domenica 16 novembre 2014

Neppure i poveri sono tutti uguali.

In Italia ormai dilaga la caccia, simbolica o reale, ai capri espiatori di sempre: rom e sinti, migranti e rifugiati. Pur variando luoghi e personaggi, comune è lo schema narrativo, avallato anche da quotidiani mainstream. Non ho dimenticato la morte atroce di quella signora romana, Giovanna Reggiani, moglie di un ufficiale dell'esercito, aggredita e uccisa nel corso del tragitto fra la fermata dell'autobus e la sua abitazione. La colpa sta nel non affrontare i problemi, neppure in abbozzo e lasciare alle dinamiche euerodirette da organizzazioni "di base" sui territori l'agitazione propagandistica di questi eventi, nei quali la violenza si esercita esclusivamente sui soggetti vulnerabili, sempre più vulnerabili, in una gerarchia discendente della prepotenza. A giustificare o sminuire la violenza dei “residenti” e dei “cittadini comuni” si propalano spesso leggende e false notizie, spacciate come vere anche dagli organi di stampa. Ciò che è accaduto nella borgata romana di Tor Sapienza costituisce un precedente assai grave. Mi riferisco al trasferimento forzoso, a furor di plebe, dei minorenni ospitati dal Centro di prima accoglienza, collocato in una struttura che include anche un Servizio protezione richiedenti-asilo e rifugiati. Questa prima tappa della chiusura totale della struttura, pur essendo una misura prudenziale, si configura oggettivamente come cedimento istituzionale al violento ricatto razzista. I facinorosi che, incappucciati e al grido di “bruciamoli tutti!”, a più riprese hanno attaccato il Centro, con lanci di pietre, petardi e perfino una molotov, per alcuni giorni sono stati rappresentati, anche dalla stampa, come poveri “cittadini esasperati”. E le dicerie a proposito di scippi, aggressioni, tentati stupri – dei quali non v’è traccia di prova, né denunce formali a carico dei giovani africani – sono state puntualmente riprese senza alcuna verifica. Chi è rimasto nel "Centro Morandi" ancor oggi è a rischio. Ciò nonostante, di queste persone, de-umanizzate e perseguitate, neppure si rispetta il diritto alla privatezza: giornali e telegiornali, infatti, ne hanno mostrato i volti non oscurati, esponendole ancor di più al pericolo. Pochi, fra i giornalisti che hanno raccontato di questa vicenda, sono quelli che hanno citato il mélange, tutto nostrano, di attività illecite, spaccio, infiltrazioni criminali e di estrema destra che caratterizza questo come altri quartieri romani di periferia. Contro il quale mai, per quel che ne sappiamo, i “residenti esasperati” hanno fatto barricate. I miei amici di Roma, me ne hanno parlato diffusamente. La realtà di degrado mai curato delle immense periferie romane si è accentuato e la violenza, endemica nelle contese gerarchiche fra bulli, ideologicamente affini ad un machismo fascista che più fascista non si può, senza trascurare le femmine che sfoggiano dei bicipiti impressionanti, si è spostata, in forme organizzate ed occasionali, verso i nuovi residenti immigrati. La realtà è complessa, lo so bene, forse meno per questi bruti della subura, ma è di tutta evidenza la condizione di queste persone fuggite da povertà, persecuzioni e violenze, approdate rischiosamente in Europa dopo viaggi da incubo, private di casa e affetti, e oggi, di nuovo, rifiutate, minacciate, terrorizzate. Fra loro, trentasei minorenni soli e bisognosi di tutela, che erano impegnati in un percorso di formazione e inserimento professionale e che oggi sono dispersi in altri centri. Lo slogan: "basta con l'immigrazione" è un'assurdità strumentale. Entità trascurabili? E' questo il modo di gestire i problemi? E' questo il futuro che ci si prospetta? Questo per dire che la violenza recata agli adolescenti, poi assecondata dalle autorità, che altro non hanno saputo produrre in presenza di una realtà nota, ma non messa in evidenza, che relegarli in un luogo forse più insicuro per loro, non è il portato di una simmetrica guerra tra poveri, ma una vera e propria speculazione squadristica. Conosco abbastanza bene la realtà romana, per poterlo affermare. La conferma, in tal senso ci viene da ciò che è accaduto alla Marranella, quartiere romano del Pigneto-Tor Pignattara, dopo l’assassinio di Muhammad Shahzad Khan, il pakistano di ventotto anni, mite e sventurato, massacrato a calci e pugni da un diciassettenne romano, la notte del 18 settembre scorso. Subito dopo, un centinaio di persone improvvisarono un corteo di solidarietà verso il giovane arrestato, non senza qualche accento di rammarico per “questa guerra tra poveri”, insieme con cartelli e slogan quali “Viva il duce” e “I negri se ne devono andare”. Un circolo politico di sinistra, presente nel quartiere, si è spinto fino ad affermare incautamente che l’omicida e l’ucciso sarebbero stati vittime dello stesso dramma della povertà e del degrado. Come se il livello di potere, la posizione sociale, la responsabilità morale fossero i medesimi, tra il bullo di quartiere che uccide, istigato e spalleggiato dal genitore commerciante e fascista (poi arrestato anche lui), e la sua vittima inerme: già annientata dalla solitudine, dalla perdita del lavoro e dell’alloggio, dal terrore di perdere pure il permesso di soggiorno, dalla lontananza dalla moglie e da un figlio di tre mesi che mai aveva potuto vedere. Una perfetta illustrazione, quel delitto, di guerra contro i più inermi tra i poveri.

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