domenica 14 luglio 2013

Opacità del futuro, ma qualcosa si muove.

La grande ritirata dei partiti di massa da una rappresentanza effettiva degli interessi popolari, ha finito col porre non uno, ma due poteri sulle spalle dei ceti popolari: il dominio dei gruppi economico-finanziari e i partiti-Stato. Da tempo, questi ultimi sono impegnati, con capacità mediatoria, che varia da caso a caso, a trasformare il potere mondiale del sopramondo economico-finanziario in agende politiche nazionali, con effetti stridenti sempre più noti ed evidenti. Mentre sono impegnati a liberalizzare e a privatizzare, a piegare tutti gli scopi della vita umana e sociale a regole profittevoli di mercato, a scatenare insonni campagne pubblicitarie sulla competizione e sul "merito", a rendere "contendibili" le imprese - come suona la retorica predatoria della finanza - flessibile il lavoro, essi marciano in direzione inversa. I partiti si statalizzano, non premiano il merito ma le clientele, non attivano la competizione ma, più spesso, gli accordi segreti, non sono contendibili, non adottano flessibilità, spesso sono corrotti e collusi, anche con i poteri criminali. Si sono trasformati, di fatto, in chiusi oligopoli, impegnati a perpetuare il loro ruolo e potere.Questa evidente contraddizione fra ciò che si impone alla società e si risparmia a se stessi è certo causa non ultima del rancore che si va accumulando nel fondo dell'anima popolare e che di tanto in tanto esplode. Eppure, non è questa la grande causa comune che credo di percepire al fondo dei moti che dilagano per il mondo. Il fuoco che alimenta le rivolte, a prescindere dalla varietà delle occasioni locali, è una contraddizione che ormai stride davanti agli occhi di chiunque voglia osservare. Una conoscenza diffusa, una informazione quotidiana a scala universale di cui si impossessano ormai masse crescenti di cittadini, confligge con violenza contro l'opacità, la distanza, l'impenetrabilità perdurante del potere, di tutti i poteri. Il cittadino che sa, comprende sempre di più che le scelte operate dallo Stato o dall'amministrazione locale influenzeranno la sua vita e, perciò, pretende di dire la sua, vuole partecipare alle decisioni. Egli va scoprendo, di giorno in giorno, i diritti lungamente occultati di cui non gode. Ma, a fronte della conoscenza di cui dispone, il suo potere di influenza sulle scelte del ceto politico è spesso nullo. Vediamo infatti sempre più limitate le sovranità nazionali, sempre più inascoltate le richieste e le proposte che salgono dalla società. Tale regressione, aggiornata all'Ottocento, richiede che si torni a parlare di popolo e di popoli. E questi popoli oggi sono stanchi di non essere ascoltati e di contare sempre meno. Stanchi di osservare l'avanzare in ogni dove di una nuova democrazia dell'informazione, i segnali di un nuovo mondo possibile e di trovarsi addosso inette oligarchie che paiono trascinarli nell'opaca passività dei secoli passati.

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