martedì 2 dicembre 2014

A fra' che te serve?

Gianni Alemanno fu sindaco di Roma. Riuscì dove non era riuscito Gianfranco Fini - che sia un destino? - perché rappresentava la terrigna, plebea, teppa del fascistello di famiglia, con amicizie da caserma. E' infatti figlio di un generale di carriera pugliese e, per caso, è nato a Roma. Fascista, fascistissimo, fra i suoi amici, mai trascurati, annovera anche pregiudicati per terrorismo e, da buon meridionale, pratica il familismo e il clientelismo ambientale. Di parentopoli già si sapeva, ma la procura di Roma, una volta tanto, ha saputo individuare nel familismo carrieristico una vera e propria associazione mafiosa. Sull'onda del berlusconismo sdoganatore si era ripulito delle nunerose testimonianze fotografiche che lo ritraevano impegnato in scontri di piazza e, dopo essere stato ministro dell'agricoltura - un dicastero che un referendum abrogò - riuscì a farsi eleggere primo cittadino, ripulitore della città dai Rom e dalle sporcizie stradali. Queste ultime non sono mai state rimosse e anche i Rom, pur perseguitati e dati ripetutamente alle fiamme, nei loro accampamenti, hanno resistito. Invece, della sua carica amministrativa, il genero di Pino Rauti, aveva fatto il catalizzatore delle sue ambizioni di arricchimento, in solido con parenti ed amici, secondo un costume predatorio, atavico, trasversale, direi gladiatorio, fedele ai camerati. Storie di "coatti valoriali", come i membri della banda della Magliana, eredi del principio per cui un giorno da leoni val ben più di una vita da "er pecora". E allora, dai, come discendenti degli stupri dei Lanzichenecchi, al "carpe diem" della cresta spicciola su tutti gli eventi, perchè quell'occasione si è presentata per una sola volta nella vita. E loro sanno come vanno le cose.

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