domenica 9 agosto 2015

L'esperanto inascoltato.

Chi erige barriere per impedire l'accesso ai migranti, chi li ricaccia in mare, mette in atto, contro di loro, degli atti di guerra. A giudicare dal muro ungherese, ma anche da quello di Padova, a dividere le etnie, da quello di Ceuta in Marocco, non si può che convenirne. Caduto il Muro di Berlino, confine fra le potenze vincitrici delle Seconda guerra mondiale, ne sono sorti tanti, materiali e psicologici, nei confronti delle migrazioni per guerre indigene, miseria irredimibile e illusione d'accoglienza. guerra l'una e guerra l'altra. Ma la migrazione, l'invasione senza prospettive e senza capacità utili nelle società meticciate non è spontanea, bensì organizzata da holding del turismo straccione eppur profumatamente pagato. Questo il Papa dovrebbe saperlo e, soprattutto, dovrebbe mettere a disposizione i seminari e i conventi dismessi, dovrebbe, anche in Italia, pagare le tasse sui beni e sulle attività ecclesiatiche, se non altro per contribuire alle spese d'accoglienza dello Stato italiano. Mettendo a disposizione le sue immense ricchezze e non soltanto invocando con moralismo minaccioso la solidarietà dei popoli e delle nazioni, forse non otterrebbe lo scopo dichiarato ma si renderebbe più credibile alle orecchie di chi lo ascolta. Cone Stato sovrano potrebbe rendersi artefice di accordi internazionalai meno restrittivi ed egoisti, ma si limita a predicare e non lo fa. La pastorale dei poveri, di cui parla il Vangelo, limitandola geograficamente alle popolazioni note ed integrate delle terre dove si svolgono le vicende narrate, è stata estesa all'universo mondo e se ne reclama l'applicazione in un periodo storico nel quale l'osmosi culturale - si fa per dire - è spinta dalla fame a superare i suoi confini, per ristabilirli, anche dalla parte migratoria, non appena rifocillati, sistemati e poi lasciati lì a coltivare una nuova frustrazione, alla quale il riconoscimento teorico delle diverse identità non darebbe nessun sollievo, ma fomenterebbe nuove guerre, stavolta intestine, spostando solo lo scenario del conflitto. E' vero che l'ibridazione esclude solo i poveri, ma il papa dovrebbe sapere che la cultura vera non si fa ibridare, casomai cerca di conoscere quella degli altri, ma si guarda bene dal farsi "evangelizzare". Lo farebbero anche i poveri, che non sono moralmente migliori dei ricchi, ma solo enormemente svantaggiati rispetto a loro, tanto che devono subirne le angherie, anche se riescono a passare "il confine", quando entrano in una competizione, spesso primitiva, con i poveri indigeni. Il "rispetto" delle diverse identità è un'utopia da qualunque prospettiva la si osservi, in particolare in un contesto nel quale conta solo la possibilità o l'impossibilità economica. Se degli immigrati si facesse "forza lavoro" per rilanciare a basso costo l'economia d'accoglienza, gli indigeni si schiererebbero al seguito della peggiore destra revanchista e fascista. Dopo aver condotto battaglie reazionarie contro l'Illuminismo, il papato si è adoperato per contrastare il comunismo, che gli sottraeva il gregge, conducendolo nell'errore materialistico, in meccanica opposizione-riconoscimento al liberalismo. Ora che il comunismo è alle spalle , il papato ( dubito, la Chiesa ) può riergersi a paladina dei poveri di tutto il mondo e praticare il mondialismo, senza impegno diretto, relativizzando, almeno nella divulgazione, la sua dottrina. Il cattolicesimo dell'albergo di Santa Marta, di cui promana, può riscoprire e ripredicare la bontà, senza tener conto del "peccato originale" che la rende sterile. La voce del Papa non grida nel deserto, ma nella Babilonia delle cento ( o erano mille? ) favelle. Nel mondo privato delle sue alterità principali - economicamente e socialmente parlando - il comunismo e il capitalismo, riemergono utopie desuete: l'ultima quella evangelica, abilmente agita dal Papa sedicente francescano, mentre le culture pre industriali sono neglette, o meglio, vivono ai margini delle diatribe politiche, forti della loro tradizione, parte intatta, parte inquinata. Il Papa si richiama efficacemente, parlando ad un'associazione giovanile cattolica, nell'orbita dei gesuiti, aglii atti di guerra - di cui tante volte la Chiesa si è resa protagonista o complice, verso coloro che non hanno nessuna forza, neppure polemica e si riferisce, nel farlo, ad una popolazione musulmana indocinese, rifocillata e poi risospinta in mare aperto, fino al prossimo, decimato approdo. Delle sorti di questo popolo nessuno è a conoscenza, perchè i media internazionali non hanno interesse a parlarne e solo le cancellerie, indifferenti, ne conoscono l'odissea. Nessun Messia è alle viste per loro e la loro condizione, almeno come etnia, un livello appena superiore all'orda, tanto particolare che un atto "umanitario" sarebbe probabilmente possibile, ma aprirebbe una breccia nell'equilibrio-squilibrato degli stati di fatto. Una ragione per tacere? Tutt'altro.

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