mercoledì 31 dicembre 2014

Slalom.

Si chiude l'anno con il jobs act e l'abolizione del Senato della Repubblica che, dalle prossime "consultazioni", non sarà più eletto. L'anno nuovo si apre all'insegna della precarietà, meglio ancora, della cercata precarizzazione. Dopo mille aggiustamenti, condotti di concerto con i sindacati, la sinistra ha inferto il colpo di maglio ai diritti dei lavoratori senza memoria che verranno. Avranno pochi soldi in tasca e molto tempo libero. Diventata insignificante, la politica si è fatta prepotente, di una prepotenza basata sul demando di potentati burocratici alieni. La politica, non la burocrazia che ne è strumento, si è alleata con la parte vincente e spera di poter blandire il popolo con curiale ipocrisia, suscitandone la rassegnazione. Sul piano internazionale, ci acconciamo, come sempre, come comprimari opportunisti. Su questa base, una classe politica che si farà eleggere a cose fatte, fonda i suoi obiettivi personali di lungo termine. Roberto Saviano ha proposto un suo contro discorso di fine anno, di denuncia delle omissioni e d'auspicio perché la parola sia resa alle periferie degradate del mondo, a cominciare da quelle di casa nostra. Un francescanesimo, non gesuitico - spero - il suo e pertanto destinato alla pura testimonianza verbale. L'altro si fonda comunque su di un potere. Condannato a morte, in corpore vivo, dalla camorra, matura e poi invecchierà in solitudine, circondato, notte e giorno, dalle sue guardie del corpo - i suoi apostoli silenti - che, di tempo in tempo, si danno il cambio. Le feste di fine anno si svolgeranno, in molti casi, all'insegna dell'improvvisazione, in qualche dimora di campagna, in provincia, dove, per mancanza di manutenzione, in seguito al disuso, si annuncia qualche incoveniente. Sono ancora in possesso dei proprietari perché i prezzi di vendita sono troppo depressi e non se ne vorrebbero, speculativamente, - non si tratta di non potere -, sostenere gli oneri. In queste ville, ridotte e fantasmatici casolari, le condutture dell'acqua, mai utilizzate, si sono ghiacciate al primo freddo. I caminetti e le danze mitigheranno i brividi, i giardini ghiacciati ospiteranno le deiezioni. Oggi, ghiaccio sui bollenti spiriti, domani una bella infreddatura, al risveglio. I ragazzi continuano a svagarsi così, come facevano i loro genitori, a lor tempo, secondo una fretta e un'insofferenza che, se non erano accompagnati dal benessere e da ormonali compensazioni, da materiali supporti, declinavano nelle prime malinconie esistenziali, salvo poi avvertirle ugualmente, se e quando solo a questi ci si limitava e non si trovava altro, nelle e fra le pur necessarie compagnie. La propria impronta riemerge comunque, di tanto in tanto, in ogni pur mutato contesto. Sono quindi convinto che, per ciascuno, la propria condizione esistenziale, vitalistica e prospettica, si replichi, rammentatrice, ma solo per chi può osservarla, distanziandosene, nell'ansia festosa di un futuro prevedibile, ma, finchè possibile, rimosso.

martedì 30 dicembre 2014

Orgoglio e corruzione.

Ad ogni fine d'anno le carrette del mare, quasi sempre di armatori greci, vanno a fondo. Stavolta sono morti anche due soccorritori. Dopo un lungo tergiversare e una crescita di morti proporzionale al trascorrere del tempo, è stato un rimorchiatore albanese ad agganciare il traghetto in fiamme ed a portarlo verso le sue coste. Oggi, al largo di Corfù, uomini dapprima denunciati come armati, rivelatisi clandestini trasbordati sul traghetto dagli scafisti, stanno agitando il natante in avaria. Da una carretta all'altra. Siamo sicuri che uomini armati non si siano intrattenuti un po' sul ponte per sconsigliare qualsiasi ipotesi di resistenza? Che cosa ci facevano dei clandestini per mare in queste condizioni e poi a bordo dell'altro naviglio greco, forse per questo "carpito" con perizia dal rimorchiatore albanese che ha lasciato nell'impresa due uomini(?). Renzie, proprio dall'Albania, ha parlato di eroismo dei nostri marinai, altro che Schettino. Subito dopo si è impappinato. Eroi prudenti. Oltre all'approssimazione sui mercantili civili, più volte documentata, dell'equipaggio, rastrellato per etnia a basso costo, che è poi un elemento congruente dell'insieme, ecco riapparire sovrana la speculazione e la corruzione a fare da artefice a tutti i disastri e che ricomincerà domani a ritessere le sue trame, incuranti, anche di chi è casualmente incappato (forse) nelle maglie larghe della giustizia. Sempre in Grecia si prospetta una soluzione democratica della crisi umanitaria in cui è incappata per recuperare un debito irrecuperabile, come quello italiano, ma senza farsi completamente piegare dalla prepotenza tedesca. Sono stati più dignitosi dell'Italia. Si prospetta un'imprevista elezione del Parlamento, dopo che il commissario europeo è stato per tre volte battuto nell'elezione per la Presidenza della Repubblica. In meno di un mese si scateneranno tutti gli anticorpi per impedire che Syriza - che pure ha ammorbidito la sua inizale radicalità, mano a mano che ha sentito di poter vincere - vada al potere. Vedremo che cosa succederà. Può darsi che il "lavoro" si svolga nelle quinte colonne e che le "sanzioni" vengano, eventualmente, dopo, ma quali altre sanzioni, oltre a quelle in atto, può aspettarsi lo svilito popolo greco? Che la Grecia, l'Italia, siano nazioni profondamente corrotte è un dato incontrovertibile; che possano o debbano vivere sotto il tallone teutonico, è possibile solo tagliando fuori, non i corrotti, ma la popolazione civile dei rispettivi paesi e questo, almeno per quanto riguarda la Grecia, mi sembra impegnativo. Che aspettarsi, del resto, dall'italietta, alla luce, intermittente per carenza di linea, delle dichiarazioni della ministra Boschi, emula molto minore di Aldo Moro e delle sue convergenze parallele. Lei ha affermato, scivolando per un attimo nell'argot toscano, che il patto del Nazareno prevede l'accordo sulla base di ogni atto, per poi governare separatamente. Un governo e un'opposizione di Sua Maestà, la Troika.

lunedì 29 dicembre 2014

Meteore di insensatezza.

La progressiva deprivazione neuronale, la resistenza del resto del corpo, la confusione dei gesti, delle parole, le invocazioni di aiuto, il coraggio che si cerca in nome di un silente Signore o Dio che si voglia appellare. La fobia del buio, evocatrice della morte, il regresso nei gesti elementari, la solitudine, il passatempo della ripetitività dei gesti, i riferimenti perduti e il senso dell'abbandono, preludio del tuffo nel nulla. La confusione che prelude all'insensatezza. Eppure le affermazioni slegate non sono originali, sono ripetizioni fuori contesto di amarezze, disillusioni, presa d'atto contraddittoria con i principi, tenebrosi e punitivi, in conflitto con le capacità critiche, di cultura con cui confrontarli, di esperienze attraverso le quali emanciparsi, quando questi strumenti, a loro volta caduchi, duellavano con le emozioni. Una nuova ed ultima impotenza ed inabilità del raziocinio di fronte ai contributi disordinati del più vasto contesto, non dissimile da quella che ha accompagnato, a fortiori, tutta la vita. Un caos riemergente, un attimo prima di rientrarvi.

La lotteria del possibile.

L'ILVA di Taranto ritornerà allo Stato - sempre che l'Unione europea faccia finta di non accorgrsene - e, dopo un piano di risanamento a spese pubbliche - che ci sarà puntualmente conteggiato in sede di rientro dal deficit - tornerà ai privati. Come l'Alitaila dei "patrioti". Quello che resterà immutato sarà il tasso d'inquinamento dei vetusti stabilimenti, mai aggiornati secondo le normative internazionali, per ragioni speculative e che non saranno aggiornati dallo Stato "risanatore", per ragioni di bilancio. i sindacati che manifestarono contro l'iniziativa giudiziaria, a tutela della salute di cittadini, interessati da un numero di neoplasie doppio rispetto a quello nazionale. Riavranno pane e tumori. Altro che catene da cui liberarsi, povero Carlo Marx, si prende - almeno in Italia - quel che c'è, finchè i respira. E' una condizione drammatica, dirà qualcuno. E' soprattutto una condizione esistenziale, dico io. In Grecia si tornerà a votare, Costituzione alla mano. Siamo più avanti noi che l'abbiamo mangiucchiata come topi e semidivorata nelle sue parti più appetitose, come faine. I mercati borsistici crollano. Perché si votarà? Stranezze finanziarie. Che non c'azzecchino per niente con la democrazia? Comincerà subito il lavorio ai finachi della superstite popolazione greca, al netto dei suicidi, delle morti per inedia e per mancanza di cure mediche,e, soprattutto, sugli incaricati in loco della conformità ai voleri della Troika in quel piccolo e disastrato Paese, per sterilizzare, uniformare, rendere inutile per i suoi soggetti, i cittadini, quelle elezioni. l'ultimo candidato mancato alla presidenza è stato l'ex commissario europeo che, allora, non si accorse dello sttao comatoso delle finanze patrie, impegnato com'era a "commissariare" quelle della Finlandia. Un bel ribaltone metterebbe in crisi e porterebbe alla rimozione di questi "commissariucoli" alla Matteo Renzie, che, fuor di binario dimostrrebbero subito di non saper governare il "mezzo", cioè la nazione e, su questa incapacità, non potrebbero più meditare di fondare un comodo e ventennale potere. Le aggressioni gratuite per strada, talvolta le risse e le violente contese verbali stanno diventando consuetudinarie lungo le nostre strade. La lite è quasi sempre la conseguenza di una reazione della vittima, proditoriamente ed inopinatamente aggredita. Prendersi due cazzotti incrociando un viandante, venire spintonato e poi aggredito, en passant, rientra fra le possibilità. Probabilmente, all'origine dell'intenzione, interiormente meditata, consegue un atteggiamento, un'immagine di sé "provocatoria" dell'aggredito, che non viene derubato o intimidito, a meno che non accenni a reagire, ma solo percosso, per "motivazioni" generiche note solo all'itinerante "autovendicatore". E' la lotteria delle rivalse, dell'occasionalità delle possibilità, di rado positive.

La divisa compensatoria.

La polizia, il "corpo" di polizia di tutto il mondo, incarna uno spirito di immunità verso la società "ostile", del quale fa il suo fortilizio e che "difende" contro ogni ingerenza della sfera pubblica, dalla quale dovrebbe dipendere e che dovrebbe impersonare. Invece, direttamente, come è avvenuto a New York o tramite il Questore di turno o sindacati, a loro volta "di corpo", assumono atteggiamenti cautelativi verso le future violenze ed arbitri che commetteranno e che potrebbero essere forieri di reazioni a loro volta omicide. Negli Stati Uniti, il corpo di polizia, come in Sud Africa, è costituito anche da negri, che però si sentono al sicuro nella loro divisa e ritengono di poter sfogare i loro sentimenti di rivalsa sui negri non inquadrati. In fondo, in ogni parte del mondo, i tutori dell'ordine degli altri, appartengono alla stessa classe sociale di coloro che reprimono e ne condividono, pur alterata dall'addestramento e dalla formazione poliziesca, la primitiva morale vendicativa, come si evince dalla selezione fra i reati che viene praticata all'interno delle carceri, fra gli stessi prigionieri. Ho assistito personalmente agli improperi e alle minacce che un esagitato in borghese rivolgeva a un cittadino inerme, per l'età avanzata, dichiarando di essere poliziotto, perchè redarguito per il mancato rispetto del codice della strada. Un'icona di una mentalità o di una pretesa di compensazione, di "risarcimento". In particolare, il fenomeno americano di contrapposizione fra neri e poliziotti, nel sud mai uscito dalla sua mentalità schiavistica e razzista che si trova a convivere con estese periferie, veri e propri ghetti neri, ma che tracimano per rubare ed impaurire i pur armati ed integrati bianchi. Nelle metropoli, il razzismo sussiste, ma è mischiato alle dinamiche sociali, che provocano anche veri e propri atti di ritorsione armata. E' stato il caso dei due poliziotti, di cui uno asiatico, newyorkesi, i cui attentatori si sono suicidati subito dopo. Quello che manca, perché politicamente non può essere pronunciato, è un discorso sulla pari responsabilità negli atti criminosi, sia che si porti una divisa, sia che si sia un cittadino comune e sulla pari dignità giuridica. Per questo, i pregiudizi ( e la cronaca ci dimostra quanto siano presenti in ogni società, evoluta o primitiva ) anche quelli formali, non possono essere rimossi e, quanto più li si nega, tanto più sussistono e si confrontano anche con le armi.

domenica 28 dicembre 2014

Disastri annunciati.

