mercoledì 15 ottobre 2014

Il dovere di denunciare per non abdicare alla propria libertà.

La condizione delle donne, delle famiglie romene che lavorano la terra nel ragusano è speculare, nella violenza e nell'inciviltà, a quella delle donne Yazide, siriane e irachene, ridotte a schiave sessuali dal IS e vendute al mercato. Le romene emigrate per la campagna agricola in plaghe desolate del sud, vengono violentate dai padroni e dai loro figli più grandi. Anche ragazzine di quindici anni subiscono violenza, come le madri rimangono spesso incinte a vanno ad abortire all'ospedale di Ragusa e delle altre zone circonvicine, dove i medici, almeno per i contadini-proprietari, non oppongono nessuna obiezione di coscienza. Sembra quasi che anche loro non si peritino, con un atteggiamento di indifferenza complice, di avvalorare la dignità, già così pesantemente calpestata, di queste migranti poverissime. I componenti delle famiglie impiegate vengono fatti lavorare a giorni alterni, in maniera di separare le mogli dai mariti e le figlie dai genitori. Chi non accetta questo "orario di lavoro" può levare le tende. Talvolta, la protervia e la sicurezza dell'impunità fondata sul bisogno delle vittime, si spinge fino alla molestia fisica in presenza del marito, che non sa, come la moglie, a che santo votarsi. La violenza morale del ricatto è, per queste destinatarie/i, un'umiliazione particolare, perchè le costringe ad appaltarsi sessualmente, dopo averlo fatto lavorativamente, al padrone, mentre il marito rinuncia alla sua riservatezza per il bisogno: esattamente come toccava alle schiave e ai loro mariti. La reazione a fatti di questa gravità sono ambigue e tenui, sfuggenti, sembrano asseverare che, di fronte ad una così smaccata violazione di qualsiasi norma, legale ed ancor prima etica, la reazione non trova basi su cui fondarsi, che l'incomprensione generale sarebbe uniforme. La denuncia, i reportages, lasceranno presto il campo alla rimozione, mentre un'eventuale insurrezione delle personalità violate susciterebbe certamente reazioni speculari a quelle di Villa Literno, di tre anni or sono e dove nulla è cambiato, dove,anzi, la repressione armata dei privati contro la giusta protesta ha cristallizzato la condizione di baraccamento e di promiscuità degli stagionali dei campi. E' questo un aspetto della mentalità sanfedista e feudale diffusa al sud "verso chi è inferiore", borbonismo d'accatto che si trasforma in lamento verso presunti pregiudizi settentrionali nei loro confronti, che, invece, al nord ci stanno per percentuali a volte superiori a quelle dei residenti nelle zone d'origine, non solo per bisogno, ma anche e soprattutto, ormai, per ricercare delle opportunità che spesso trovano e coltivano. La pura sopravvivenza fisica di queste non-persone infelici è ostaggio della profittevolezza economica, esistenziale e del possesso sessuale di rozzi utilizzatori, senza che nessuno abbia convenienza ed interesse a porvi rimedio, ma semmai ad infossare le notizie, attraverso la mafiosa minacciosità ambientale verso chi denuncia. Solo la mafia nigeriana, in Campania, è riuscita, negli ultimi anni a farsi temere e, quindi, rispettare, dimostrando coi fatti che alla violenza si può opporre efficacemente solo un'altra violenza organizzata, se non si vuole soccombere, mentre lo Stato ha lasciato fare alle fazioni contendenti, monitorando da lontano lo stabilirsi di equilibri.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti