mercoledì 12 agosto 2015

Se ne è andato dondolando.

E' morto Harald Nielsen, centravanti e capocannoniere per due stagioni consecutive del Bologna che, cinquantunanni fa conquistò il suo ultimo scudetto. Nielsen segnò la seconda rete dello spareggio con l'Inter all'Olimpico di Roma. Questo giocatore anomalo - era grosso come un armadio, ma corretto e poco propenso a far valere la sua prestanza fisica, tanto che, se non ricordo male, non fu mai squalificato, era un garbato giovanotto nordico, che, quando i ragazzotti della mia età lo inneggiavano, sotto le sue finestre, usciva sul terrazzo e chiudeva le imposte. Lo so perché la sua famiglia era vicina di casa della mia. Mai un'ombra sulla sua vita extra sportiva in un ambiente greve e cafone e una carriera italiana fatta di successi: il Bologna, oltre a vincere il suo scudetto, veleggiava fra il secondo, terzo e quarto posto. Al termine della sua parabola discendente, si classificò sesto. Sembrò far fuori anche l'Anderlecht in Coppa dei Campioni, quando Van Himst, in extremis, compensò i goal a favore e quelli contro, costringendo il Bologna allo spareggio, nel quale fu eliminato per sorteggio, dopo che nessuna delle due squadre aveva segnato. Era un centravanti classico, giocava in trenta metri, dialogava solo per finalizzazione con i compagni e segnava spesso. Le parole dei suoi compagni superstiti mi sono sembrate sincere: fanno riferimento all'educazione e alla timidezza, alla preferenza per i viaggi, le mostre - caratteristica possibile in un nordico anche non acculturato - e per le riunioni conviviali. Ha rappresentato un aspetto di Bologna fra i più corretti nella lontana prospettiva del passato. Non tutti i suoi compoagni erano così; credo di aver narrato che avvicinatomi al campo d'allenamento, che altro non era che il campo dello stadio comunale, rimasi traumatizzato, da bambino, dalle chiarissime e reiterate bestemmie, in fiulano e in veneto ma chiaramente intelliggibili, dei vari Pavinato, Furlanis e Janich, oltre a un turpiloquio, prodotto di voci primitive che, oggi a parità di sentimenti, hanno acquisito il nitore povero di contenuti dell'ipocrisia borghese. Anche il tedesco Haller assomigliava di più nelle sue abitudini ad un napoletano della tradizione turistica che ad un teutonico panzer, come era in campo. Haller ha lasciato quattro vedove, Nielsen solo la sua che ricordo giovane, alta e biondissima come allora non usava da noi, neanche con le tinture. Resta nell'inconscio infantile di un sentimento mai cessato per una squadra scarsa e per delle società per nulla commendevoli, un ricordo ed un'immagine positiva, che,a nche se non fosse stato così - ma non credo - avrebbe compensato efficacemente da parte di un vichingo danese, le barbare affabulazioni dei suoi rustici compagni che però oggi lo hanno ricordato con il cuore in mano.

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