L'interregno di fine anno viene spesso rimpito da tragedie del mare e dell'aeoronautica. Le condizioni climatiche peggiorano la situazione perché impediscono o ritardano i soccorsi. ma all'origine degli incidenti sta l'improvvisazione del personale di bordo che viene ingaggiato, sotto costo, attraverso le agenzie di lavoro interinale, spesso fra persone che hanno già prestato servizio sui navigli, il che, invece di aumentarne la conoscenza, ne alimenta la superficialità. D'altra parte, il lavoro del marinaio occupava un tempo tutta la vita e della conoscenza del mare faceva la sua forza. Oggi, invece, sia sui traghetti, sia sui piroscafi da crociera, il personale è costituito in gran parte da occasionali, che fanno gli inservienti, gli aiutanti di macchina e gli intrattenitori. I mezzi di trasporto o sono troppo complicati per questi operatori o sono più spesso obsoleti, poco più che carrette che, in inverno, mostrano tutta la loro fragilità, alla quale non si riesce ad ovviare. E' un fatto che i disastri più grandi, nei nostri mari, avvengono a cavallo delle festività natalizie, quando i mezzi sono sotto pressione e questa non può essere una fatalità. Nel trasporto aereo, dopo la deregolamentazione delle tratte, l'apprestamento delle flotte - spesso sottomarchi delle compagnie ufficiali o dismissioni parziali di flotte di Paesi poco organizzati o in crisi sistemica -, la loro manutenzione, l'assegnazione dei piloti, spesso reclutati fra quelli in cassa integrazione delle compagnie mondiali, che rischiano di perdere il brevetto per carenza di ore di volo, la sicurezza, da anni, è molto diminuita. C'è stato un recupero, dopo una serie di incidenti, ma la situazione resta precaria. Per quanto riguarda la Garuda o Indonesian air lines, non sono nuove le situazioni critiche, soprattutto sulle linee interne. Mentre le tratte turistiche sono salvaguardate, quelle nazionali sono servite da aerei desueti, spesso in avaria. Io stesso viaggiai su uno degli ultimi tre DC9 in servizio, fra Jakarta e Java, che, con un solo motore, di notte, dovette per due volte faticosamente, tornando in quota, riaffacciarsi sulla pista di atterraggio. Una specia di jobs act dei mari e del cielo, prossimamente sui nostri schermi.

Lungo un percorso accidentato.

Il jobs act di Matteo Renzie, a tutele decrescenti nel tempo per tutto il mondo del lavoro che rimarrà, dopo i contratti atipici e l'occasionalità dell'impiego, vedrà uno sfarinamento progressivo e sistematico della chiamata ( sostituirà di fatto - o se ne varrà - le agenzie di lavoro interinale e omologherà l'operaio e l'impiegato senza padrini, all'extracomunitario, generico anche se laureato ) e una contesa crescente fra i ranghi bassi del neo proletariato per assumere i caratteri che il padrone esigerà da lui. Le tutele "crescenti" saranno custodite da un rigido sistema di conformità ai comandi e alle prassi, che, ovviamente, prevederanno la piena utilizzazione dei "fedeli famigli" in ogni circostanza e luogo dell'ambito o dello scacchiere aziendale. A questa prospettiva ingannevole di stabilità tellurica si acconceranno, con diverse modalità personali ( quindi anche in peggio ) e caratteriali quasi tutti, creando così, più che una "squadra" un sistema ed un modello servile. Per altro, la vita è sogno e quando i più traditori e scherani si affaccieranno sulla soglia del "loro" Signore e gli chiederenno: " che cosa mi darai?", si sentiranno destinare un equivalente rammodernato della "Torre". Il lunghissimo snaturamento delle condizioni di lavoro, che ha visto il contributo di tutti i soggetti politici e sociali ed avvelenato la pratica quotidiana di tanti onesti prestatori d'opera, è giunto ad un passaggio cruciale o, ad essere meno pessimisti, ad una nuova strada delle doglianze preparatorie ed adattatorie, a far asfaltare la quale si prodigano tutti e, con maggiore malignità, coloro che si propongono di affiancare ed eventualmente di sostituire gli stradini all'opera. Ovviamente, questo percorso e queste intenzioni possono e dovrebbero essere contraddette, in primis dai destinatari organizzati e in secundis dai loro rappresentanti che, però, non si possono, da tempo, scegliere. Anche la "moralità" della politica - a parte gli esiti all'incontrario che manifesta - ha concorso e concorre a irrigidire i contegni, mentre la moralità sottostante resta la medesima che pria. Avremo occasione di riparlarne.

sabato 27 dicembre 2014

Psyco n. 2.

Ali Agca si è presentato in Vaticano e ha chiesto di parlare con il pampa-Papa. Mi ricorda un mio compagno di lavoro che telefonava a via delle Botteghe Oscure e, qualificandosi come il compagno.., voleva parlare con Berlinguer. Telefonava anche alla CGIL nazionale e, una volta, riuscì a farsi passare il segretario generale Giorgio Cremaschi. Ad Ali Agca è andata male: il pampa-Papa non lo ha ricevuto. Chissà se gli telefonerà? Poco dopo, il killer in pensione ha affermato che contro un costo del proiettile necessario e la vita di questo Papa, il rapporto è del doppio verso la metà. Evidentemente, la sua ambivalenza psichiatrica, fra senso di sé, riposto però negli altri e l'ira di non vederselo riconosciuto, l'aveva portato alla riemersione dei fantasmi che ne avevano fatto un pistolero, una semplice appendice armata, dei Lupi grigi e della mafia turca. Un assassino per conto di una legione di trafficanti di stupefacenti. Wojtyła, senza volere, aveva alimentato questa sua patologia, andandolo a trovare in carcere. Poi era stato tutto uno sproloquio di "rivelazioni", mai accertate. Terminata la sua carcerazione, in Italia e in Turchia, si era rifatto vivo, anche attraverso partecipazioni a network radiofonici, nei quali, aveva snobbato l'attuale Pontefice, definendolo sostanzialmente, una nullità che non dava ombra a nessuno. A lui sì, però. Invece di lasciarsi andare a nuove rivelazioni, che non si sarebbero volute accogliere, è sbroccato nei suoi intimi termini omicidi. E' stato infine mitigato: ha potuto deporre un mazzo di fiori sulla tomba del suo mancato obiettivo, diventato, per tutta la sua vita residua, insieme ad Emanuela Orlandi, uno scopo mediato, che ora, il gesuita-francescano ha impedito, diventando, in astratto, il canovccio di un sequel Ali Agca 2. Non c'è più (?)il regista e il produttore.

Strateghi di altrui strategie. Ovvero, la strategia del gambero.

Le strategie del sindacato contro il palese attacco del governo Renzi ai lavoratori appaiono inutili e inadeguate rispetto ai reali termini del conflitto sociale che si sta velocemente delineando in tutta l’eurozona. Per comprenderne i motivi bisogna partire dal “cuore” della riforma del lavoro attualmente in discussione: la modifica dell’articolo 18 incentrata sulla perdita del diritto al reintegro in specifici casi di licenziamento illegittimo. Siccome la verità è difficile da far digerire, hanno trasformato una clamorosa sconfitta dei lavoratori in un “contratto di lavoro a tutele crescenti”. Una banale operazione di marketing politico spacciata per bontà giuridica. L’idea parte da molto lontano, il dibattito sull’articolo 18 ha iniziato a prendere piede con il Libro Bianco del 2001, il quale non contiene un riferimento esplicito alla suddetta norma ma prevede degli interventi sul piano processuale – gli arbitrati in alternativa ai giudici del lavoro – che di fatto indeboliscono l’efficacia della tutela (possibilità di conferire al collegio arbitrale di optare per la reintegrazione o per il licenziamento). Il progetto di riforma relativo al processo del lavoro e in via marginale all’articolo 18 venne poi accantonato, complici le proteste provenienti dal mondo sindacale; la Cgil di Cofferati riuscì a radunare al Circo Massimo oltre due milioni di persone. Della modifica dell’articolo 18 se ne ricominciò a discutere nel 2006 con i disegni di legge Treu-Salvi e Sacconi . Accantonati anche questi. Nel 2009 ci riprova Pietro Ichino che propone, assieme ad altri parlamentari, due disegni di legge, incentrati sulla previsione di un Codice del Lavoro in sostituzione dello Statuto del Lavoratori, e del “contratto di lavoro unico a stabilità crescente”, sostanzialmente quello di cui si discute in merito al Jobs Act, un modo per indebolire l’articolo 18. Ma anche questo ulteriore tentativo di Ichino viene messo da parte, niente da fare. Colpo di scena! La storica modifica viene attuata nel 2012 dal governo ‘tecnico’ di Monti (cosiddetta riforma Fornero), al primo tentativo laddove la destra italiana aveva sempre fallito. Di quali istanze politiche si fa portavoce Monti? Sono nel contenuto della famigerata lettera inviata nel 2011 dalla Bce al governo Berlusconi : i ‘mercati’ mediati dalle rappresentanze dell’Ue (“ce lo chiede l’Europa”) nella veste di Troika. Anche il FMI, infatti, aveva e continua ad esprimere valutazioni politiche sul nostro sistema di tutele pressando il paese affinché vengano indeboliti i diritti dei lavoratori, anche con l’introduzione un “contratto unico di assunzione a tutele crescenti”. Da almeno tre anni, le politiche economiche e del lavoro vengono di fatto decise dalla Troika, che detta le regole per la gestione politica del conflitto sociale a favore del capitale internazionale. Siamo quindi nel pieno di una lotta di classe che vede come principale interlocutore politico dal lato del “padrone” enti finanziari internazionali e l’Ue. Stiamo quindi assistendo ad un mutamento radicale delle forze politiche in campo, la Troika con il benestare del governo ha fatto saltare i tavoli di concertazione, e questo spiega probabilmente l’affondo di Renzi contro le organizzazioni sindacali che, proprio perché non adeguano la propria azione sindacale all’evolversi del quadro economico, finanziario e politico di riferimento, sono moleste, ma sostanzialmente innocue. Dopo quarant’anni dalla sua entrata in vigore, la modifica dell’articolo 18 tanto voluta dalla destra italiana ha visto la luce solo perchè rispecchia le politiche neoliberiste su cui si fonda l’operato della Troika. Fin quando l’Italia esercitava un certo grado di autonomia politica, l’equilibrio di forze fra capitale e lavoro veniva più o meno garantito, ed in effetti sino all’arrivo del governo Monti una certa parte sindacale era riuscita ad arginare i tentativi di scardinamento strutturale del lavoro “stabile”, nonché della stessa forza di rappresentanza collettiva. Adesso che tramite una serie di trattati e accordi internazionali gli obiettivi del capitale finanziario internazionale e delle multinazionali sono stati anteposti agli interessi dei lavoratori e della piccola e media impresa italiana (da qui l’aumento di tasse e politiche di restrizione dei consumi, svalutazione del lavoro e ingenti piani di salvataggio europei delle banche internazionali con soldi pubblici), o il sindacato si rinnova e si riposiziona nel nuovo conflitto di classe, oppure esce di scena. Per fare ciò è ovviamente necessario che esso affronti i grandi temi da cui dipende il futuro del lavoro in Italia: finanziarizzazione dell’economia, avvento delle politiche neoliberiste, un modello di sviluppo delle multinazionali che non è adeguato ad una crescita democraticamente sostenibile, il ruolo politico delle organizzazioni finanziarie internazionali, il pareggio di bilancio, l’euro. Non ci si può lamentare della deriva del nostro diritto del lavoro se non si affronta la radice del problema, e non è solo la Troika il problema, il capitale finanziario aveva già manifestato la sua forza dirompente, specialmente nel mondo del precariato, e nulla di importante è stato fatto per arginarlo. Adesso che il PIL nord americano si incrementa, improvvisamente, di un 5%, la grande impresa multinazionale potrà valersi di un biennio di rodaggio all'effetto futuro - che possa trasferirsi subito da noi, ammesso che sia confermato, non è realistico - per appropriarsi delle possibilità che si intravedono, avendo già sedimentato l'occasionalità dell'utilizzo della forza lavoro.

venerdì 26 dicembre 2014

Percorsi.

