domenica 14 luglio 2013

Io

In questo "libero" e concorrenziale mercato, nel quale ci stiamo sciogliendo come fecondo concime, il lavoro organizzato in strutture aziendali è ridotto a fare concorrenza sleale al lavoro nero. Cominciò Marco Biagi, con il suo, all'epoca, fin troppo celebrato Libro bianco, a millantare che il lavoro flessibile e precario creasse una maggiore occupazione. Non fece altro, quel povero diavolo, che parafrasare i canoni primitivi della destra economica e poi politica, che sono liberiste..per sé. Secondo questa ideologia, le aziende non assumono perché la merce lavoro costa troppo rispetto agli utili attesi ( questo non lo dicono, affermano solo che costa "troppo" ). Perché questa merce non resti invenduta, bisogna quindi abbassare il prezzo in salario e diritti, fino a che sia di nuovo conveniente acquistarlo. I nostri Governi, composti da persone incompetenti, espressione degli interessi consolidati o degli apparati, abituati a mettersi in favore di vento, si sono adeguati alla propaganda succeduta alla Guerra fredda. Questo comodo atteggiamento orienta, da trent'anni, la politica del lavoro ed è la causa fondamentale , insieme alla speculazione finanziaria, del perdurare e dell'aggravarsi della crisi. Infatti, il lavoro precario non si aggiunge al lavoro tutelato, ma lo sostituisce. Si creano così dei margini di guadagno per le imprese, anche se producono poco o involvono i denari in partite di giro per i propri associati e i pur sparuti clienti. A questo si aggiunge l'arcaicità degli strumenti di lavoro, sui quali, approfittando di lavoratori low cost, non si ha interesse ad investire. Infine, è dimostrato che la distribuzione orizzontale della ricchezza, che non viene assorbita dal profitto, viene prodotta dagli scambi commerciali minuti e quotidiani, che, in queste contingenze, si sono gravemente isteriliti. Nonostante l'evidente effetto depressivo sulla società di questo costume e di questa politica, si continua ad asserire, indisturbati, che i frutti non si vedono perché la flessibilità non è ancora sufficiente. Fino a che una violenta opposizione, supportata da analisi e competenze adeguate, non frenerà questo scempio, i lavoratori e la società tutta continueranno a degradarsi. Questo movimento non nascerà in Italia, ma, poi, vi troverà entusiatici ed enfatici interpreti. Per ora, ogni deregolamentazione aprirà la via a quella successiva , non essendo state le precedenti bastevoli, non alla sussistenza, ma al potere e all'acquisizione.La precarietà del lavoro, che comporta spersonalizzazione e mortificazione, produce lauti profitti a breve per le imprese, che non vengono ripartiti con i lavoratori, ma solo con gli azionisti, perché è incerto se saranno ripetibili e nella stessa quantità anche l'anno successivo, in una situazione economica priva di prospettive per molti anni. I profitti materiali, ricircoscritti al puro ambito finanziario e capitalistico, vengono pagati in regresso civile , morale e politico, oltre che economico, da tutto il Paese, che è composto prevalentemente da lavoratori. La campagna delle imprese per la precarizzazione del lavoro continua, anodina e stucchevole, riservando alle contese intercategoriali la perduta competizione con i lavoratori. Fateci caso: le imprese manifatturiere accusano le banche, le piccole aziende se la prendono con le grandi, l'imprenditoria privata recrimina contro la cooperazione, ma i loro rappresentanti, tutti insieme, continuano a chiedere piena "libertà" di sfruttamento del lavoro, come Berlusconi la carcerazione dei suoi giudici. Così, mentre istituti evoluti, che nessuno ha concesso, ma che sono stati il frutto di un lungo sforzo di pensiero, di battaglia politica, di costruzione sociale, insieme allo sforzo del lavoro concreto, dell'apprendimento scolastico e sanitario, vengono abbandonati alla desuetudine, è in corso uno sguaiato e mai sazio assalto al "valore" di ogni singola persona, di tutto ciò che gli appartiene e che nessuno deve poter violare. Lo dicono anche i possidenti, evasori ed evasivi. Stiamo attenti a non farci confondere. Senza questa base del diritto non reggerebbe nulla della nostra civiltà : la libertà politica, l'indipendenza della nazione , l'Ordinamento dello Stato, le leggi che regolano il lavoro e tutto quanto ne dipende. L'Io, il nostro essere prima di tutto "io", come individuo, come persona di valore assoluto, è una certezza inscritta nella coscienza di ogni uomo, da quando emette il primo vagito, fino a quando muore, in ogni epoca e in ogni cultura. La violazione di ciscun Io deve essere causa di lotta e di contesa.

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