martedì 16 dicembre 2014

Riflussi di incompatibilità.

Ventisette giornalisti sono stati arrestati in Turchia dalla polizia del neo-presidente Erdogan, già primo ministro da undici anni, durante i quali ha sistematicamente creato le condizioni per fondare un potere personale, basato sul sentimento islamico del popolo, non toccato dalla modernizzazione imposta da Ataturk prima e, in nome suo, con patenti contraddizioni, dai militari, che deponevano, Costituzione alla mano, tutti coloro che tentavano di riportare il grande paese ai suoi fondamenti religiosi. Fra gli arrestati figura anche il direttore del quotidiano più diffuso in Turchia, presso una platea non molto amplia di lettori, rispetto alla numerosa popolazione. L'informazione non allineata od ostile al presidente è stata decapitata con un colpo di mano, che priva l'opinione più avveduta di un apporto critico all'operato, in progress dittatoriale di Erdogan. Come se non bastasse ed avanzasse, sono stati inquisiti preventivamente alcuni esponenti della magistratura che si ritengono non corrivi al "nuovo" corso autoritario e, addirittura, sono stati epurati, sempre tramite lo strumento della messa in stato d'accusa, alcuni settori della polizia. Mentre si pratica un colpo di Stato si accusano le vittime di meditarne un altro, di "tradire i nostri principi", sostituendoli e anteponendoli al diritto. Una prova più evidente di questa delle intenzioni isolazioniste e dittatoriali, sia pur perseguite attraverso plebiscitarie elezioni, alle quali si oppongono solo le voci critiche della cultura, per definizione prive di potere, non poteva darsi. Erdogan ha capito da tempo che l'europa che conta non lo vuole fra i piedi, che la Turchia, non più baluardo di frontiera contro l'Unione sovietica, può al massimo aspirare ad una leadership regionale, scontando però la non arabicità della sua nazione, ma potendo mettere in campo un esercito tutt'ora di primissimo ordine. Aveva tentato un ultimo approccio alla politica atlantica, stipulando uno strano patto di collaborazione militare con Israele, poi, non è chiaro se per condizione o per calcolo, si è posto in alternativa allo Stato ebraico ( secondo la nuova disposizione fondamentale della Costituzione dello Stato sionista )senza scalfire il suo isolamento di fatto. Tutto questo congiura nel senso di un arroccamento di potere basato sul consenso sentimentale della pancia della Turchia e riposa su una condizione economica stabile nelle aree vive del Paese e tradizionalmente povera, ma culturalmente accettata con fatalismo, in tutte le altre. Perché non faccia la fine - ancorché più attenuata - dell'Iran, è necessario che la società civile delle città storiche e dotate di dinamica sociale ed industriale, facciano sentire "sanguinosamente" la propria contrarietà, fino a provocare la caduta "dell'ultimo dittatore", anche se la Turchia, per come si è appalesata e per come è nelle sue latebre profonde, non può aspirare a far parte né della comunità occidentale, nè, tanto meno, di quella europea.

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