venerdì 14 novembre 2014

A cucci e a spinte.

Le manifestazioni odierne in venticinque città italiane hanno aperto la via ad un coordinamento, ad una possibile coalizione del precariato italiano, che potrebbe valersi, in questo caso, dell'organizzazione capillare della CGIL e dovrebbe sfuggire, inevitabilmente, all'inclusione e all'assorbimento, che sarebbero paralizzatori del loro movimentismo. Ma la presa d'atto e di coscienza del mondo del lavoro occasionale, sottopagato e servile, che altro non è che il regime lavorativo capitalistico tarato sull'utile meschino e senza vincoli, di padroni di ieri, di oggi, di domani, finalmente tratteggia in Italia un embrione di opposizione sociale e un rilancio, basato sulla realtà che si è creata e che si vorrebbe per sempre relagare ai margini, che vede di nuovo protagonista la CGIL. Codesta associazione storica e meritevole di grande considerazione, comunque la si pensi, non è esente da colpe, consistite nel voler codeterminare la politica economica governativa, per ritrovarsi ora esclusa dai luoghi di lavoro, invitata a Canossa dai padroni e dalle altre due tradizionali confederazioni sindacali. E' evidente che la ritrovata posizione conflittuale della CGIL trova la sua sponda politica in quei settori del PD che si sono resi conto della loro residualità e che vagolano, inascoltati, timorosi di una collocazione politica minoritaria e testimoniale. Pur perseguendo autonomamente la sua politica sindacale e pur essendo pronta a ricodeterminare se le se ne offrisse anche un miraggio di opportunità, è ovvio che la CGIL sta facendo da battistrada a questi suoi compagni politici, come del resto fanno ed hanno fatto le altre due multicategoriali,a suo tempo definite "complici" dall'allora ministro del lavoro Maurizio Sacconi, che oggi scalpita nel NCD, nella triste e storica parabola discendente del socialismo italiano che, oltre ad esere corrotto, è anche incline a porsi sulla destra dello schieramento politico, ogni qual volta gli equilibri si squilibrano. Il comunismo non c'entra niente: è morto e sepolto; forse, col tempo - molto tempo - si riproporrà, come è già esistito in forme "prescientifiche" fin dall'antichità. Quel che conta è che si delinei, dialetticamente, una forza a difesa degli interessi delle categorie più abbandonate della nostra società, che, lasciata a se stessa, con i rapporti di forza che tutti si affrettano a consolidare, ne farebbe dei rottami. La destra ha purtroppo, da tempo, dismesso ogni forma di idealità e cultura che ha avuto e che è stata importantissima, ma non sufficiente, nel costruire i prodromi di questa sgangherata nazione. Oggi non filosofeggia più, è attenta al ricavo immediato e minuto, è di nuovo percorsa, greve com'è, da rigurgiti neo fascisti, per altro endemici, casomai sotto traccia, nelle nostre società. Si, al plurale, perché la società italiana non è, soprattutto territorialmente, omogenea. Anche se non sorgerà il sol dell'avvenir, una opposizione seria e determinata ci vorrebbe.

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