venerdì 14 novembre 2014

"Ciò che ci unisce".

Roberto Saviano ha deciso di lasciare l'Italia per non privarsi di una vita ancor giovane che l'isolamento in cui si trova confinato dalla sua scorta, ma soprattutto dall'indifferente connivenza del tessuto sociale che ha ispirato le sue denunce e dell'Italia tutta, istituzionale e non. Come il magistrato palermitano Di Matteo che ha raccolto il testimone di Falcone e Borsellino, ma non può espatriare: come loro ha dovuto accorgersi che il suo impegno era solo sconsolatamente privato. Questi tribuni e tutori di principi intimamente derisi e non condivisi sono i periclitanti Don Chisciotte di una società malata. Per questo chi vuole davvero convincere i Saviano, al plurale, a restare in Italia, non deve limitarsi alla esortazione, ma ha il dovere di raccogliere il testimone, di continuare ad illuminare a giorno quegli intrecci, di dare sostegno a chi li contrasta, di dare voce e volto a chi li denuncia, di non lasciare mai solo chi sceglie la via della giustizia. Le stesse associazioni dei giornalisti farebbero bene ad aprire una inchiesta ed una pubblica discussione sulla denuncia di Saviano relativa ai rapporti tra clan ed una parte della stampa locale. E' solo un piccolo esempio, ma chi ha interesse a infrangere certi connubi di comodo che, di traccia in traccia, portano ad una trama infetta?

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