La presa d'atto di una incompatibilità economica, ma, prima di tutto, amministrativa e contabile, con una moneta comune, diversa dalla lira, è coincisa con la rimozione della sua causa principale. La Costituzione della Repubblica italiana, frutto dell'accordo far i maggiori partiti nazionali, fra i quali il Partito comunista, è rimasta inapplicata per tutta la durata della sua vita, nella stragrande maggioranza dei suoi capitoli. La mancata trasposizione nella società e la sedimentazione di principi di eguaglianza formale, ha impedito la formazione di un sistema serio e coeso e favorito invece lo sfarinamento e la corruzione. Lo dimostano le quattro questioni che sostanziano la nostra storica crisi, oggi di palmare evidenza: il potere della criminalità organizata, l'evasione fiscale di massa, anzi l'extraterritorialità dei capitali, alla quale ha dato il suo sistematico contributo, fino a tempi attuali, lo Stato della Città del Vaticano, l'illegalità diffusa, la paresi della giustizia che, appena cerca di accelerare, si cerca di ricondurre nella sua menomazione. Infine, l'asservimento dei media al potere politico-economico-imprenditoriale. Il 1947-1948 avrebbe dovuto segnare una rinascita della giovane nazione italiana e l'inizio di un percorso conforme al dettato costituzionale. Invece, la Costituzione è stata tenuta volutamente in salamoia ed oggi se ne proclama l'obsolescenza. Lo si fa mentre la criminalità organizzata italiana risulta essere - senza enfasi - la più potente e pervasiva del mondo, un sistema borbonico-finanziario parassitario su scala globale. Non sono i suoi soldatini a fornirne la dimensione. Cosa nostra, 'ndrangheta, camorra e sacra corona unita ( riesumata e rimessa in forza dalla 'ndrangheta negli ultimi decenni ) governano il Sud, fino alle più minute concessioni e, con i loro ingentisimi capitali transnazionali, di cui non investono un centesimo nelle loro regioni di genesi e di insediamento, condizionano, contrastandone il normale sviluppo, la finanza dell'intero Paese. Costituiscono un potere reale e, per questo, sono presenti all'interno dei partiti politici e delle istituzioni. L'evasione fiscale italiana è un fenomeno patologico di entità senza eguali nel mondo occidentale, altra prova empirica della nostra non appartenenza al medesimo. E' una pratica di massa così ingente che finisce per alterare le dinamiche dell'economia di mercato e dello Stato di diritto, fino a compromettere il funzionamneto dell'apparato statale. La micro illegalità diffusa e l'attrito portato al funzionamento della giustizia è sotto gli occhi di tutti: riguarda, nel primo caso, i privati, piccoli cittadini, le famiglie e, nel secondo, i potentati "con le mani in pasta". Infine, l'informazione latita od è fornita da media di proprietà di gruppi imprenditoriali, affaristici o finanziari e l'informazione indipendente viene, se possibile, occultata, poi minacciata e aggredita. Quindi, in italia, l'informazione non è libera, bensì condizionata, non è indipendente, ma assevita ai poteri. In questo panorama, durante il biennio 2013-2014, la classe politica più mediocre e, per di più, abusiva, della monca storia repubblicana, ha disatteso, aggirato, violato la Costituzione con la complicità e la regia del Capo dello Stato. Attraverso le deliberazioni di un parlamento costituito in base ad una legge elettorale sancita come incostituzionale, si è inteso amputare la Costituzione, abolendo il Senato, si vuole varare una nuova legge elettorale analoga all'attuale, si vuole attribuire all'esecutivo la controriforme della Costituzione, mentre una riforma dovrebbe essere attribuzione di una nuova Assemblea, eletta con criteri compatibili con la Costituzione in vigore. Si fa tutto questo nella passività generale, fra il Segretario del PD, neppure eletto in Parlamento e un senatore decaduto, perché pregiudicato. Pensate che, in queste condizioni si possa concorrere ad un psoto di prestigio in Europa? Sarebbe un paradosso, ma un paradosso esplicativo e, proprio per questo, io non lo escludo.

Metamorfosi.

Non c'è che dire, l'Italia sta cambiando. Mentre il Natale, per la prima volta da molti anni, si è svolto all'interno delle mura domestiche, contestualmente si provvedeva alla vigilia a precarizzare "ad aeternum" la vendita della merce lavoro. Un "aeternum" provvisorio di qulche decennio, perchè, come in tutte le cose, quando l'abuso sarà stato consumato, ci sarà la reazione degli altri, di coloro, cioè, che l'abuso non lo avranno subito, ma che si faranno forza di una lunga (ri)elaborazione culturale sul fenomeno, ormai in atto. Dopo le "sommosse" degli anni '70, a cavallo dello Statuto dei diritti dei lavoratori, la condizione, soprattutto civile, di chi lavorava migliorò sensibilmente: qualcuno se ne approfittò, ma non si trattò di una percentuale tale da "rovinare l'Italia", come veniva detto da taluni. Comunque, "in pace et amore dei" non si ottiene nulla. Ora che si sta bypassando, molto di più che abrogando e modificando, tutta la legislazione, a cominciare da quella costituzionale, che fece da cornice, collante e basamento all'evoluzione asimmetrica ma condivisa della società nazionale, si prospettano scenari, fra il glorioso e il terrorizzante, che richiederanno molti milioni di morti, generazione dopo generazione. Saranno caduti, in corso d'opera, sul lavoro e, specularmente, caduti sul campo di battaglia. Solo le raccomandazioni, in Italia, salveranno qualcuno dall'orizzontale "destino". Quanto sta accadendo a qualche malcapitato, attraverso chiusure, delocalizzazioni e "razionalizzazioni", che li portano ad attendere, inoccupati, una pensione lontana e ancor più immiserita, mentre, all'origine, si erano precipitati da soli alla porta sull'onda degli "esodi" accompagnati, accadrà sistematicamente a tutti i nuovi chiamati "just in time", secondo l'obiettivo di far produrre solo quanto è già stato venduto, attraverso una "gestione delle scorte", soprattutto di lavoro. Nel frattempo, lo Stato che si è alleggerito della sua componente sociale - sempre salvo intrugli di favore, come all'ILVA di Taranto, dove si accollerà gli oneri per restituire i profitti ai privati, selezionati fra i "loro" amici - può puntare, con sicumera, al suo ruolo di valletto nelle coalizioni militari internazionali. Speculatori di ogni risma, all'interno delle multinazionali indigene, nei magmatici e non rappresentativi movimenti politici, negli alti comandi militari, si stanno apprestando all'abbuffata. Le "nuove" forze armate, politicamente affidate ad una donna in nome della parità di genere, che altro non è che una nuova forma di spartizione clientelare, che ha assunto la femminilità a criterio di assegnazione, a prescindere, stanno per dotarsi di nuove armi micidiali ed offensive, in spregio ulteriore del dettato costituzionale. Cinque mliardi di euro, un bilancio intonso rispetto a quasi tutti gli altri, a cominciare da sanità ed istruzione, per dotarsi di cacciabombardieri, elicotteri da combattimento, portaerei, corvette e brigantini. Tutto questo andrà adeguatamente mantenuto. Per adesso, accontentiamoci della maxitangente sulle forniture di base. I generali, quasi a secco per generazioni nell'Italia post-bellica, potranno ostentare le mostrine che hanno sostituito le medaglie, sui ventri obesi che fanno tutt'uno con il petto; sarà cura dei tangentari inserire nelle commesse un aereo da trasporto dedicato, per la ministra Pinotti, quando rientra a casa. Il boom economico dell'Italia e del Giappone nel dopo guerra, fu dovuto al loro stato di potenze sconfitte al termine della seconda guerra mondiale, in funzione del quale non furono gravate dalle parassitarie spese per il mantenimento e l'incremento di armamenti da parte di chi aveva prevalso. Furono evitate - e si poterono destinare le imponenti risorse risparmiate all'apprestamento delle necessarie infrastrutture - molte crisi, soprattutto sociali, che intervennero invece all'interno del mondo dei "vincitori". Mentre la società decade repentinamente, le armi prosperano di nuovo. La Oto Melara, nonostante sia un'azienda metalmeccanica, ma non di uso civile, non accusa rallentamenti di produzione, né cassa integrazione, come le altre industrie belliche internazionali con le quali ci scambiamo i prodotti, secondo comunanza d'interessi e, quindi, d'alleanza.

giovedì 25 dicembre 2014

Stacanovisti.

Il Procuratore generale della Corte d'assise di Bologna ha promesso che avrebbe lavorato anche oggi per assicurare alla giustizia "quei vigliacchi" che avevano attentato ai trasporti natalizi. Io credo che di episodi vigliacchi e assassini sia piena la storia patria e che drammatizzare un sabotaggio sia enfatico, sbagliato. Facciano indagini sistematiche e, casomai, preliminari: la situazione sociale e le tradizioni storiche italiane non lasciano presagire niente di tranquillo per il prossimo futuro. Che si investano di questo compito movimentista e retorico, contro dei simboli inerti, i redivivi e sconosciuti anarchici dei tempi attuali può significare che il bacino di reclutamento degli elettricisti-sabotatori è purtroppo talmente ampio, indefinito e variegato, da essere diventato imprevedibile. Mi rifiuto di credere, però, che uno Stato non abbia servizi di intelligence tali da avvertire anche i più piccoli sommovimenti in aree, settori e ambienti, ad ogni variare della realtà. Solo che ne fa un uso complice e selettivo, tanto che spesso le pronte accuse, il dito inquisitorio, si rivolgono in direzione della nebbia o chiamano in causa idee e principi che si sono perduti nella medesima. Essere o sentirsi anarchici, in questa fase di distruzione vandalica di ogni costumanza giuridica è forse fin troppo facile per tante teste vuote e per tante vite vuote. Si può essere artefici di atti tanto inutili quanto pubblicizzati e, per ciò stesso, strumentalizzati. In queste condizioni si può essere strumenti inconsapevoli di tattiche o strategie mediatiche ed attributive di varia narura. Eppure bisogna riempire il vuoto con qualche scoppio e, finchè non si viene criminalizzati e "celebrati" per attitudini "terroristiche" che non si sapeva di detenere, è meno facile che la repressione assuma caratteri vessatori e persecutori e che la reazione ai medesimi si traduca in atti di violenza nei confronti della persone. Intanto, il goveno dei nominati ha "licenziato" il job's act alla vigilia di Natale ed anche oggi si parla confusamente dei contenuti dei primi regolamenti attuativi, ancora oggetto di un dosaggio nelle quinte colonne. Tanto rumor per nulla, in ambito istituzionale ed antistituzionale, verrebbe da pensare.

Le scelte interpretative della parola.

Oggi, il pampa-Papa non ha pronunciato il Buon Natale! in cento lingue e non ha rivolto un particolare pensiero a Roma e all'Italia. Era ora. Il cristianesimo è universale e, basandosi, su un'ipotesi sempre contraddetta d'amore, non può che avere a cuore l'esssre umano e soprattutto quello in fieri che l'infanzia prevede e che la celebrazione della nascita rappresenta. Poi, può diventare mera ricorrenza sociale, ipocrita, reciproco "riconoscimento", mentre, se mai si potrà postulare l'homo novus, lo si dovrà arricchire di amore e di sicurezza che non vengano traditi subito. Ha fatto bene, dunque, Francesco, a ricordare i tanti bambini maltrattati, abusati e uccisi: bambini e basta, a cui, quando sopravvivono, sono impressi i marchi della disperazione e dell'apatia morale. Ha toccato il senso della predicazione cristiana ( sulla prassi è meglio sorvolare ) e, per una volta, la parola non è stata l'aperitivo prandiale del Natale e della Festa. Qualcuno fa notare che ha inscritto questa specifica e forte denuncia nell'alveo della tradizionale dottrina cattolica. Un punto in comune con questo o con quello non fanno una visione totalmente condivisa. Non poteva comunque essere diversamente. Ogni voce che si leva a difesa dei piccoli non può che essere fatta propria.

martedì 23 dicembre 2014

Genesi recidivanti.

Qualcuno ha bruciato i cavi elettrici di collegamento dell'alta velocità, all'altezza di Borgo panigale in quel di Bologna, sospendendo le tratte ordinarie e ad alta velocità per poche ore e rallentandole per altrettante. Si tratta dunque di sabotaggi artigianali, ma pensati e organizzati ed ultimi di una piccola serie, al di fuori della val di Susa. Dopo le manifestazioni violente e violentemente represse nelle zone del Piemonte che hanno conosciuto le prime fabbriche della Torino-Lione, la contestazione si è rivolta a altre tratte delle linee veloci: gli attentati hanno già riguardato Firenze, Milano e Torino, prima di quella di stamane a Bologna. Il movimento, quindi, si ramifica ed è suscettibile di "evolvere" da un primitivo anarchismo a una possibile lotta armata, come del resto sollecitato dalle Brigate rose, da uno dei carceri nei quali sono recluse. Gli ordinovisti redivivi, sul fronte fascista, avevano stilato un programma di attentati sanguinosi, contro le ferrovie e le banche ed avevano anche redatto una bozza di nuova costituzione - anche loro - che aveva le sue basi in una concezione idealistica, storicamente affine alla reazione europea. Sia pure in una condizione di marcata denazionalizzazione delle decisioni politiche ed economiche, l'internazionale nera e i gruppi antagonisti lievitati dai no occupy in ogni parte del mondo occidentale, continuano a prendere consistenza, magmatica, ma, nonostante questo, sono ormai capaci di colpire secondo un progetto ostativo e sabotatorio. Le matrici storiche del confronto fra le due anime della nazione - c'è ne è una terza, mafiosa, ovviamente affine alla reazione, ma specifica per insediamento e conservazione di interessi borbonici di vertice, che, a volte, si è sostituita - da Portella della ginestra in poi ai mazzieri neri - riemergono in questa fase di acuta crisi economica e di sopruso istituzionale, delegando la difesa della nazione a improvvisati carrieristi ed a capi di governo neppure eletti. In questo risiede la sua recidivante genesi.

