martedì 4 novembre 2014

E' di nuovo tempo di far politica.

Sono poco più di quindici giorni che la Cgil si è rimessa a fare la Cgil e tutto il quadro politico è cambiato. Renzi in particolare ha perso gli abiti del buon ragazzo che vuol cambiare le cose contro i poteri forti e comincia ad apparire col suo vero aspetto. Quello di un capo di governo reazionario nei contenuti e nella forma, che degli interessi dei poteri forti economici e finanziari è pura espressione e per questo distrugge ciò che resta di pubblico, di sociale, di diritto del lavoro. Intanto smantella la Costituzione mentre si proclama alfiere della nazione protetto dalle zone rosse poliziesche e applaudito dalle claque della Confindustria. Lo smascheramento e l’evidente difficoltà di Renzi sono prima di tutto frutto della scesa in campo contro di lui della Cgil, che ha aperto la via ad una ripresa di iniziativa della Fiom e nuovi spazi alle diffuse mobilitazioni sociali. Viene allora da pensare come saremmo più avanti se non ci fosse stata la passività precedente, che ha permesso a Monti di realizzare la più feroce riforma pensionistica d’Europa e di intaccare già l’articolo 18. A Brescia la Cgil e la FIOM locali hanno organizzato un presidio per la visita di Renzi agli industriali, con la richiesta e l’auspicio di essere ricevute dal Presidente del consiglio. Invece sono state bellamente snobbate, ma nonostante questo hanno concentrato le critiche verso la manifestazione dei movimenti e del sindacalismo conflittuale. Questo episodio testimonia la confusione di un quadro sindacale intermedio a cui vengono a mancare i tradizionali riferimenti, ma dietro di esso stanno difficoltà di fondo di tutta la Cgil, che è di nuovo, da oggi, l'unico soggetto politico vero, almeno potenziale, a salvaguardia del fronte del lavoro. La prima riguarda le modalità ed è l’obiettivo stesso del conflitto con Renzi. Dopo le sue ultime frasi sui disegni per spaccare l’Italia, la Cgil dovrebbe essere ben consapevole che con questo governo spazi di compromesso non ne esistono. Quindi o si cede, anche senza dichiararlo, o si va avanti. E andare avanti significa porsi l’obiettivo di rovesciare il governo. Lo so non é questo compito di un sindacato. Neppure quando nel 1960 cadde il governo Tambroni, incistato, dopo soli dodici anni dalla Costituzione, sui fascisti, la Cgil aveva messo le sue dimissioni come primo obiettivo degli scioperi di allora. Il punto non sono le dichiarazioni formali, ma la sostanza. Se Renzi è come la Thatcher allora bisogna contrastarlo fino in fondo, non cercare piccole inesistenti aperture o dialoghi immaginari, ma lottare fino a che sia evidente il fallimento della sua politica. E se la politica di un governo fallisce di fronte alla contestazione sociale, questi va a casa. Bisogna essere consapevoli di questo e comportarsi di conseguenza, poi la sinistra PD scelga dove stare e il Presidente Napolitano dica quello che vuole. La seconda difficoltà della Cgil è sul piano degli obiettivi concreti ed immediati della propria azione. Il punto sta tutto qui: o si affronta la crisi con semplici pratiche non convenzionali rispetto al liberismo italiano ed europeo, oppure Renzi continuerà, quel liberismo, a interpretarlo e gestirlo. La terza difficoltà sta nei rapporti con le controparti, Confindustria in primo luogo. Anche la Cgil, il 10 gennaio, ha firmato un accordo capestro sulla democrazia śindacale, che sostanzialmente applica il Modello Marchionne, nella speranza di stabilizzare i rapporti con le imprese. Invece Squinzi, il ciclista di riferimento di Romano Prodi, è diventato un ultrà dell’attacco ai diritti del lavoro e al sindacato. Anche qui o si rompe con la pratica passata e si ricomincia a fare il duro mestiere delle richieste e dei conflitti, oppure passano le posizioni peggiori delle imprese, che col lavoro non hanno nulla a che spartire se non in termini di profittevolezza. Infine bisogna decidere con chi stare, vista la costante paura dell’isolamento che in Cgil aleggia. Anche qui le scelte son dolorose quanto non rinviabili. Il quadro tradizionale di alleanze e riferimenti politici è saltato, Cisl e UIL, almeno per ora, restano passive se non peggio. La sola possibile alleanza immediata é allora quella con i movimenti sociali, con i sindacati di base, con i movimenti civili e ambientali. Lì ci sono forze e culture importanti ed esperienze che, se fatte proprie e rilanciate da una organizzazione ancora grande come la Cgil, potrebbero fare la differenza. Ma certo bisogna cambiare atteggiamento, bisogna aprirsi alla contestazione, come fece la Cgil della fine degli anni 60. Può diventare il primo momento di una nuova alleanza, se non si ripetono le scelte di chiusura di Brescia. Non sono molto ottimista sul fatto che la Cgil possa realizzare il cambiamento necessario, ma non pensavo neppure che potesse svegliarsi, allo stremo, dalla sua catalessi. La forza di Renzi finora è stata proprio nel giocare sul contrasto tra la durezza della rottura con la CGIL, comunque l'ultima bestia nera del mediocre padronato italiano e la difficoltà di questa a rompere con le pratiche accomodanti e colpevoli del passato. Cavalcando questa contraddizione alla fine Renzi pensa di vincere, per questo sfida continuamente a essere capaci di rovesciarlo. Ci si provi sul serio e magari si diventa capaci di farlo.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono graditi i tuoi commenti