, primordiali. Le masse, comunque, anche in Egitto sono tornate a farsi sentire con decisione, senza mediazioni e hanno messo in crisi l'apparato di potere che si andava configurando, ben diverso dalle aspettative di coloro che avevano rovesciato Mubarak. L'emarginazione - se ci sarà - dei Fratelli musulmani potrà impedire un precipitare nelle tenebre dei dogmi religiosi ( e non ), ma un popolo così incivile, emotivo e sempre pronto alla festa della deposizione, dovrà purtroppo convivere con la tutela degli uomini in armi, tutt'altro che rappresentativi del pensiero liberale e, finchè l'istruzione popolare non verrà diffusa, con ogni mezzo, anche volontaristico e la salvaguardia della salute non sarà seriamente ricercata, non ci si può illudere che questa gente possa conoscere e apprezzare i diritti civili e il rispetto legale della propria e dell'altrui personalità. Senza illudersi, è comunque qualcosa che senta indistintamente il desiderio di non subire più fatalisticamente atteggiamenti tirannici. Purtroppo, la violenza che, nella calca, è stata esercitate su diverse donne, egiziane e straniere, che partecipavano alla rivolta o la documentavano, è un pugno nello stomaco che mutila e assimila tutta la piazza alla teppaglia. Spero che non sia stato così uniformemente, ma l'inumana reazione a un sintomo di emancipazione di esseri umani che ritenevano, con coraggio, di essere finalmente persone dotate di parola e di libertà, fa disperare delle comuni aspirazioni che pur contraddette, sottendono indistintamente e inconsapevolmente all'occupazione pubblica de Il Cairo. Fa comunque specie rilevare come anche in Europa, le confuse formazioni di sinistra si siano trovate nella condizione di approvare un colpo di Stato che dopo un anno ha deposto il primo Presidente eletto dell'Egitto. E' un sintomo della confusione e della perdita di riferimenti dei movimenti politici e del globalismo che ne mulina l'attenzione e l'analisi fuori contesto, fuori cioè dalla civiltà giuridica di appartenenza, scombussolata da organismi estranei e da influenze culturalmente inconciliabili.