Contro tutti i "coccodrilli" pronti per una morte attesa.

Da Antimafia.com traggo e pubblico, sottoscrivendone a due mani i contenuti, questo pezzo di Saverio Lodato, epitaffio preventivo dell'ultimo esteta palermitano dell'antimafia, che non ha potuto accettare, per non diventare a sua volta mafioso, di circuitare la storica e ancor presente sistematica trattativa fra lo staterello italiano e la mafia, a cui, per cultura indotta, quasi tutti si adattano con farisaico sorriso sulle labbra e modi leziosamente formali. Non sappiamo come passerà la notte di Capodanno un condannato a morte, a data da destinarsi, a causa del suo lavoro che non viene gradito, che addirittura risulta insopportabile, che viene considerato un intralcio per i manovratori grandi e piccoli di questo Paese. Non sappiamo quali pensieri gli passeranno per la testa mentre sarà circondato da moglie e figli nei cui sguardi indovinerà facilmente interrogativi pesanti come macigni; mentre immaginerà il 2015 che si spalanca davanti a lui come un ennesimo scenario di trappole, sgambetti, tradimenti, veleni; mentre sarà incerto sul destino di una grande inchiesta che, insieme a un manipolo di altri colleghi della sua stessa tempra, ha tenacemente voluto e spinto avanti nell'incrollabile certezza che per l'accertamento della verità i magistrati, se magistrati sono e non pagliacci che riempiono una toga, devono fare questo e altro. Sappiamo una cosa, però. Ed è la prima che ci viene in mente. Che sono quattro le massime cariche dello Stato. Al primo posto, c'è il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Al secondo, il Presidente del Senato, Piero Grasso. Al terzo, il Presidente della Camera (in questo caso, se si preferisce, "la" Presidente), Laura Boldrini. Al quarto, il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Direte: che c'entra questo elenco? C'entra, invece. Eccome, se c'entra! Tutti e quattro - Napolitano, Grasso, Boldrini e Renzi - si sono sempre ben guardati dal pronunciare il nome del condannato a morte, non gli hanno mai fatto una telefonata di solidarietà umana, lo hanno accuratamente ignorato in ogni loro dichiarazione sull'argomento, e non è che le occasioni siano mancate. E' un caso? Quattro coincidenze in una? Difficile pensarlo. Da due anni ormai tutti gli italiani sanno che il condannato a morte risponde al nome di Nino Di Matteo, che non è, badate bene, carica dello Stato, né massima né minima, ma che per la dignità di ciò che resta del nostro Stato fa indiscutibilmente più di quanto fanno gli altri quattro messi insieme. E' un punto sul quale vale la pensa insistere. Eppure i quattro lo ignorano. Non gli concedono neanche un minimo attestato di esistenza. Cerchiamo di capire perché. Le massime cariche dello Stato, di norma, preferiscono indirizzare la loro solidarietà persino a personaggi della cosiddetta "antimafia", ma questi personaggi hanno da essere un po' tromboneschi, non protagonisti veri, semmai "figure" o "figurine" che possono rientrare, di solito per cognome illustre, in un teatrino allargato della politica in cui c'è posto anche per loro, e magari persino lauti finanziamenti, perché da loro le istituzioni non hanno proprio nulla da temere. Né vale l'obiezione: cosa hanno da temere i "politici" dai "magistrati antimafia"? Ché dopo le vicende romane simile obiezione sarebbe ultronea, nel senso di superflua. Questa è una prima ragione del silenzio raggelante che da due anni circonda Di Matteo e gli altri come lui (i Teresi, i Tartaglia, i Del Bene, e valgano questi nomi per tutti). I magistrati antimafia, e quelli di Palermo in particolare, a Roma non sono mai andati giù. Questo loro interpretare la funzione, all'insegna di una indipendenza programmatica, a signori e signorotti della politica romana suona al pari di una bestemmia. L'attuale Arrogantocrazia - questo governo, insomma - che di battutismo e annuncite, guanti di sfida lanciati a destra e a manca, dispregio pacchiano dei valori (ci viene in mente la ministra Boschi che tra Fanfani e Berlinguer rottamerebbe Berlinguer), pretesa di una longevità politica che rasenta le vette dell'eternità come accadeva nel Pantheon sovietico, in cui si moriva almeno un mese dopo essere morti, e dove lavorano al Cremlino, sin dai tempi di Stalin, equipe di "impagliatori" iperspecializzati nella conservazione dei "cadaveri illustri", questa attuale Arrogantocrazia, dicevamo, detesta istintivamente i magistrati palermitani. Ma questa è solo una parte delle verità. Il nome di Di Matteo, infatti, è diventato evocativo del processo sulla trattativa Stato-Mafia che si celebra a Palermo, nonostante non siano mancati fulmini e saette quirinalizi. Il tacito teorema che accomuna i quattro che fanno orecchie da mercante possiamo spiegarlo così: Di Matteo è l'uomo di punta delle indagini sulla trattativa; ammettere che Di Matteo rischia la vita significa ammettere implicitamente che chi in Italia indaga su fili ad altissima tensione (e vivaddio se non lo sono i fili scoperti di uno Stato che trattò, trattava e tratta con la mafia) rischia di finire assassinato, significa ammettere che il processo di Palermo è cosa serissima e che il nostro Stato, se necessario, spara. Né sarebbe la prima volta. Il teorema, anche se non verbalizzato, anche se i quattro non lo ammetteranno mai, è esattamente questo. Significherebbe insomma riconoscere addirittura centralità a un qualcosa che con le unghia e con i denti si intende negare, tenendola sin quando possibile fuori dalla porta. E' bene che per il 2015 Nino Di Matteo se ne faccia una ragione, anche se abbiamo motivo di ritenere che abbia già idee chiarissime in proposito. Un fatto di cronaca - strettamente mafiologico, se così si può dire - ci ha notevolmente rafforzato nella nostra convinzione. Ci riferiamo al "pentimento" di Vito Galatolo, il boss della borgata palermitana dell' Acquasanta che ha iniziato a collaborare proprio con Di Matteo. Intanto, stiamo parlando di una delle "famiglie" più feroci e ammanigliate con i livelli occulti del Potere della Cosa Nostra palermitana. Vito, cosa che anche molti addetti ai lavori tendono inspiegabilmente a dimenticare, è figlio di quel Vincenzo Galatolo attualmente all'ergastolo per la strage Dalla Chiesa, la strage Chinnici, l'uccisione di Pio La Torre e quella di Ninni Cassarà; nonché coinvolto, con tutta la famiglia, nel fallito attentato dinamitardo all'Addaura, nel quale poi la vittima designata, Giovanni Falcone, stigmatizzò la presenza di "menti raffinatissime". Questo solo per dire che il Vito che si pente oggi non è l'ultimo arrivato quanto ad araldica criminale. Prova ne sia che con le sue dichiarazioni ha già provocato una slavina di arresti. Ma il fatto è che Vito ha vuotato il sacco proprio sulla recente preparazione di un attentato a Di Matteo, indicando nel dettaglio la quantità di tritolo che i mafiosi avrebbero in parte comprato dagli 'ndranghetisti calabresi; in Vincenzo Graziano, reggente del "mandamento" delle borgata di Resuttana, recentemente catturato da polizia e carabinieri, il custode momentaneo dell'esplosivo; e nel trapanese Matteo Messina Denaro, primula rossa del momento, l'esplicito mandante di questa condanna a morte. Il "caso Galatolo" è un'ottima cartina di tornasole ai fini del nostro ragionamento. I magistrati che parlano con Galatolo hanno dichiarato che esistono "formidabili riscontri" alle sue parole, pur essendo preoccupati perché il tritolo ancora non è saltato fuori. Ma questa collaborazione sta avendo scarsissima eco nei media, mentre a rigor di logica - in tempi di retorica sui successi antimafia - andrebbe enfatizzata. E qui non vale solo il teorema di prima: ché parlar di Galatolo significherebbe parlar di Di Matteo. La domanda che infatti sorge spontanea è: Messina Denaro ha chiesto alla mafia palermitana di uccidere Di Matteo, ma a Messina Denaro chi è che glielo ha chiesto? Un superlatitante, attorno al quale si stringe il cerchio con l'arresto di familiari stretti, fiancheggiatori, gregari, soci in affari, prestanome, non ha altro a cui pensare? Si sente minacciato dalle indagini di Di Matteo sulla trattativa Stato-Mafia? E perché mai? Ognuno è libero di darsi le risposte che vuole, così come noi ce ne siamo data una. Ci teniamo a un'ultima notazione in proposito: non è un mistero per nessuno che neanche all'interno del palazzo di Giustizia di Palermo Di Matteo goda - se così si può dire - di "buona stampa". Sono molti i suoi colleghi che arricciano il naso di fronte al pentimento di Vito Galatolo. Sono gli stessi - lo diciamo per inciso - che si schierarono apertamente contro Antonio Ingroia quando Ingroia si trovò al centro di una violentissima tempesta istituzional - mediatica che alla fine si risolse con il suo abbandono della magistratura. Sarebbe bene che la deontologia professionale non risultasse mai sacrificata a ragioni di protagonismi e invidie che vorremmo fossero finite con le tragedie delle stragi di Capaci e via d'Amelio. A tale proposito va detto che il nuovo procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, avrà subito il suo bel da fare. Sul modo in cui si è arrivati alla sua nomina è stato scritto parecchio, anche su AntimafiaDuemila. Tutto è nato - tanto per cambiare, verrebbe da dire - da un intervento a gamba tesa del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, volto a stoppare la candidatura di Guido Lo Forte "reo", anche lui, di coinvolgimento nel processo sulla trattativa. A farne le spese sono stati - come è noto - sia Lo Forte, sia Sergio Lari, procuratore di Caltanissetta, entrambi molto più titolati di Lo Voi a ricoprire quell'incarico. Napolitano, quando ha voluto (e lo ha voluto spesso durante i suoi due mandati), ha fatto strame di regolamenti, criteri oggettivi, prassi consolidate, in materia di "gestione" della giustizia e della politica. Ma è pur vero che a uscirne con le ossa rotte da questa nomina è l'intero CSM, capace solo di ratificare il diktat di Napolitano, come è altrettanto vero che la presidente della commissione antimafia, Rosy Bindi, che si è sperticata in lodi della procedura adottata dal Csm, ha perduto una grande occasione per stare zitta su materia della quale, all'inizio del suo mandato, lei stessa ammise candidamente di non capirne nulla. E vada steso un velo pietoso su consiglieri laici di provenienza Pd e Movimento 5 Stelle, che a quei giochi si sono supinamente prestati. Quanto a Lo Voi, dalla poltrona che adesso occupa, saprà cogliere tutte le occasioni possibili per dimostrare di non essere il "normalizzatore" voluto da Napolitano e che molti, invece, stanno paventando. E che se venne designato da Berlusconi in persona per occupare la carica di delegato italiano ad Eurojust, ciò non ha comportato il fatto di essersi legato le mani a vita in ossequio a un pregiudicato che Renzi e Napolitano hanno scelto per ridisegnare i poteri nella nostra Repubblica. Ma è sin troppo ovvio che sarà innanzitutto il processo sulla trattativa, in un senso o nell'altro, lo snodo principale dei futuri anni della Procura nel capoluogo siciliano. Lo Voi - è stato ricordato da più parti - si è distinto, in passato, per "non aver firmato" pagine della storia della Procura palermitana che invece andavano firmate e controfirmate: il processo Andreotti e la denuncia appello degli otto sostituti procuratori per cacciare il "capo" Giammanco, all'indomani delle stragi di Capaci e via d'Amelio. Difficilmente, prendendo le distanze in un modo o nell'altro dall'inchiesta sulla trattativa, Lo Voi potrebbe rivendicare il "gesto" richiamandosi allo spirito volterriano. Lo Voi - di cui conosciamo l'intelligenza - questo lo capisce benissimo da solo, senza bisogno che qualcuno glielo ricordi. E forse il condannato a morte, nella notte di Capodanno, su questo aspetto farà una riflessione analoga alla nostra.

lunedì 22 dicembre 2014

Lacrime di coccodrillo.

