giovedì 13 novembre 2014

Gli scivolosi ma chiari punti di congiunzione.

A che cosa serve uccidere Nino Di Matteo, i cui coinquilini hanno inoltrato una petizione anonima contro la presenza delle volanti di scorta sotto casa che disturbano la loro "pennichella" e, guarda caso, il loro riposo notturno? Il solitario giudice palermitano, il nuovamente isolato giudice in un contesto mafioso e indifferente, come questa ripetuta condizione pre mortale, pre eliminazione ha già tante volte attestato, conduce la sua ultima battaglia su quella trattativa, l'ennesima, fra lo Stato e la sua componente borbonica e storica, che non è interpretata se non per intermediazione dagli sgrammaticati padrini della mafia. Per questo e non per la sua attività di indagine e di contrasto ordinari è in pericolo di vita. Dopo ventidue anni..il tempo è immobile a Palermo. Una spiegazione la si può trovare nel fatto che la figura del giudice, oggi come oggi, si trova di frequente a rappresentare l’ultimo baluardo della legalità in un territorio dove l’arbitrio regna incontrastato. Da qui nasce il ruolo di vittima designata, candidato ideale per essere trasformato in agnello sacrificale. L’uccisione di un magistrato ha dunque anche uno scopo rituale, ossia il sacrificio di un servitore dello Stato; uno scopo fuorviante, nel distrarre l’attenzione pubblica da altri gravi fatti che vengono messi così in secondo piano sulla scena sociale; uno scopo cinico dal punto di vista dell’etica dello Stato, che può essere quello di ricompattare il Paese in un comune evento luttuoso. Infine, a ben vedere, esiste perfino uno scopo commemorativo, rinsaldando antichi patti, e qui non vorrei neppure avvicinare ulteriori ipotesi, ma sono invece convinto che sia proprio così. Come le altre volte. Tutti noi Italiani dobbiamo sapere che Portella della Ginestra è la chiave per comprendere una parte importante e nascosta della storia della nostra Repubblica. "Le regole della politica italiana in questi cinquant'anni ( ne sono passati altri diciassette ) sono state scritte con il sangue delle vittime di quella strage". Lo scriveva il sociologo Danilo Dolci, che spese tutta la vita a cercare la verità sull’eccidio del Primo maggio del 1947. Oggi sappiamo tante altre cose, come – ad esempio – che dietro il Bandito Giuliano c’erano gli uomini della X Mas e gli americani. Le siamo venuti a sapere quando "non macinano più" nelle vicende quotidiane; le verranno a sapere una volta consegnate alla storia sanguinosa di un paese in cui le regole democratiche e costituzionali sono invise a gente pronta a tutto pur di riaffermare e trar profitto da un potere immobile.

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