lunedì 8 dicembre 2014

La mischia.

Ci si perde nelle dettagliate cronache della corruzione romana. I nomi, che non dicono nulla, sono superflui tranne che all'inchiesta: la mischia romana, politica, amministrativa e..in ogni ambito nel quale si debba "rappresentare" qualche cosa, è sempre stata caratterizzata dalla prevalenza di chi sapeva stringere e mantenere i rapporti più lucrosi con le strutture economiche più importanti, direttamente e per interposta istituzione. Per questo sarebbe importante che il Comune venisse commissariato e preparato con logica calvinista a nuove elezioni, ma non prima di aver tagliato tutti i raccordi fra i comitati d'affari. Questa, se mai verrà intrapresa, sarà una lotta titanica e pericolosa; coloro che necessariamente affiancheranno o affiancherebbero il commissario saranno o sarebbero inaffidabili, come a Palermo e a Reggio Calabria. Ma Roma, abbandonata a se stessa è una città mediorientale e non può rappresentare l'Italia, quell'Italia, in Europa. Eppure la Cancelliera omette nelle sue prediche inutili di citare la spumosa corruzione che è all'origine del nostro sfacelo finanziario e si limita a parlare di compiti a casa mal fatti o incompleti. Le andrebbe bene una finanza mafiosa in linea con i parametri di Maastricht? Le intercettazioni trascritte appalesano un'umanità cafona e violenta, un'intimidazione da carcere giudiziario, quello che si addice agli indagati, la commemorazione di pestaggi orizzontali e trasversali, per farsi temere e mantenere intatto il business. Questa, purtroppo, è la cultura romana: si applica ad ogni ambito della vita capitolina, sia per ottenere un certificato, sia per acquisire una promozione nella burocrazia statale, sia presso la direzione di una grande azienda privata, la chiave di volta per coagulare una coorte. In tutto questo c'è qualcosa che non torna, almeno apparentemente. Le iniziative, approfondite e destruenti della magistratura, sono un portato di questi ultimi decenni, a fronte di una piaggeria sostanziale mantenuta durante tutta la prima Repubblica, per ben cinquant'anni. I paladini della dea bendata hanno cominciato a farsi valere, con efficacia, senza smantellare né scalfire i grandi fenomeni criminali, in coincidenza con il rigore protestante indotto dalle sfide incontrollate del capitalismo e dell'Unione europea guglielmina. Addirittura, il porto delle nebbie si propone come il faro di una legalità improbabile, ma finalmente rivendicata. I perseguiti, infatti, si considerano dei perseguitati politici e non giudiziari,se ne lagnano pubblicamente, accusano o controaccusano i magistrati di attività politica impropria anche dopo le condanne definitive e durante i tentativi dilatori della loro avvocatura. Come nella Roma antica. Nello stesso tempo, improbabili riformatori si accaniscono sulle caratteristiche del lavoro futuro, quello che non si intravede e che si vuole mettere nella piena disponibilità di un capitale così intriso di faccendieri e di malaffare, mentre tutti sanno che la penuria o l'assenza di investimenti sul suolo nazionale è provocata dal reticolo della corruzione e delle tangenti che condizionano, impediscono o veicolano gli affari. Come nel terzo mondo, non in Europa.

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