domenica 28 luglio 2013

Fiat voluntas sua.

La vicenda della FIAT è emblematica del processo di riforma del capitalismo italiano, che, pur producendo un violento impoverimento generazionale, non precipiterà l'industria e la società italiane negli abissi della Grecia – molto pubblicizzati - e dell'ignorato Portogallo, almeno fino ad ora. E' diversa la dimensione dei rispettivi paesi e l'Italia che sopravviverà sarà icona per tutta la nazione, anche se le diverse realtà territoriali avranno poco da spartire, l'una con l'altra. Ero poco più che bambino, quando sembrava che la FIAT stesse per fondersi con la Citroen. Poi fu la volta della Wolkswagen. Mentre apriva succursali in Unione sovietica ( a Togliattigrad ) e in Polonia per far contento il Partito comunista italiano e compensarne gli affari indotti e le donazioni della Casa madre, continuava a immigrare frotte di meridionali, che, nella provinciale e chiusa realtà piemontese, finirono per affossarsi nel quartiere di San Salvario, oggi occupato dai negri ( consentitemi il politicamente scorretto, ne ho piene le tasche dei manierismi ), dopo un trattamento parimenti razzistico da parte dei meridionali che hanno ceduto loro gli appartamenti. Torino è l'unica città d'Italia nella quale il Muezzin chiama, per ora solo alle 17, i fedeli alla preghiera con l'altoparlante. I contadini meridionali, trasformatisi, come Mimì metallurgico, in operai FIAT, si comunistizzavano in loco e, un po' per rivalsa e un po' per "contrastare il capitalismo" producevano guasti alle autovetture: la FIAT, anche in tempi recenti, è stata la marca con i maggiori difetti di fabbricazione, anche gravi. Adesso le produzioni decentrate dei principali concorrenti, in Messico ad esempio, le stanno facendo recuperare lo svantaggio competitivo. La condotta sindacale di acceso contrasto aveva tre origini: I ritmi e gli infortuni che ne derivavano, erano quotidiani e in alcuni casi, menomanti. Il controllo all'interno degli stabilimenti era carcerario; esistevano alcuni reparti ghetto. Il terzo elemento era l'aspirazione, più dei sindacati moderati che della CGIL, che pure sperava ( vanamente ) di entrare a farne parte, che consisteva nell'auspicata irizzazione di una azienda con centomila dipendenti, che spesso era sull'orlo del collasso, sanato con ogni sorta di trasfusione finanziaria da parte dello Stato, in cambio di assunzioni generiche degli immigrati. La FIAT ha cavalcato gli eventi, ha preso gli aiuti, è assurta ad un ruolo politico che le ha fatto preferire a tecnici di prim'ordine come l'Ing. Ghidella, burocrati romani, ammanicati con il potere politico, come Cesare Romiti, che non ne hanno favorito, né l'evoluzione tecnica, né la salute economica. Ed eccoci ai giorni nostri. La FIAT non ha curato, per così dire, i dettagli ed è stata scalzata in numerosi segmenti merceologici dalla concorrenza, anche quella minore, che nelle lacune produttive si è inserita. Anzichè essere ceduta all'I.R.I. - che poi sarebbe sparito – la FIAT beneficiò dei buoni uffici di Bettino Craxi, il nazionalista, che la preferì alla FORD – che aveva fatto un'offerta migliore – quando fu l'I.R.I. a cedere l'Alfa Romeo – da cui sparì il sottomarchio Milano -. Si trovò ad essere il marchio unico nazionale ed uno dei maggiori in europa, con la gamma più completa di autovetture da offrire al mercato. Il sistema avrebbe dovuto evolversi, attraverso la cessione di rami di produzione e l'acquisizione di altri – ma, date le dimensioni – molto meglio attraverso fusioni, cioè operazioni sul capitale e sulla razionalizzazione dei modelli, per segmenti di mercato. Ma sarebbe venuta meno l'appartenenza alla famiglia, rappresentata anche da personaggi alla Lapo Elkan. Non sia mai! Ecco che, quindi, si è avvitata, in una contraddizione dimensionale ed economica. Infine, è stata lei a "salvare" la Chrysler ed a spostare il baricentro dei suoi affari in america. Le chiusure delle fabbriche nel deserto del sud d'Italia ne sono stata l'inevitabile, anche se contrastata conseguenza. In quei luoghi, in quarantacinque anni di attività, non è stato costruito niente in termini di infrastrutture civili, non è cambiata la natura della società, non ostante i cospicui finanziamenti endogeni e comunitari. Gli operai di mezza età, sono tornati a sedersi al tavolo dei bar, dopo qualche protesta di maniera. La Fabbrica Italiana Automobili Torino, con il suo brutto marchio in caratteri littori, vaga per i contesti internazionali, alla ricerca del mantenimento del suo tornaconto, diluendo la rintracciabilità dei suoi investimenti. I rampolli, che si sposeranno, anche se preferiranno sempre in cuor loro i trans, si baloccano in linee ottiche. Ma la ex classe operaia non potrà più cantare, come negli anni '50 e ' 60: "le fabbriche d'Italia chiudono per tanti guai, viva la FIAT che non si chiude mai". Parte della produzione - che dovrebbe essere ceduta - cesserà, per mancanza di acquirenti che, apportatori, a loro volta, di ristrutturazioni profonde, sarebbero sindacalmente e forse politicamente osteggiati, salvo donazioni tangentizie, che, riguardando soggetti stranieri, non sarebbero neppure investigate. Parte, invece, sarà esperita all'estero, dove però, ai bassi costi non pare corrispondere la buona accoglienza. C'è, infatti, nella galassia FIAT un senso di appartenenza, di proprietà materiale, che contrasta con l'anonima e dispersiva turbo-economia. Le determinazioni vengono ancora assunte in consigli di famiglia, il controllo si esercita attraverso un modesto possesso di capitali e un ferreo controllo sulla galassia dei contributi diffusi, ferreo controllo che si tasfonde nelle officine. Solo Carlo De Benedetti, sfruttando questa debolezza potenziale, dopo solo sei mesi da Amministratore delegato, stava sfilando l'azienda alla famiglia, che se ne accorse in extremis. Poi, Umberto sembrava propenso a trasformare la FIAT in una finanziaria pura, ma venne stoppato dagli altri membri della famiglia e da Cesare Romiti. Oggi, dopo aver agitato una contrazione incostituzionale della rappresentanza sindacale e l'adozione di costumi coreani, l'azienda è tornata in un limbo di indeterminatezza, come tutta la società civile ed economica. Il tentativo di importare in Italia regole, in altre forme sempre applicate in ditta, ha avuto una valenza tutta politica e non è riuscito. Per le sue dimensioni e interessi e senza più l'apporto costante delle finanze statali, è normale che la FIAT si sparga, delocalizzi e specializzi. Lo Stato corporativo è finito da settant'anni e la Skoda o la Trabant per i proletari non sono state mai prodotte, Bianchina a parte. Quindi, anche le rimostranze sindacali, affiancatrici od ostative, sono state pubblicitarie e funzionali a mai soddisfatti e non più attuali, auspici istituzionalizzatori; la FIOM sarà costretta a diventare un partito o la componente di un nuovo partito, frutto probabile di riposizionamenti di formazioni già esistenti. Sarà un altro effetto della ristrutturazione globale in articulo nationale.

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