martedì 11 novembre 2014

Slavine fisiche e morali.

Mentre l'Italia frana sotto normalissime piogge, come tutti gli anni, nei comuni si scoprono ogni giorno ammanchi colossali che vengono arginati con aumenti esponenziali e discrezionali delle tasse; quello che per tre generazioni è stato ruberie e favoritismi è adesso speculazione ed erario, a sua volta funzionale al rimanere in sella. Di investimenti nel territorio, mai fatti in momenti molto più favorevoli, è impossibile sperare in queste more. Al massimo vedremo Renzie in barchetta. Nel frattempo, non c'è provincia italiana che non segnali nuove chiusure di fabbriche. Dalle piccole si è passati alle medie, mentre alla cessazione della ricchezza reale si accompagna la confusione finanziaria e la creazione di debito che mille sigle fittizie, apparentemente sorte dal nulla, si offrono di moltiplicare. Così, il presidente Junker, in termini legalmente legittimi, mentre predicava, da politico, austerità ai paesi insolventi, sottraeva loro ingenti risorse fiscali, che il suo, di Paesi, il Lussemburgo, consentiva di eludere, attirando a frotte banche e padroni della prima repubblica. Ciò non ostante, questo cialtrone non si è neppure agitato sullo scranno, è rimasto imperterrito al suo posto e nessuno ne ha chiesto le dimissioni. E' potuto diventare, insomma, a rotazione, presidente pro tempore dell'Unione europea che assomiglia adesso a quella fra i ladri di Pisa. Una presidenza in palese e ignorato conflitto d'interessi con l'altra che ha ricoperto. Gli elusori non sono stati tutti italiani, ma i nostri - sempre gli stessi - sono alla fine risultati preponderanti. In testa le due maggiori banche transnazionali a marchio italico, con i loro depositi e i loro depositanti e poi tutta la atavica pletora dei boiardi privati che avevano costruito la loro incontestata fortuna sull'esenzione dai tributi, perseveranti nelle stesse metodiche nell'Unione. Insomma, le piccole imprese hanno chiuso, quelle grandi se ne stanno all'estero dopo aver lucrato il lucrabile, anzi molto di più, saccheggiando in solido la prima repubblica; hanno scelto l'opzione fiscalmente più leggera e su questa opportunità, che impoverisce le società nazionali, hanno lucrato gli esponenti ai vertici degli staterelli beneficiari ed ora dell'intera Unione. Pretendere subordinato rigore da Stati in colpevole difficoltà, strizzando l'occhio ai loro profittatori, sa di marcio, anche se di un marcio a cui ci siamo assuefatti da tempo, entro i confini nazionali. Ma il metodo è globale, transnazionale e, ciò non di meno, la vulgata moraleggiante viene ammannita al popol-bove, senza ritegno e senza che nessuno, nell'ambito delle istituzioni nazionali e men che meno in quello sovranazionale o unionista, possa agire efficacemente contro i dissimulati profittatori. L'uniformità fra gli stati membri è l'ennesima ipocrisia; c'è chi combatte con le mani legate, pugnalato alle spalle dai soci di sempre.

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