Continuano ad essere lacrimosamente commemorati gli ex calciatori morti di SLA, dopo essere stati in forza a diverse società di serie A, ma tutti nello stesso periodo anagrafico e temporale, secondo un processo d'incubazione che è per tutti uniforme. Alla memoria, tutti li celebrano, umanamente e professionalmente. Prove della loro morte non casuale non ce ne sono, perché non le si cercano, ma le coincidenze patologiche sono troppo uniformi per essere casuali. Insieme agli anabolizzanti che hanno trasformato dei mingherlini in colossi - come opportunamente denunciò Zeman, un allenatore talentuoso quanto poco "vincente" -, una miscela di farmaci sintetici ha condannato all'invalidità e all'agonia un manipolo di giocatori, molti dei quali, fra l'altro, sono rimasti delle promesse mancate. Certamente la "cura" è stata praticata da medici sportivi al soldo delle società per anni e anni e molti sono i potenziali candidati ad una fine precoce e dolorosa. Eppure le denunce si perdono nel baillamme delle chiacchiere, delle sdegnate smentite ad onta di ogni evidenza. Gli stessi sacrificati recano un sorriso stolido, complice, rassegnato e non denunciano, non rivelano, forse non sono in grado di comprendere. Le inchieste del Procuratore di Torino Guariniello, non sono approdate, in ambito sportivo, a risultanze certe, perché è un ambiente - come asserì il Commissario straordinario a Calciopoli, ex Procuratore generale di Milano, Francesco Saverio Borrelli, omertoso come quello mafioso e nel quale ci si tiene la parte per interesse e colleganza e, venuti meno i Medesimi, per paura o complicità. La collusione familiare di diversi calciatori con la malavita, documentata da recenti e meno recenti inchieste, sta lì a dimostrarlo. L'assoluzione della ex fidanzata di un calciatore bolognese di Lega Pro, militante nel Cosenza, senza che neanche il camionista che lo schiacciò senza alterarne lo stato del vestiario, sia stato processato, in presenza di un mai approfondito traffico di stupefacenti che li vedeva coinvolti insieme a parenti e altri personaggi solidali con loro o da cui dipendevano e che ha finito per infangare solo la memoria dell'ucciso, parlano alla coscienza di chi non è "tifoso", di un ambiente malmentoso, violento ed ignorante, al quale le non accertate acquisizioni societarie, il mondo parallelo delle scommesse internazionali, l'affiliazione dei calciatori a questo o a quel direttore sportivo, che lucra in percentuale sui loro ingaggi, non fanno che alimentare quell'economia purtroppo legale ma fangosa, della quale tanti, troppi "faziosi" si sfegatano ad alimentare le "glorie fastose".

Inabili e soli.

La confusione mentale della tarda vecchiaia riporta le destrutturate espressività mnemoniche verso il caos originario, ma, nel farlo, invoca un'inascoltata indicazione di autonomia, di rispetto per la propria individualità, che il morbo della vecchiaia ha costretto nelle mani di estranei. Sulla soglia della morte si viene respinti ed emarginati nell'alveo vuoto di un'assistenza condizionatrice, a sua volta, deterministica. La stessa soggezione e la stessa "educazione" ad assoggettarvisi, obtorto collo, di un bambino, senza la prospettiva di affrancarsene un giorno: adattarsi alle regole assistenziali, utili all'assistente e poi finire. I sensi si spengono progressivamente e, mentre si affievoliscono, ci si ostina a domandare, a sollecitare spiegazioni di cose intraviste, ricavandone solo atteggiamenti sfuggenti. La solitudine sensoriale provoca spavento: se la vista si mantiena offuscata, appena il contatto visivo, l'ultimo, prima di quello tattile, viene meno, si teme di essere stati lasciati soli con la propria avvertita debolezza. Nella casa dei muti, la sordità comporta l'accantonamento. Nessuno si sforza di sopportare la fatica di una conversazione monca, equivocata, guidata, modulata sull'invalidità. Si preferisce la banalità interlocutoria quotidiana, intrisa di recite, di reticenze e di bugie. La sensibilità offesa coglie sensazioni opache, suoni deformi e si dispera di non poterne recuperare la bellezza.

La politica a tempo e luogo.

Sarebbe intollerabile la passività delle autorità indiane, che non avrebbero nessuna intenzione di venire a capo della vicenda dei due pistoleri di marina, giustamente inquisiti per l'omicidio di due pescatori. Che cosa doverebbero fare? Condannarli alla pena capitale, come le loro leggi prevedono? Gruppi armati della galassia fascista avevano stimato che i tempi fossero maturi per portare un attacco al cuore dello Stato, prendendo a prestito uno degli slogan del partito armato neo partigiano, all'epoca delle Brigate rosse. Si sarebbe cercato ancora una volta di lasciare nel vago le attribuzioni e le responsabilità e si sarebbe cercato un approdo parlamentare, attraverso la costituzione di un partito. Nell'immobilismo e nell'inedia politica, vengono chiamati a riemergere quei fenomeni sottostanti e sopiti in tempi stabili che sono ben presenti nella società italiana e che sarebbero pronti a fronteggiarsi, al di fuori della politica istituzionale - per altro inaffidabile e corrotta - secondo una tradizione storica non dichiarata ma di lapalissiana evidenza, che non ha certo finito di esplicarsi. La corruzione è impressionante, ma la magistratura recita la parte della dea vendicatrice. Di nuovo il dimissionario bipresidente. Invece, le indagini giudiziarie vanno condotte "spettacolarmente" perché vengano condivise dall'opinione pubblica. Ritornare al vieto burocratismo significherebbe, poco dopo, abdicare a un'azione di contrasto che, senza esere utopistica, deve mantenersi sistematica. Obama, sembra proprio intenzionato a spendere gli ultimi due anni di mandato, dopo i quali non sarà più rieleggibile, per dare sfogo ai suoi sentimenti democratici, repressi sino ad ora, a tutela della sua ghirba e della sua rielezione. La maggioranza assoluta, ottenuta dai repubblicani al Congresso, lo libera da qualsiasi prudenza tattica e, forse, gli consentirà di fare qualche cosa di memorabile, dopo la stentata riforma - pur importante, anche se di gran lunga imperfetta - della riforma sanitaria privata, negli Stati Uniti. Ha messo in stato d'accusa, per le torture sui prigionieri, Dick Cheney, il vicePresidente di George Bush. Aveva probabilmente l'istruttoria in mano da sei anni.

domenica 21 dicembre 2014

Incongruenze.

La Sony è stata attaccata dal governo della Corea del nord; uno staterello che rappresenta una dittatura familiare, una proprietà familiare, avrebbe mobilitato i suoi haker per impedire che, sotto le feste di Natale, potesse uscire un film che ne metteva in risalto, spettacolarmente, le nefandezze. Le possibilità sono due: o i pirati riescono a violare i confini della repressa e affamata società asiatica e vi sono diffusi gli strumenti di lettura dei DVD, oppure si tratta della ennesima bufala, pubblicizzata e ripresa dall'informazione conformista e portata con sublime faccia di bronzo fino alle tribune delle Nazioni unite. Anche in questo caso, da parte della potenza egemone che spia tutti i suoi alleati ed avversari, che spesso provoca danni collaterali durante i suoi bombardamenti ( vedi l'ambasciata cinese di Belgrado )una levata di scudi pre bellica a tutela della libertà d'intrapresa di una società giapponese, alleata, dopo essere stata ripassata con due atomiche, sembra un'enormità. Non sono solo le dittature a potersi sciogliere da ogni incongruenza logica, a sostegno delle proprie tesi, evidentemente e, alla luce di questo, suona strana la ripresa di relazioni fra il gigante anglosassone e la piccola Cuba, ora che i sigari, lo zucchero e il rum non sono più assorbiti dall'Unione sovietica e che la geopolitica economica si sposta verso lidi più prossimi. In fondo, a capo dello Stato siede quel fratello adultero di Raoul Castro, omosessuale in un paese ancora fortemente machista, nel quale l'omosessualità è ancora un reato e, soprattutto, che non combatté durante la rivoluzione, come ben sanno i cubani anziani. Ma tant'è: stanno morendo anche loro. Insieme alla liberalizzzione, sta dilagando presso la popolazione, di nuovo marginale, la prostituzione turistica; insieme alla facoltà di detenere dollari, si è riacquisita la possibilità frequente di contrarre l'AIDS e di trasmetterlo e di ripristinare, pian piano, le tradizionali dicotomie sociali che, almeno sul piano sanitario e dell'istruzione, il Fidel-castrismo aveva superato. Resta ininvestigato il ruolo della Cuba massonica, prima, durante ed ora, dopo la rivoluzione e che ha all'Avana la sua Coordinadora per il centro america. Il Job's act è in via di rimaneggiamento, la confusione regna sovrana, le norme, i regolamenti e i decreti attuativi, modulano in corsa - frenetica - le previsioni, ampiamente interpretative, per consentire alle imprese di ristrutturarsi senza più ricorre alla cassa integrazione straordinaria e agli esodi, perché i soldi sono finiti. I sindacati, ai loro maggiori livelli, godono di un'illustrazione di principio ( così imparano a firmare troppi accordi quadro ) che durano al massimo un'ora. Lo sciopero di due venerdì or sono non era né politico, nè rivendicativo, bensì solo dimostrativo, ridotto al rango itinerante e circense di Buffalo Bill, dopo gli ultimi fasti del Circo Massimo.

La mafiosità.

C'è una mafiosità minore ma pervasiva, in questo paese ipocritamente cattolico e controriformista negli atti. E' una mafiosità ambientale, professionale o più banalmente lavorativa, familiare e familistica. Su di essa si basano le appartenenze e, sulle appartenenze, le carriere. Il diritto è osteggiato, su di esso prevale la prassi, il costume il cui corollario è la moralità dietro cui nacondersi. In questo modo, i termini reali delle questioni vengono rivoltati contro chi ne denuncia i sempre travisati fatti e comportamenti, fino ad addurre progressive esigenze "morali" a giustificazione di status convenzionali, su cui basare il tentativo di risistemarsi in luoghi acconci al proprio comodo, paludato da necessità. Coloro che osteggiano, con gesti concreti questi atteggiamenti, ne disvelano la doppiezza utilitaristica, ne contrastano giudiziariamente gli atti, si fanno ingenuamente promotori di un'analisi empirica in contesti di vieto e complice conformismo, vengono sottoposti ad un sistematico attacco stressogeno e minacciati con pretese grettamente personali, solo quando verità anche a lungo ignorate e tralasciate, possono rischiarare un metodo costante di approccio ambiguo e dissimulato agli eventi che si vogliono sollecitare. La mafiosità è nei favori che si vogliono "solidalmente" ottenere e nella collaborativa conservazione degli assetti che ne possono assicurare la perpetuazione. La mafiosità sposa ogni variazione, anche quelle apparentemente rivoluzionarie e le riconduce al costume abitudinario. La mafiosità esclude dalle prassi sociali, collanti del reciproco, remoto riconoscimento, isola per colpire e riaffermare il conformismo delle apparenze. La mafiosità è, ovviamente, negata.

La mafia con la quale conviviamo, anche noi che mafiosi non siamo.

Lo Voi, anzichè Lo Forte o Lari, a capo della Procura di Palermo, avverosia, l'unico fra i tre a non aver firmato la petizione contro la mafia dopo le stragi che coinvolsero anche Falcone e Borsellino. Anche, perché non erano minori le vite di chi morì per loro e insieme a loro. Ha quindi prevalso - e non è la prima volta - la scelta "al di fuori della realtà", della figura più conformista e protocollare del sistema giudiziario. La nomina è stata effettuata dal Consiglio superiore della magistratuta, attraverso il quale, i giudici si gestiscono - loro dicono si autogovernano - e dove, in base ai dosaggi ed alle influenze della politica ( quanto pesante è stata nella decisione, quella siciliana e contigua? ), si viene investiti di un carisma che non influenza, per ora, le carriere ordinarie, ma seleziona l'azione giudiziaria in base alle esigenze degli equilibri di potere. I due esclusi e dileggiati di fatto, sono fra coloro che hanno chiamato a deporre il Presidente delle larghe intese, Napolitano, che, apparentemente, ha fatto buon viso a cattivo gioco, ma in pratica ha borbonicamente e dittatorialmente osteggiato quello che in qualsiasi paese evoluto è un atto semplice e consequenziale. Con lui a capo del Consiglio, che speranze potevano avere i due magistrati antimafia, ancora una volta, esclusi. Si continua di fatto a delegittimare un lavoro esposto, se ne isolano i protagonisti che sono - bisogna prenderne atto - degli illuministi fuori contesto, perché della mafia tutti si servono e tutti ne tutelano i ranghi: tutti coloro che nel notabilato locale e nazionale contano e che hanno bisogno dei suoi buoni uffici, tanto che anche le più alte cariche ne sono "realisticamente" condizionate. I magistarti messi ai margini dovranno continuare il loro lavoro, insieme alla scorta, ma privi di solidarietà istituzionale. D'altra parte è sempre stato così; è lapalissiano, ma i più non se ne curano ed alcuni fanno finta di non accorgersene.

sabato 20 dicembre 2014

Sur les quais de la Seine.

La letteratura di Patrik Modiano, ennesimo premio Nobel letterario della Francia esistenzialista, contiene e illustra esclusivamente dei rimandi maturi della vita dei personaggi, verso una nebbiosa origine, nella quale avvertire - non ricercare, perché l'introspezione manca, è subito oggetto di rinuncia - la genesi delle paure e delle incertezze che collegano e intersecano le esistenze di persone, che per questa affinità inconscia, si trovano e si sedimentano nei reciproci rapporti, ma come in una fascia mediana, di incomprensione, di ricerca, che sa di non avere possibilità di approfondimento eppure di comunanza. Cercare nelle origini di Modiano i prodromi, gli archetipi della sua letteratura, è un processo tanto scontato, quanto improduttivo. Modiano ha dalla sua una storia familiare, nella quale il padre, ebreo di origine italiana, per salvare la buccia e per barcamenarsi durante l'occupazione nazista ed il governo lepainista, condusse un'ambigua e, a sua volta inaccertabile e, quindi, neppur certa collaborazione con gli occupanti e i loro manutengoli. Nell'opera di Modiano le esistenze sono parallele, diacroniche, venate di paure; Il nemico, il persecutore si è rivelato almeno una volta, ma di quella volta gli elementi sono rimossi. Potrebbe però riappalesarsi, perchè la nostra vita, etologicamente e, per noi umani, culturalmente, si accompagna, senza riconoscerlo, con ogni potenziale nemico, da temere, alla luce di un'esperienza remota, di una condizione pericolosa e periclitante, di una solo ipotesi suggestionante che può improvvisamente diventare reale. Si tratta forse di una sensazione illuminante e terrificante, screziata dalla luce fioca dei primordi; si accompagna alle finzioni ed alle ostentazioni, alle insinuazioni della vita di relazione. Le opere restano incompiute, il timore inibitorio di una forza preponderante, subdola e malefica, ma dissimulata, determina le vite. Non si tratta di una modello politico dittatoriale, di un sistema ideologico mortificante, di un obiettivo competitivo e alieno, del demonio al potere e che aleggia sul mondo. E' l'ambiguità di esistenze non ben definite, di stati sociali e professionali vaghi e forse estranei all'identità interiore. Così come è certamente la conferma di una scuola narrativa che dal cinema alla letteratura, al teatro ha fatto scuola e che corrisponde, nelle latebre del profondo, alle nebbie urbane e di paese. Non lo conoscevo. E' un ottimo scrittore, statico ed evanescente come tutta la migliore arte espressiva francese.

martedì 16 dicembre 2014

Simmetriche asimmetrie.

Ci sono guerre simmetriche che si combattono con i droni e con il terrorismo, fra le coalizioni ( secondo interesse ) dell'occidente e l'islamismo non istituzionale, con l'eccezione di pochi paesi fondamentalisti, uno dei quali, l'Arabia Saudita, è alleato dei consumatori di petrolio, pur giocando su due tavoli. Sembra un'esemplificazione diplomatica dell'imperscrutabile - così si diceva - politica italiana durante la prima repubblica. Le guerre simmetriche - definite dalla stampa ufficiale asimmetriche - si conducono attraverso migrazioni continentali di eserciti ( come fece Bush in Iraq ) e colpi mirati sul territorio nemico, detti terroristici, ma che in realtà sono bellici, con i mezzi disponibili a questi combattenti ( definizione tecnica del diritto internazionale ). Così si replica a New York, a Londra, a Gerusalemme o a Sydney. L'asimmetria bellica si misura invece nella lotta intestina fra le diverse componenti "dell'esercito di Allah", che ora ha le vesti di Al Qaeda, ma conosce una crisi dopo l'uccisione del suo leader ed icona e domani del Califfato di Bagdad, che si contendono a suon di scoppi ( attentati) nel cuore dei Paesi "fratelli", la preminenza, il proselitismo e una montagna di soldi. In queste guerre asimmetriche, che si propongono di rovesciare o di influenzare la politica interna dei paesi arabi od islamici alleati degli americani. Le azioni sono condotte contro apparati degli Stati e dei regimi, ma anche contro simboli della società civile, rivelando - perchè io credo che sia vero - che nella barbara contesa, neppure l'esercito e la polizia risparmiano le famiglie, i figli degli oppositori politici, armati o ideologici che siano. Oggi, a Peshawar, è stata condotta un'azione kamikaze contro una scuola civile pakistana, da un commando suicida. Gli addetti all'informazione hanno poco dopo specificato che volevano rendere pan per focaccia a chi infieriva sui loro cari, fargliene provare il dolore. E' questa l'asimmetria che i ricercati o contrastati nuovi equilibri del potere portano nel corpo vivo delle nazioni, dividendole e mettendole in contrapposizione fra di loro, così come alterando i criteri della logica interpretativa, che vengono sostituiti dalla propaganda e i canoni della coscienza, che, almeno in occidente, sono stati sostituiti dalla "razionalità" degli interessi.

Riflussi di incompatibilità.

Ventisette giornalisti sono stati arrestati in Turchia dalla polizia del neo-presidente Erdogan, già primo ministro da undici anni, durante i quali ha sistematicamente creato le condizioni per fondare un potere personale, basato sul sentimento islamico del popolo, non toccato dalla modernizzazione imposta da Ataturk prima e, in nome suo, con patenti contraddizioni, dai militari, che deponevano, Costituzione alla mano, tutti coloro che tentavano di riportare il grande paese ai suoi fondamenti religiosi. Fra gli arrestati figura anche il direttore del quotidiano più diffuso in Turchia, presso una platea non molto amplia di lettori, rispetto alla numerosa popolazione. L'informazione non allineata od ostile al presidente è stata decapitata con un colpo di mano, che priva l'opinione più avveduta di un apporto critico all'operato, in progress dittatoriale di Erdogan. Come se non bastasse ed avanzasse, sono stati inquisiti preventivamente alcuni esponenti della magistratura che si ritengono non corrivi al "nuovo" corso autoritario e, addirittura, sono stati epurati, sempre tramite lo strumento della messa in stato d'accusa, alcuni settori della polizia. Mentre si pratica un colpo di Stato si accusano le vittime di meditarne un altro, di "tradire i nostri principi", sostituendoli e anteponendoli al diritto. Una prova più evidente di questa delle intenzioni isolazioniste e dittatoriali, sia pur perseguite attraverso plebiscitarie elezioni, alle quali si oppongono solo le voci critiche della cultura, per definizione prive di potere, non poteva darsi. Erdogan ha capito da tempo che l'europa che conta non lo vuole fra i piedi, che la Turchia, non più baluardo di frontiera contro l'Unione sovietica, può al massimo aspirare ad una leadership regionale, scontando però la non arabicità della sua nazione, ma potendo mettere in campo un esercito tutt'ora di primissimo ordine. Aveva tentato un ultimo approccio alla politica atlantica, stipulando uno strano patto di collaborazione militare con Israele, poi, non è chiaro se per condizione o per calcolo, si è posto in alternativa allo Stato ebraico ( secondo la nuova disposizione fondamentale della Costituzione dello Stato sionista )senza scalfire il suo isolamento di fatto. Tutto questo congiura nel senso di un arroccamento di potere basato sul consenso sentimentale della pancia della Turchia e riposa su una condizione economica stabile nelle aree vive del Paese e tradizionalmente povera, ma culturalmente accettata con fatalismo, in tutte le altre. Perché non faccia la fine - ancorché più attenuata - dell'Iran, è necessario che la società civile delle città storiche e dotate di dinamica sociale ed industriale, facciano sentire "sanguinosamente" la propria contrarietà, fino a provocare la caduta "dell'ultimo dittatore", anche se la Turchia, per come si è appalesata e per come è nelle sue latebre profonde, non può aspirare a far parte né della comunità occidentale, nè, tanto meno, di quella europea.

Tragedie e buffonate.

In Pakistan, dove non si celebra il Natale, se non nella forma dell'omaggio coranico ad un Profeta, Gesù, che Maometto ha inserito nel Pantheon della sua scopiazzata dottrina, tratta dai primi quattro libri dell'Antico Testamento ebraico, si è consumato un altro atto della lotta fra le fazioni dei fondamentalisti, per catalizzare, con la scusa della lotta all'occidente,la guida del movimento dei potenziali kamikaze. Nella ricorrenza della nascita del Profeta minore Gesù, si pratica una sorta di appropriazione del contributo alla "testimonianza" dei Santi del cattolicesimo, una specie di conformismo di costume ai buoni canoni del Corano. Vigono anche nelle cerimonie sociali delle classi economiche dominanti e delle loro false adesioni all'oggettività del ben pensare. Gli islamisti lamentano che anche i loro bambini, anche le loro famiglie, sono distrutte dall'esercito filo-occientale ( con molte crepe anche negli alti vertici ), che li controlla e li reprime e io penso che dicano il vero. L'episodio, comunque incivile, come incivile deve essere la repressione nei loro confronti, è una replica dell'eccidio di Beslan in Russia, all'apertura dell'anno scolastico e assomiglia alla "rappresentazione" tragica dei Ceceni in un teatro moscovita. Sul piano della verità "accertata", hanno ragione gli "ortodossi"; sul piano della "giustizia", le ingiustizie si equivalgono, ma, senza la reazione salica, la ritorsione, sarebbero a senso unico, contro chi si opponesse solo con la forza della parola o con l'azione mirata, politicamente incisiva. Ma, in quei contesti e, al livello delle primitive sensibilità sociali, anche in ogni altro, l'occhio per occhio, non risparmia neppure i futuri nemici e li uccide nella culla. Il pampa-Papa, scrive Beppe Grillo, ha ricevuto Balotelli, ma si è rifiutato per due volte di ricevere il Dalai Lama, che ha invece accettato di incontrare il comico genovese. E' stata una decisione gesuitica. Sono d'accordo con lui. Questo Papa è ambiguo, show-men, come il Santo subito. Napolitano non è un santo, ma un politico realista, tanto realista da mettere la sordina alle minoranze e a sostenere un governicchio di pura subordinazione ai poteri brussellesi. Dopo l'ossequio all'Unione sovietica, il "servabo" all'europa dei ragionieri, un'altra forma insensibile di dittatura. La Corte di gisutiza del Kerala, in India, ha rigettato le "ragioni" dei due Rambo di marina e ha fatto bene. Il Presidente delle larghe intese è contrariato, i Marò soffrono con "italiana dignità". Resta il fatto che hanno fatto il tiro a segno su di una bagnarola di pescatori disarmati e che la "dignità" è l'ultima risorsa che gli è rimasta per l'irrilevanza politica dell'Italia e sulla prevalenza dei contratti su principi sbandierati e non creduti.

lunedì 15 dicembre 2014

Istantanee fredde.

Alcuni flash, da regioni remote, hanno caratterizzato la giornata odierna; il sequestro di golosi avventori di un emporio Lindt a Sydney e la sparatoria che ne è seguita, che ha visto quattro feriti e due morti: un ostaggio e il sequestratore. E' la seconda manifestazione di guerra decentrata, in tre settimane, portata dagli islamisti nel territorio delle potenze ostili, ancorché apparentemente estranee alle dinamiche delle loro regioni. In realtà, gi australiani partecipano a tutte le iniziative belliche nord americane, fin dalla seconda guerra mondiale, assieme, oggigiorno, con i più strampalati e nuovi alleati degli Stati Uniti. A conferma di questo asse, testimonia l'intervento in loco di un reparto di marines, addestrati alla reazione contro il terrorismo. Per quel che riguarda la popolarità degli australiani presso gli islamici, posso testimoniare dell'attentato devastante che colpi la "loro" spiaggia, in Indonesia, proprio quando stavo per visitarla, durante un mio soggiorno. La guerra simmetrica, non asimmetrica come si dice, continua e gli islamisti la portano in partibus infidelium, tramite i loro residenti sui territori "nemici", risvegliati dal loro "sonno" dalla Jihad, in ogni parte del mondo. Giulietto Chiesa, inviato speciale della Stampa e dell'Unità, è stato arrestato in Estonia, dopo aver partecipato ad un convegno sulla "Russia, nemica dell'Europa?" Oggi si sarebbe dovuto spostare a Mosca. Cosa avrà detto Giulietto Chiesa? Che"l'alternativa c'è", come va predicando e soprattutto illustrando sul suo blog? E' probabile. Quando sarà liberato - spero - potrà ragguagliarci con la consueta ricchezza d'analisi. Ma l'arresto, se non è sostenuto da un'ipotesi spionistica fondata - come, per certi versi, per quanto lo ritenga improbabile, non mi sento di escludere del tutto - il suo arresto sarebbe da ascrivere all'involuzione post democratica di paesi satelliti, non importa di chi, timorosi anche dell'analisi, esposta in ogni dove con franchezza, di un giornalista. di un giornalista di grande esperienza. Come se non bastasse, ieri, il neo sultano confessionale Erdogan, ha fatto mettere in vincoli numerosi giornalisti che, "corrotti" dal senso occidentale per la libertà di espressione, lo avevano sistematicamente criticato. Erdogan che sfrutta il modernismo di pochi grandi centri turchi ed un'evoluzione tecnocratica - soprattutto di Istanbul - fonda invece il suo ormai lunghissimo potere sulla pancia borbottante del popolo devoto, in una nuova versione del feudalesimo politico, civile e sociale. La Turchia non può e non deve poter aderire alla Unione europea; il suo sentimento profondo è troppo diverso e lontano dai principi della razionalità su cui dovrebbe basarsi la nostra civiltà, antropologicamente diversa. Il pampa-Papa stesso, sia pur sul versante religioso e culturale, lo ha riaffermato, inchinandosi, mentre lo abbracciava, al Metropolita Atanasio, metropolita cristiano di rito orientale e tenendo la testa ben eretta, durante il colloquio con il sultano, pur non essendo - credo - un seguace del laicista Kemal Ataturk, a sottolineare un'alterità nei confronti di una grande potenza territoriale, avvertita, però, come potenzialmente ostile.

Private prospettive.

In questi giorni e segnatamente la domenica, le famigliole accompagnano i loro figlioli in visita illustrativa alle scuole superiori di ogni indirizzo. La visita orientativa è obbligatoria; si tratta dell'ultimo elemento pubblico nell'indirizzo scolastico e si qualifica con una pretesa vagamente autoritaria. L'ingiunzione si spiega, poco dopo, con il marcato atteggiamento pubblicitario dei diversi istituti per le materie che vi vengono insegnate, all'insegna della didattica champagne, delle più immaginifiche prospettive occupazionali o delle più sofisticate ipotesi formative. Che c'entra tutto ciò con la scuola pubblica? Niente, se non si trattasse di una tentativo strisciante di sottrarsi alunni, selezionandoli, come è sempre avvenuto, fra le diverse classi sociali, enfatizzando i propri immaginari contenuti che si tradurranno in seguito nella normale applicazione allo studio, secondo attitudini e possibilità economiche delle famiglie. In modo opaco, traspare comunque il disegno implicito di privatizzare l'istruzione successiva alla scuola dell'obbligo; oggi si visitano le tradizionali opzioni didattiche, con qualche ibridazione, qualche sperimentazione di gran nome e incerte prospettive, anche contenutistiche, fra non molto si chiederà un contributo economico per questo o quell'insegnamento, poi per questa o quella scuola, fino alla loro completa separazione dal sostentamento economico ministeriale. In quest'ambito, si selezioneranno gli studenti secondo censo, senza smettere di demandare alle raccomandazioni il successo professionale. Da tempo, le Università sopravvivono di corsi di laurea inventati. di lauree brevi o con percorsi limitati agli esami a quiz, che hanno inquinato, in parte, anche le facoltà più accreditate. Questo è avvenuto perchè, da tempo, lo Stato ha abbandonato gli Istituti universitari alla loro autonomia, non più solo didattica, ma anche finanziaria e li ha costretti ad assumere contegni comici. Il numero dei laureati incolti e presuntuosi si è moltiplicato e poi inflazionato e la prospettiva descritta tende a radicalizzarsi. E' per altro implicito che le lauree più remunerative resteranno appannaggio degli eredi professionali, di famiglia in famiglia, mentre ai neofiti delle professioni saranno riservati "utili" ruoli subordinati, se non avranno la possibilità o l'opportunità di impiegarsi all'estero. Dalla "riforma" all'italiana non sortirà nessuna innovazione, tranne una: se volete studiare e, domani, curarvi, sarà necessario che sosteniate privatamente le spese relative.

Olimpici scenari.

L'Italia con le pezze al culo che forse l'anno prossimo conoscerà l'insediamento dei commissari europei, si scopre olimpica e si candida ad una manifestazione, non solo romanocentrica, ma genericamente nazionale, con particolare riguardo all'area centro-meridionale del Paese. Da Firenze a Napoli. Se non è un programma di insediamento e sedimentazione elettorale e clientelare, qualcuno dovrebbe rispiegarmi la storia recente della nazione e delle sue corrotte burocrazie, ma, d'altra parte, chi ritenesse di fare il restyling di Firenze, Roma e Napoli, con i soli fondi dell'agonismo mondiale, dovrebbe fare i conti con la realtà. Ma la realtà viene gonfiata, deformata, sottovalutata e irrisa in nome di una nuova rinascita littoria ed affaristica. Il bolso e ignorantissimo toscanello proietta in un futuro lontano il balsamo per una divaricazione sociale che, per quell'epoca, sarà assodata e spera - non senza fondamento - di donar svago ai reietti, appalti alla mafia e agli affaristi riuniti in cosche, anziché nei Rotary club, di incrementare il turismo in alcune città d'arte. Questo è l'unico obiettivo perseguibile. Non è detto che l'organizzazione dei Giochi porti beneficio all'economia: in Corea del sud e in Grecia, ha aggiunto debiti ai debiti, probabilmente anche a causa delle tangenti corruttive. Possiamo seriamente pensare che da noi possa andare diversamente? Potremmo invece seriamente pensare che l'indizione dei Giochi serva a rifinanziare i comitati d'affari improvvidamente scoperti da una magistratura risvegliatasi o attiva ed efficace secondo imput e squilibri istituzionali da riequilibrare. Soprattutto, in questi termini, quella romana. Dopo l'Expo' a Milano, che fine più grigia ed ingloriosa non poteva fare, coniugando l'industriosità meneghina con la finanza mafiosa, entrambe a braccetto ed internazionali, il nord resterebbe escluso dall'olimpicità nazionale, ma anche il sud più periferico, rappresentato dalla Puglia e dalla malandata Calabria, dove gli sport marittimi potrebbero trovare una felice espressione, sempre che, durante le gare, non vengano aperte le chiuse delle fogne a mare. La Sardegna è stata citata, fra le regioni da coinvolgere, la Sicilia no. Probabilmente le regate si svolgerebbero in Costa Smeralda, mentre la mafia con pedigree sarà, da Roma, nei punti strategici di tutta l'organizzazione. Il fantasioso Renzie stimola la fantasia, me ne rendo conto. Se ci sarò, però, andrò a rivedermi queste note, per verificare se, alla luce di una piccola, ma documentata esperienza delle simil strategie politiche di questo trasandato Paese, non ci avrò azzeccato. Olimpiadi o non Olimpiadi, in un lontano futuro, mi risulta chiara, invece, la pericolosa sub-cultura di questo cretinotto, che, non per particolare acume machiavellico, ma per personale adesione alla cultura dei cori da stadio, sta menando per il naso un'Italia complice e, come sempre, imbelle.

domenica 14 dicembre 2014

L'intramontabilità dello strozzino.

Passano gli anni e le ere storiche, ma lo strozzino non conosce crisi, la sua figura non incappa nella desuetudine, non è rottamabile. Lo dimostrano, per l'ultima volta, i dati ufficiali del 2013, editi in questi giorni. Esulo dai dati statistici, dai raffronti intraregionali e interregionali, per rilevare pochi dati che mi hanno colpito. Questa ennesima crisi finanziaria ha trascinato impiegati e pensionati nelle mani degli strozzini, strozzini che si trovano anche nei loro reparti di lavoro, di solito in posizione apicale, intendendosi per apicale quella di un semplice capo-reparto. Un solo cenno locale: la regione Emilia-Romagna, la mia, ha conosciuto un incremento dell'indebitamento usurario del 200% rispetto alla rilevazione del 2012. L'ex ceto medio, cancellato o in via di cancellazione dalla carta assorbente dello Stato a sua volta indebitato fino alle orecchie, è sotto usura. Gli stipendiati sono attualmente il 52% dei denuncianti uno stato di asservimento dal quale non riescono più ad uscire, ma il fenomeno della riduzione in schiavitù da strozzinaggio resta, per la maggior parte dei casi, ignoto. La cause accertate dell'ingigantirsi del fenomeno, pur molteplici, trovano il loro punto di sintesi nell'indebitamento tramite finanziarie, maschere delle banche che, nella loro veste, negano il credito o non lo replicano. Codeste fianziarie concedono un ulteriore finanziamento ai già debitori inserendo nelle clausole contrattuali, l'eventuale rivalsa sul tfr del richiedente. Applicano tassi medi del 10%. Storicamente, i soggetti più tartassati dall'usura sono i piccoli imprenditori, che spesso si adagiano direttamente o dopo il filtraggio dell'usuraio privato, sulla criminalità organizzata, che, spesso, assume la gestione dell'impresa, lasciando al deprivato la mera gestione. Quando si giunge alla denuncia si è preso atto che l'indebitamento progressivo non ha apportato nessuna inversione di tendenza alla propria crisi, ma che l'ha trasformata in uno sfacelo. Dopo, col supporto della polizia o dei carabinieri, è necessario cambiare residenza, andare al confino, come i mafiosi, i collaboratori di giustizia, i pentiti del terrorismo, perchè, in conseguenza ed a scopo esemplare, la propria sorte è segnata. Il fenomeno è in lievitazione soprattutto al nord, dove camorra e n'drangheta hanno focalizzato le loro attività di raccolta e di impiego. Gli emissari o i fiduciari dei clan scontano anticipatamente gli assegni postdatati con i quali molti imprenditori e commerciamti vengono pagati, ma se l'assegno continua a non essere esigibile anche dopo la data indicata, allora scattano gli interessi usurari. Il numero delle denunce resta basso perchè spesso le vittime sono persone che alimentano l'economia sommersa e, per questo, hanno delle remore a rivolgersi alle autorità. Nei verbali delle denunce sono contenuti i criteri di esigibilità dei crediti, esperiti dalle società di recupero, spesso costituite da pugili delle palestre di periferia, le ingiunzioni ultimative, pena la morte, propria e dei propri cari, spesso all'oscuro della situazione debitoria del padre. Gli usurai sono personaggi noti, sotto ipocrite mentite spoglie, che un certo "mileu" finge di ignorare e gli approcci sono cordiali, amichevoli, ma i commercianti e i piccoli imprenditori che gli si rivolgono sono complici e consapevoli. Da amiconi, i creditori si trasformano in braccatori. Gli esercitanti una attività economica non sono i soli co-protagonisti del fenomeno; una buona parte è costituita dai cultori delle apparenze e, soprattutto, da coloro che "perseguono" il "potere" sociale e personale attraverso le cose, attraverso uno spostamento cognitivo, indotto dagli archetipi vigenti, materiali e grevi. "Io conto, perché faccio queste cose". L'esigenza di status, il timore dello stigma di consimili imbecilli, li inducono a sovraindebitarsi ed a perderne il controllo. Le vittime degli strozzini, dunque, oltre ai soggetti affetti da compulsioni, come i giocatori d'azzardo - patologia che le innumerevoli sale da gioco stanno incrementando - sono spesso persone con un reddito fisso che immaginano di poter vivere una vita al di sopra delle proprie possibilità. Quando la realtà si palesa e non può più essere ingannata, si instaura un marcato senso di vergogna. Ci si sente umiliati dal fatto che altri conoscano la nostra situazione economica; non si vuole che si sappia che si hanno montagne di debiti con dei criminali. Eppure, l'Italia, almeno dagli anni '60 in poi, è stata considerata una società risparmiosa, morigerata, familiarmente prospettica. Questo modello, dall'inizio degli anni '80 è andato in frantumi, è stato un effetto di riflesso dello yuppismo, baluginante e infondato. Oggi, accanto alla tragedia di commercianti, artigiani e piccoli industriali, appare un fenomeno spaventoso per la tenuta sociale: l'indebitamento crescente delle famiglie, indotta solo in parte dalle difficoltà quotidiane e di prospettiva. Lo si voglia ammettere o non, l'assunzione di uno stile di vita ultratrentennale e orizzontale di iperconsumismo, fondato sul debito, ha provocato la situazione fotografata e il venir meno di una possibilità di sostentamento e potenziale incremento del debito stesso, attraverso una finanza semipubblica o orientata dal pubblico, anzichè dalla pubblicità, ci lascia una declinazione al contrario del miraggio di uno stile di vita più ricco. Eppure, la superficialità compensativa aumenta: di fronte agli Store di vendita dell'IPhone6, ad appena un anno dalla produzione del 5 e per contrastare la diffusione di un omologo modello Samsung, in fila, c'erano extracomunitari e persone visibilmente dimesse, insieme ai soliti studenti ( tutti di famiglie benestanti? ) e "uomini e donne tcnologici". La spesa non li spaventava; i commessi, in maglietta e pantaloni blu, li applaudivano all'ingresso mattutino, tutti scartuffati per la notte all'addiaccio. Ebbene, dalle denunce risulta che diversi di loro si erano indebitati per lo smartphone o, in alternativa, per una TV al plasma. Vivere a debito dà dipendenza, diventa un deformante stile di vita, serve a rimuovere che, prima dell'arrivo della tempesta, l'illusione di uno stile di vita ha messo in ginocchio tante persone, seppellendole sotto una montagna di debiti. Un'illusione indotta dalla politica clientelare della prima repubblica. Il debito ha preso il posto del risparmio, ha trainato un'espansione di consumi senza criterio. La dimensione finanziaria dell'esistenza è sempre più rilevante, se non decisiva, eppure la conoscenza dell' A B C della finanza è assai poco diffusa. Un tempo occorreva saper leggere, scrivere e far di conto; oggi bisogna aggiungere la necessità di "saper leggere i conti".

mercoledì 10 dicembre 2014

Simulacri.

