domenica 27 settembre 2015

Ritorno nel nulla.

Poche ore fa, a Roma, è morto Pietro Ingrao e con lui, che aveva cento anni, uno dei protagonisti del comunismo italiano che contribuì a dividere la società in due tronconi statici: uno prevalentemente conservatore e un altro prudentissimo in patria, ma organico al movimento comunista internazionale. Ingrao è stato un importante comunista italiano, uno dei cinque che si potevano permettere di avvicinare Palmiro Togliatti in Parlamento e con il quale "il migliore" si consultava. E' stato per due terzi della sua vita un comunista organico, ragionava con la testa del partito o riusciva a dissimulare il suo pensiero. Nel perseguire il potere o almeno nel mantenere la solidissima posizione vicaria, ma alternativa, per decenni e decenni, non si concedeva l'uso critico della ragione. Eppure, nella fase calante e compromissoria della prima Repubblica e del comunismo medesimo, assurse alla Presidenza della Camera dei deputati e, anche se lasciò senza fornire spiegazioni, solo un anno dopo, quei dodici mesi furono una palestra del dibattito più sereno, neutrale ma incentivante, nel quale ogni deputato vedeva valorizzato il suo contributo. Negli ultimi anni della sua vita aveva preso atto della morte dell'utopia che lo aveva anticipato, lasciandolo ancor più solo nella sua tarda età. Ma il mito immanente del comunismo si riproporrà, come avviene da Platone in poi, in versioni utopistiche o scientifiche. Se quelle tesi avessero prevalso, sarebbe stato per il prevalere delle armi, per un passaggio di campo, una vendita, come ad altre nazioni è avvenuto, il nostro mondo avrebbe conosciuto un'era breve di annichilimento della personalità e dell'individuo, ma senza quel modello positivista e radicale, l'eguaglianza degli uomini e fra gli uomini è ritornata subitamente ad essere un feticcio sconfitto, irriso e disprezzato. Non c'è merito, né rimpianto per la morte di Pietro Ingrao, ma solo il suggello di un'esperienza storica accantonata, alla quale il "burininissimo" - aveva un eloquio insopportabile per il suo accento - rampollo di una famiglia importante e ricca aveva deciso di dedicare la sua vita, nonostante gli agi che la sua condizione gli avrebbe comodamente riservato, al sovvertimento rivoluzionario dei luoghi comuni in ambito sociale ed economico. Valutò, culturalmente, in via di superamento il modello liberale, di impronta agraria, nel quale si era trovato a nascere nei pressi di Latina e, invece, a regredire lungo i contraddittori itinerari della vita è stata la sua illusione - che finché ci saranno dei poveri, si riproporrà - che adesso si è spenta anche nel rimpianto.

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