giovedì 27 settembre 2012

Pantomime.

Un tale Sallusti, direttore del Giornale che fu di Montanelli, perché "compagno" della Santanché, la fica più bella che c'è, omette di controllare quanto l'agente segreto "Betulla", al secolo Renato Farina, pubblica sul quotidiano che dirigeva all'epoca. Si trattava di un pezzo strappa-feti dal seno di una tredicenne che, insieme alla gravidanza, sente crescere il suo senso materno, brutalizzata dai genitori utilitaristici e da un giudice che sostituisce l'algida insensibilità della legge, al sentimento inestinguibile della maternità che fiorisce dopo ogni, pur inconsapevole, ingallatura. Il direttore è stato condannato in base alla norma per cui, sia il redattore, sia il collaboratore autonomo, free lance o a contratto, devono verificare le fonti. La vicenda melò era stata completamente inventata e non era neppur genericamente ascrivibile a nessuno; era stata collocata spazialmente a Torino, in un ambito di 1.200.000 possibilità identificative. "Betulla" aveva - non so se consapevolmente - riesumato quegli articoli del codice civile che, ancora quarant'anni fa, attribuivano la maggiore età al compiersi del matrimonio, se avveniva anche a soli dodici anni di età. Insieme alla patria potestà. Si scopriva così il gioco, non dichiarato, del matrimonio riparatore, conseguente a gravidanza, che si consumava nelle campagne, in condizione di precocità di appetiti e bucoliche arretratezze, quando l' aborto, ufficalmente, era un tabù. Evidentemente, fra i suoi lettori, "Betulla" annoverava sentimentalità vandeane e le rivendicava contro la violenza di una giurisprudenza, che strappa impunemente la vita ai nascituri, l'anima alle madri, anche se rimaste incinte in coincidenza con il menarca, e i borghesi corrotti, ma benpensanti, alla comodità dei loro salotti e dei piacevoli conversari. Detto questo, sono comunque contrario a qualsiasi forma di carcerazione per chi conta balle e vellica la reazione, come quel vescovo brasiliano che, pochi anni or sono e solo perché di pubblico dominio, scomunicò una tredicenne favelada e i medici che, senza trarne lucro, ne avevano interrotto la corsa verso il niente, sentimentale e materiale, sua e del nascituro, già senza prospettive. Esportare l'illuminismo in Vandea è come portare la democrazia nei Paesi arabi petroliferi, con le armi: è altrettanto ipocrita e grottesco. Un altro giudice-scrittore, Enrico Carofiglio, ha reagito con supponente violenza ad una stronactura letteraria che gli era venuta da un critico di destra, che, certamente, lo aveva demolito per fini che con la letteratura non avevano niente a che fare - il giudice-scrittore è anche parlamentare del PD - ma, da quì a cercare di sanzionarlo penalmente o zittirlo pecuniariamente, per lesa maestà giuridico-letteraria, ce ne corre. La democrazia non contempla forme, è fisiologicamete conflitto ideologico. Mistificarla e ricondurla a questo o a quel suo opposto, che sia la ideologica inaccessibilità all'Empireo delle parole, con le quali ci si può esaltare, che sia la feudale presunzione di non consentire satira o contestazione alla propria decontestualizzata inaccessibilità, non rimanda ad esempi libertari. Sembra anzi la totalitaria pretesa della Signora Helena Ceausescu di essere la scienziata dei Carpazi e, nel contempo, la poetessa della Pomerania, quando, poverina e non per questo immeritevole di rispetto, sapeva appena leggere e scrivere. Il marito, appagato dal potere, la lasciava fare, ma, per la pace domestica, reprimeva ogni accenno di dubbio che potesse affiorare. Ecco, Carofiglio, che aveva tutti gli strumenti per replicare - casomai per una sola volta - non si è comportato diversamente, anche se, con ogni probabilità, tutto si ridurrà ad una multa pagata dall'editore. E poi dicono che le lettere non danno pane..

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