I lavoratori sono nelle mani sbagliate. La CGIL concerta da troppo tempo, e ormai insopportabilmente, con questo Partito Democratico, palesemente immolato alla causa del liberismo neocapitalistico. Un partito al governo che, con le sue proposte di riforma – costituzionale, elettorale, jobs act, riforma della scuola – procede per sottrazione e rarefazione: dei diritti dei cittadini, dei diritti dei lavoratori e anche del diritto allo studio, definitivamente superato, dopo essere stato messo a dura prova dalle neghittosità di troppi docenti e dall'eccessivo affollamento delle aule. Oggi, contro questo partito e contro questo governo, la CGIL si muove in ritardo e, soprattutto, con troppe contraddizioni per essere credibile, ostentando una contrapposizione, che interpreta il pirandelliano ‘gioco delle parti’. Chiama i lavoratori ad uno sciopero generale mentre i suoi iscritti deputati e senatori, già figure apicali del sindacato, hanno votato a favore del Jobs act, la legge delega di riforma del mercato del lavoro approvata dal Parlamento in via definitiva. Chiama i lavoratori ad uno sciopero generale dopo aver firmato accordi interconfederali con Confindustria contro la democrazia della rappresentanza sindacale. Chiama i lavoratori ad uno sciopero generale dopo aver tacitato, anche con la violenza, tutte le voci interne di dissenso e di critica. Chiama i lavoratori ad uno sciopero generale dopo aver acconsentito in silenzio a una delle peggiori riforme pensionistiche nel panorama europeo e realizzato la prima, incivile, modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei diritti - che più non sono - dei Lavoratori. Chiama i lavoratori ad uno sciopero generale dopo essere stata minacciata dalla supponenza e tracotanza asfaltatrice del premier, che, da par suo, millanta l’ascolto ma rifiuta ogni interlocuzione. Concordo pienamente con chi dice che “il sindacato è un’altra cosa”. Mi chiedo perché tanti militanti e alcuni dirigenti, emarginati e umiliati perché legittimamente critici, stiano ancora in quel sindacato. Ma non si illuda, venerdì 12 dicembre, la CGIL. I lavoratori che sciopereranno non staranno in piazza a difendere la sua rappresentatività di corpo intermedio e quel ruolo antagonistico-competitivo che finge di voler recuperare ma che non sembra più neppure in grado di adombrare. Né sfileranno come utili idioti al seguito di burocrati e segretari oggi liquidati da un governo rottamatore dopo anni di onorata carriera al fianco del suo partito di maggioranza. Siamo a un punto critico di rottura degli equilibri sociali, frutto avvelenato della precarizzazione coatta della vita sociale, dello sgomento e della rabbia di cittadini che non hanno più scuole e università semi-gratuite e per tutti, che non hanno più la garanzia di un servizio sanitario nazionale, che non hanno più trasporti pubblici adeguati, che non hanno più lavoro e stipendi sicuri, che sono sviliti nella loro dignità di persone. Non si illuda la CGIL di riconquistare in un giorno la legittimità perduta in tanti anni di intollerabile acquiescenza alle politiche di tagli draconiani e cancellazione dei diritti imposte agli italiani con la complicità dell’assordante silenzio dei suoi dirigenti che, in quegli stessi anni, preferivano adoperarsi per ridurre all’impotenza i sindacati di base e per garantirsi uno stipendio e una pensione da parlamentari. Se tutto quello che la CGIL oggi riesce a formulare – mentre assistiamo attoniti allo smantellamento da parte del Partito Democratico di decenni di conquiste democratiche sancite dalla nostra Costituzione – è il debolissimo e insignificante slogan “Così non va”, neppure accompagnato dalla forza prorompente di una manifestazione nazionale a Roma, allora significa che la CGIL dei lavoratori è finita, ed è finita perché la servitù politica volontaria, troppo a lungo esercitata, ha consumato ed eroso ogni sua capacità di svolgere il proprio mandato.

Sgradevolezze.

Il presidente degli elusori fiscali, che ora presiede la Commissione europea, prende a intimidire i paesi riottosi: Italia e Francia. Li vuole costringere ad un ancor più brusco ridimensionamento, a favore della Germania di cui il suo Lussemburgo è un satellite finanziario e degli evasori di tutti i paesi "pigs", proprio per questo - anche se non solo - nella condizione di essere sbertucciati da un ricco arrogante. La Ferrari, sotto la presidenza di Marchionne, potrebbe intanto scegliersi una sede all'estero, in uno Stato disposto a concederle dei benefici fiscali, ad immagine e somiglianza del suo presidente. La casa madre ha già provveduto, abbandonando il paese che l'aveva fatta ingrossare e la città dei primigeni primati italiani, dal trasporto su gomma ( eccessivo ) alla televisione. La mamma del piccolo ragusano si difende come tutti gli accusati di questi ultimi tempi: negando, negando, negando. Entra in carcere accolta dalle grida bestiali e beote delle altre detenute che applicano al crimine, di cui sono a lor volta protagoniste, dei canoni morali intrinseci ad un mondo popolare ignorantissimo emotivo e violento. I loro latrati sono inammissibili: la mamma del piccolo ucciso sconterà la sua pena se sarà riconosciuta colpevole; le altre pensino ai fatti loro. Lo Stato è imbelle quando non complice, almeno al livello dei secondini. A proposito di secondini, a Varese ne sono stati arrestati quattro o cinque per aver favorito l'evasione di pregiudicati romeni in cambio di denaro e per averli favoriti, in precedenza, attraverso il possesso di telefoni cellulari all'interno del carcere. Glieli portavno delle connazionali, occultandoli nella vagina: mettevano il vibra-call e i reclusi telefonavano in continuazione. Un'altra operazione dei carabinieri ha portato all'arresto di sessantuno persone in Umbria: tutti n'dranghetisti. Queste operazioni intaccano ma non contrastano sistematicamente, giorno per giorno, la colonizzazione criminale di tutta l'Italia da parte della mafia calabrese; che fine ha fatto Cosa nostra? Secondo alcuni conoscenti siciliani, palermitani per l'esattezza, da tempo si dedica ai grandi affari e lo fa con uno stile più distaccato, tanto è vero che ha smesso di esercitare la supplenza dell'ordine pubblico nel capoluogo siciliano, dove il furto dei motorini è ridiventato il micro-business dei carusi: la presenza sul territorio della polizia non è più suscettibile di intralciare l'attività mafiosa. Insomma, a quali ulteriori sgradevoli conseguenze e per chi concretamente, allude Junker?

martedì 9 dicembre 2014

Scenari e scenografie.

La Camusso va allo sciopero generale, perseguendo obiettivi generici. Quindi coltiva una riserva mentale. Ma come? L'ha detto chiaramente: si oppone al job's act. Anche la UIL, appena cambiato il segretario, sembra cambiare politica. La CISL ha già scioperato da sola nei ministeri romani e in tutti gli ambiti impiegatizi della pubblica amministrazione. Secondo me si oppongono, ciascuno per conto suo, all'accantonamento delle e dalle trattative su ogni provvedimento legislativo riguardante l'economia e coinvolgente il lavoro. Si accontenterebbero di una convocazione a posteriori, di una sessione dei lavori governativi a loro riservata, come anche Monti accordò loro. Paghi di questo, non spesero un'ora di sciopero contro l'abnorme allungamento dell'età pensionabile, tacquero e accettarono, anche a costo di lasciare senza reddito l'ultima sfornata di esodati, presi in giro con sorrisi sfacciati dalla stessa Camusso, ripresa a negare l'evidenza che le veniva rinfacciata, durante un servizio televisivo. Suonarono solo la grancassa, esclusivamente sugli esodati, ma non fecero seguire al rullar di tamburi, nessuna iniziativa. La CGIL, in particolare, vorrebbe rinegoziare la sua "codeterminazione" in prospettiva europea, contando, per questa via. di riassemblare l'unitarietà subordinante con e per CISL e UIL. Un altro tentativo di collateralismo, dal quale i lavoratori trarrebbero solo altri sacrifici. Nel frattempo, la CISL ha prontamente provveduto a prestarlo da sé e, finalmente libera da vincoli uniformanti, si tiene alla larga da ingaggi "unitari", con i quali storicamente la CGIL ha cercato di tenere al guinzaglio le altre confederazioni. Oggi tenta un rilancio della concertazione spostando l'ottica in campo comunitario e offrendo i suoi buoni uffici ad una pseudo sinistra ormai saldamente in mano ai democristiani. Io non dimentico che, quando una Fornero qualsiasi aumentò l'età pensionabile, nessuno mosse un muscolo, tutti abbozzarono, anzi omisero, CGIL compresa. Ormai, la tattica sindacale mostra la corda, è interpretabile anche dai più disattenti, non ha più contenuti concreti a cui applicarsi. Tenta infatti una supplenza della politica, non in campo economico, come ha fatto per più di vent'anni, ma ad ampio spettro, cercando di rappattumare tutto quanto è tracimato dal suo alveo, senza che, però, il governo mostri di apprezzare l'offerta implicita di collaborazione. Senza più approdi e sponde politiche, senza un'attività produttiva che mantenga stabile una consistente forza-lavoro, la CGIL gira a vuoto e rischia di perdere la sua leadership. E' schiacciata fra una forma di rappresentanza conservatrice - dalla quale teme di venire sacrificata la UIL - e una sinistra vecchia come il cucco, ma che ricomincia da capo e che non la riconosce più, mutata da una troppo lunga e dispersiva marcia a fianco delle istituzioni. Una sinistra che ricorda tanti espulsi dalle file del PCI, del sindacato stesso, a sua volta immemore o ignorante di questa affinità. Se in Grecia vincerà Syriza - già etichettata come sinistra estrema dai media conservatori - la rappresentanza della società minore prenderà un vessillo diverso e la rottamazione di Renzie, di cui non parla più, sarà una prospettiva superata.

lunedì 8 dicembre 2014

Divinità creatrici decadute.

Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo & Roberto Casaleggio è contestato dall'interno. E' inevitabile che sia accaduto, per il numero abnorme di accantonamenti in corsa, di licenziamenti post art. 18. E' vero che Grillo aveva definito i deputati "i nostri dipendenti", ma adesso deve prendere atto che reclamano i diritti sindacali minimi: quelli previsti dalla Costituzione. Sullo spessore culturale e politico degli esponenti grillini è lecito nutrire dei dubbi: possono essere dei generosi o degli opportunisti, ma certamente mal sopportano la dittaura on-line di un capo che non può trarre, come loro, dei vantaggi dalla posizione che gli ha creato, vendendo la sua immagine, perché interdetto a vita dai pubblici uffici. Una sentenza ben più dura di quella comminata a Berlusconi, per un incidente stradale colposo. Senza il suo riferimento mediatico, il Movimento dei cittadini perde identità e rischia di diventare una federazione di comitatucci d'affari o di sparire nella melassa parlamentare. Qualunque impiegatuccio frustrato può sentirsi un oratore se non uno statista quando prende la parola alla Camera o al Senato, anziché in ufficio, dove, se lo fa, è più eterodiretto di un grillino. Nello stesso tempo, un deputato o un senatore rappresentano la nazione e non hanno vincolo di mandato. Sappiamo benissimo che non è così, ma almeno, il vincolo si limita alla tutela del proprio interesse nell'ambito del proprio "gruppo" e, in questa fase liquida, non sono ammessi parlamentari imbavagliati o con le mani legate dietro alla schiena, suscettibili di espulsione, come avveniva, anche per indegnità morale, nel vecchio P.C.I. Le creature si sono ribellate al creatore. Storie vecchie. Ora Grillo rischia di diventare solo partecipe della natura divina e che gli venga assegnata la veste del diavolo.