giovedì 27 agosto 2015

Paludi imbonificabili.

Il 16 settembre del 1970, Mauro De Mauro, giornalista dell'Ora di Palermo, un foglio d'inchiesta, veniva rapito, ucciso e nascosto o distrutto. Indagava sull'omicidio del Presidente dell'ENI Enrico Mattei, fatto passare per un incidente e ne analizzava le cause attraverso gli intrecci politici, nei quali l'intelligentissimo, ma incolto manager, era invischiato, anche come regista, fino al collo. Mattei li strumentalizzava e non se ne lasciava strumentalizzare, per questo fu ucciso dalla mafia, braccio secolare secondario del potere politico. La lupara bianca lo ha inghiottito per sempre. A ricordarlo, in rubriche giornalistiche divulgative, il fratello, anche nella fisionomia, professore di linguistica fra i più emeriti. De Mauro fu un caduto dell'informazione d'inchiesta, come Mino Pecorelli che, traeva le sue fonti, dai servizi segreti e, in questo senso, se la andava a cercare. Uccisi e dimenticati, perché anche le stantie e periodiche celebrazioni potevano risultare pericolose, rinfocolando la curiosità sulle materie che investigavano. Paolo Adinolfi faceva il magistrato a Roma ventuno anni fa e "sfrugugliava", senza saperlo, l'intreccio malavitoso e affaristico della politica e dell'amministrazione capitolina. Per questo è stato risucchiato in un buco nero, dal quale non riemergeranno neppure le sue ossa e dal quale nessun'eco giungerà più alla famiglia. Wilma Montesi, arrotondava un magro salario, partecipando alle feste dei giovani danarosi sulla costa laziale. Fu uccisa e abbandonata sulla battigia. La sera prima si era svolto un droga party in una villa alla quale aveva partecipato, come d'abitudine, il figlio del Ministro degli esteri Piccioni della democristianissima Italia di governo. La lupara bianca non ci fu, la morte sopravvenne per cause che in sede autoptica non si vollero nemmeno accertare. Le sopravvissute del Circeo, vittime di un assassino e maniaco che si sarebbe ripeturo, in licenzia premio, sulla moglie e sulla figlia di un compagno di cella, Emanuela Orlandi, Mirella Gregori, ma anche il sergente della Guardia svizzera vaticana, per il quale sono stati ignorati tutti gli appelli della madre divorziata ( ma, tranne qualche pietismo, sarebbe stato lo stesso se fosse stata un'esemplare madre di famiglia )attengono ai misteri vaticani, che le colonne del Bernini non riescono ad isolare dal contesto romano, insieme al quale contribuiscono a rafforzare l'afonia e l'omerta su tutto quanto il potere vuole nascondere, la cui parte sostanziale riposa nei conti cifrati dello IOR, causa dell'omicidio mafioso a Londra di Roberto Calvi, fra le cause dell'avvelenamento di Michele Sindona, "salvatore della lira", mandante dell'omicidio dell'Avv. Ambrosoli. Cause diverse, ma tutte parte del "generone" romano, nelle viziate alcove dei figli di famiglia, tutti figli di burocrati con il contorno di qualche "coatto", ma soprattutto, al livello appena superiore e collegato, la palude del denaro estorto con il sorriso sulle labbra e i capelli impomatati, col solito contorno clientelare della "bassa forza", che mischiano inestricabilmente istituzioni e famiglie, mafia nel senso proprio e più allargato dell'accezione, rimozione pubblica di vizi ( potrebbero essere la causa vera della morte della Orlandi e proprio nell'ambito prelatizio in cui si era invischiata in Vaticano ) e ruberie sistematiche, sulle quali si allunga l'omertà giudiziaria di gran parte di quella magistratura.

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