martedì 11 agosto 2015

L'Italia che "non torna".

Mentre ci si è invischiati in una parità monetaria inesistente ed insostenibile, per proteggersi dai rivolgimenti della finanza senza confini, ci si rifiuta di accoglierne uno degli effetti: la migrazione di massa di un'alta percentuale delle popolazioni non più contenute nei loro confini dalle dittature dismesse senza raziocinio per far posto alla speculazione energetica. Prima, le dittature si appoggiavano ipocritamente a questo o a quello schieramento ideologico e di migrazioni per miseria - sempre presente - o persecuzioni politiche ( si subivano e basta ) o guerre intestine indotte dal venir meno degli argini sociali e del potere militare, frazionatisi in lotti, mentre ora i defedati sperano di trovare sopravvivenza nelle regioni circonvicine più ricche. Ma, senza competenze, capitali o disponibilità a farsi sfruttare per incremenatre il PIL degli ospitanti, non c'è nessuno che li voglia. Le grosse comunità straniere, già presenti da generazioni nei paesi europei, sono frutto di dominazione coloniale o di rapporti storico-politici secolari; fuori da questi schemi ereditati, nessuno - tranne la quasi non coloniale Italia - vuol sentire parlare di loro. Non ci si è rinchiusi in un fortino artificiale per farsi impoverire, come società ibrida, da un eccesso di generosità nell'accoglienza, che, senza nessun presupposto culturale, non farebbe che richiamare altre ganasce fameliche sulle nostre sponde. L'Italia si barcamnena, come sempre, relega i rifugiati e li lascia a vegetare in campi di raccolta dai quali non usciranno più; una condizione sempre migliore di quella di tanti braccianti, impiegati al sud, che hanno ripercorso le orme abbandonate del bracciantato "cafone" e che sono gli unici ad essere stati "messi alla stanga" di una immobile conferma del reddito agricolo, mentre al nord, complice anche la dissoluzione della piccola e della media industria, gli sbandati ed i disoccupati sono numerosi fra gli immigrati. Le grida di dolore del Papa sono speculari alla contingenza storica ma sono utopistiche: il rispetto delle diverse identità è una chimera, alla luce del fatto che di questa cosiddetta identità, i popoli migratori - ad eccezione degli Ebrei, che ormai hanno solide basi nel mondo ed hanno creato uno Stato - non hanno altra contezza comunitaria che la fame. Oltretutto, la migrazione è articolata da organizzazioni che ne curano la partenza, il transito e il primo insediamneto nei Paesi ospiti dove i connazionali inseditivisi, fanno fa collettore originario dello smistamento presso famiglie compiacenti ed interessate, mentre successivamente, quando i pellegrini vengono spostati al nord costituiscono una mafia di veicolazione circolare del lavoro e impetratrice di diritti e pretese, invadenti ed ai limiti della legalità. Fra sud e nord Italia si consumano "integrazioni" pericolose per la coesione del tessuto nazionale, trovando facili faglie nell'interesse di famiglie, residue fabbrichette e comunità allogene che speculano sul lavoro, sulle indennità di disoccupazione e che hanno ormai raggiunto livelli di reddito dichiarati, superiori a quelli di un lavoratore calabrese o campano. E' un'Italia diseguale, che "non torna".

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