domenica 21 dicembre 2014

La mafiosità.

C'è una mafiosità minore ma pervasiva, in questo paese ipocritamente cattolico e controriformista negli atti. E' una mafiosità ambientale, professionale o più banalmente lavorativa, familiare e familistica. Su di essa si basano le appartenenze e, sulle appartenenze, le carriere. Il diritto è osteggiato, su di esso prevale la prassi, il costume il cui corollario è la moralità dietro cui nacondersi. In questo modo, i termini reali delle questioni vengono rivoltati contro chi ne denuncia i sempre travisati fatti e comportamenti, fino ad addurre progressive esigenze "morali" a giustificazione di status convenzionali, su cui basare il tentativo di risistemarsi in luoghi acconci al proprio comodo, paludato da necessità. Coloro che osteggiano, con gesti concreti questi atteggiamenti, ne disvelano la doppiezza utilitaristica, ne contrastano giudiziariamente gli atti, si fanno ingenuamente promotori di un'analisi empirica in contesti di vieto e complice conformismo, vengono sottoposti ad un sistematico attacco stressogeno e minacciati con pretese grettamente personali, solo quando verità anche a lungo ignorate e tralasciate, possono rischiarare un metodo costante di approccio ambiguo e dissimulato agli eventi che si vogliono sollecitare. La mafiosità è nei favori che si vogliono "solidalmente" ottenere e nella collaborativa conservazione degli assetti che ne possono assicurare la perpetuazione. La mafiosità sposa ogni variazione, anche quelle apparentemente rivoluzionarie e le riconduce al costume abitudinario. La mafiosità esclude dalle prassi sociali, collanti del reciproco, remoto riconoscimento, isola per colpire e riaffermare il conformismo delle apparenze. La mafiosità è, ovviamente, negata.

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