mercoledì 10 dicembre 2014

Simulacri.

I lavoratori sono nelle mani sbagliate. La CGIL concerta da troppo tempo, e ormai insopportabilmente, con questo Partito Democratico, palesemente immolato alla causa del liberismo neocapitalistico. Un partito al governo che, con le sue proposte di riforma – costituzionale, elettorale, jobs act, riforma della scuola – procede per sottrazione e rarefazione: dei diritti dei cittadini, dei diritti dei lavoratori e anche del diritto allo studio, definitivamente superato, dopo essere stato messo a dura prova dalle neghittosità di troppi docenti e dall'eccessivo affollamento delle aule. Oggi, contro questo partito e contro questo governo, la CGIL si muove in ritardo e, soprattutto, con troppe contraddizioni per essere credibile, ostentando una contrapposizione, che interpreta il pirandelliano ‘gioco delle parti’. Chiama i lavoratori ad uno sciopero generale mentre i suoi iscritti deputati e senatori, già figure apicali del sindacato, hanno votato a favore del Jobs act, la legge delega di riforma del mercato del lavoro approvata dal Parlamento in via definitiva. Chiama i lavoratori ad uno sciopero generale dopo aver firmato accordi interconfederali con Confindustria contro la democrazia della rappresentanza sindacale. Chiama i lavoratori ad uno sciopero generale dopo aver tacitato, anche con la violenza, tutte le voci interne di dissenso e di critica. Chiama i lavoratori ad uno sciopero generale dopo aver acconsentito in silenzio a una delle peggiori riforme pensionistiche nel panorama europeo e realizzato la prima, incivile, modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei diritti - che più non sono - dei Lavoratori. Chiama i lavoratori ad uno sciopero generale dopo essere stata minacciata dalla supponenza e tracotanza asfaltatrice del premier, che, da par suo, millanta l’ascolto ma rifiuta ogni interlocuzione. Concordo pienamente con chi dice che “il sindacato è un’altra cosa”. Mi chiedo perché tanti militanti e alcuni dirigenti, emarginati e umiliati perché legittimamente critici, stiano ancora in quel sindacato. Ma non si illuda, venerdì 12 dicembre, la CGIL. I lavoratori che sciopereranno non staranno in piazza a difendere la sua rappresentatività di corpo intermedio e quel ruolo antagonistico-competitivo che finge di voler recuperare ma che non sembra più neppure in grado di adombrare. Né sfileranno come utili idioti al seguito di burocrati e segretari oggi liquidati da un governo rottamatore dopo anni di onorata carriera al fianco del suo partito di maggioranza. Siamo a un punto critico di rottura degli equilibri sociali, frutto avvelenato della precarizzazione coatta della vita sociale, dello sgomento e della rabbia di cittadini che non hanno più scuole e università semi-gratuite e per tutti, che non hanno più la garanzia di un servizio sanitario nazionale, che non hanno più trasporti pubblici adeguati, che non hanno più lavoro e stipendi sicuri, che sono sviliti nella loro dignità di persone. Non si illuda la CGIL di riconquistare in un giorno la legittimità perduta in tanti anni di intollerabile acquiescenza alle politiche di tagli draconiani e cancellazione dei diritti imposte agli italiani con la complicità dell’assordante silenzio dei suoi dirigenti che, in quegli stessi anni, preferivano adoperarsi per ridurre all’impotenza i sindacati di base e per garantirsi uno stipendio e una pensione da parlamentari. Se tutto quello che la CGIL oggi riesce a formulare – mentre assistiamo attoniti allo smantellamento da parte del Partito Democratico di decenni di conquiste democratiche sancite dalla nostra Costituzione – è il debolissimo e insignificante slogan “Così non va”, neppure accompagnato dalla forza prorompente di una manifestazione nazionale a Roma, allora significa che la CGIL dei lavoratori è finita, ed è finita perché la servitù politica volontaria, troppo a lungo esercitata, ha consumato ed eroso ogni sua capacità di svolgere il proprio mandato.

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