venerdì 21 agosto 2015

Ambiguità democratiche, ma almeno democratiche.

Il 25 Gennaio scorso, Alexis Tsipras e la sua Syriza vincevano largamente le elezioni greche su di una base di forte contrapposizione alle pretese umilianti - frutto dell'atavica corruzione greca - dei creditori che l'assurda adozione della moneta unica aveva creato nei confronti di altri Paesi non più sovrani. Poche settimane fa, il popolo greco aveva confermato la linea di Gennaio e la fiducia in Tsipras, con un referendum confermativo del NO ai sacrifici, intesi come olocausto civile ed economico. Forte della riconferma - troppo frettolosamente richiesta e riottenuta - Alexis Tsipras è andato a "battagliare" a Bruxelles, ma, dopo molte ore, durante le quali si sono spesi argomenti che resteranno ignoti, è tornato in patria con un piano di austerità del tutto conforme ai desiderata comunitari, compreso un obbligo di preventiva autorizzazione dei centri decisionali economici dell'Unione, prima di sottoporre proposte, anzi intimazioni di legge al Parlamento. Da allora, da poco tempo fa, la maggioranza parlamentare è mutata ed è adesso costituita dai tre partiti storici ( due+uno, la Nea Democrazia e il Pasok, oltre ad un improvvisato Centro )e quel che è rimasto di Syriza. Correttamente Tsipras si è dimesso. Scorretta è stata però la sua abiura agli impegni presi con gli elettori, che aveva chiamato ad un referendum: il suo mandato era chiaro anche senza quest'ultimo pronunciamento. Perchè dumque convocarlo se troppo labili erano le motivazioni interiori? Forse, proprio per questo. Ma come si fa, a prescindere, a rimangiarsi la parola e perdere la faccia e infine ripresentarsi a capo di una formazione mutilata, dopo aver provocato una frammentazione del quadro politico greco? Casomai, se non poteva rispettare l'impegno preso, doveva motivatamente dimettersi subito dopo essere stato "trattato" dai creditori riuniti a Bruxelles, ammettendo di avere fallito e restituendo al libero gioco della dinamica politica la composizione autoctona e sovrana dei contrasti e delle difficoltà. Qualcuno suggerisce che si tratta di una sceneggiata furbetta e che anche le dimissioni di Varoufakis sarebbero tattiche. Io personalmente ne dubito; casomai codesti personaggi potrebbero trovare delle alchimie successivamente al nuovo, troppo ravvicinato consulto elettorale, per non "compensare" interessi altrimenti contraddittori e mascherare il ribaltamento rispetto al recentissimo referendum, di una linea saldamente maggioritaria nel Paese, ma che la dispersione degli oppositori rischia di non poter riaffermare nelle urne. Tanto varrebbe restituire il potere alle "larghe intese", perché mantenerlo ad un trsaformista leader troppo incline al peggior populismo, prima in un senso ed ora nell'altro, rischia di non sortire effetti o maschera l'andata a Canossa del giovane, improvvido, ma levantinamente non sprovveduto leader. Insomma, sembra che Tsipras cerchi una nuova investitura alla Matteo Renzie, ma lui almeno lo fa tramite elezioni, riconoscendo almeno che la precedente chiara maggioranza è già stata inquinata e trasformata, dopo neanche otto mesi.

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