sabato 19 settembre 2015

Figurazioni di carta.

Domenica 20 Settembre si vota nuovamente in Grecia e, dopo il voltafaccia di Syriza, si torna al bipolarismo camaleontico dei sistemi maggioritari, fra un neo-centro trasformista e una robusta formazione di destra, veicolata nei consensi dall'imprinting culturale masochistico. Dopo la virata ardimentosa del popolo greco, Alexis Tsipras lo ha riportato a dibattersi fra la peste e il colera, sperando di mantenere il potere e di appoggiarsi ed accreditarsi nei confronti della Troika e poter tentare di "normalizzare" il popolo elettore, durante un mandato meno frettoloso e contraddittorio. Sarebbe opportuno che la base di Syriza non partecipasse al voto, segnando la sua cesura dai trasformisti e dai ragionieri di Bruxelles, anche se da questo atteggiamento non sortirebbero risultati pratici. Eviterebbe però di fornire suffragi alla morte della democrazia e si separerebbe dalla gestione traditrice di una nazione, anziché giustificarla intruppandocisi. E' probabilmente sperar troppo. Un vecchio combattente del Sindacato, quando era degno di questo nome, Giorgio Cremaschi, ha restituito dopo 44 anni di battaglie epiche, all'interno e poi a capo della FIOM, la tessera della CGIL, perché ha raggiunto la certezza che, in cambio di una rappresentanza compromissoria, anche il grande sindacato operaio ha deposto le armi ed è irrecuperabile alla lotta di riaffermazione dei diritti dei lavoratori. Sarebbe facile commentare che Cremaschi si è definitivamente pensionato se, alla sua rigorosa lotta rivendicativa non andassero associandosi numerosi movimenti, per ora extraparlamentari, in giro per l'Europa. L'assorbimento sistemico avviene purtroppo quando entrano in Parlamento. Quel tipo di alternativa non era utopistico, né machiavellico; semplicemente non c'è più il comunismo reale sul quale quel modello politico e sindacale si appoggiava. Tanto è vero che la destra, rappresentante del modello opposto continua ad "accusarli", gli ormai ideali avversari, di "comunismo" alla memoria. Il fatto è che solo il comunismo, al quale io non ho mai personalmente né aderito, né per il quale ho simpatizzato, era l'unica alternativa realistica e concreta all'egemonia culturale del capitalismo. Anche quello piccino di casa nostra. Da una realtà ricondotta alle origini, non più riguardanti esclusivamente le condizioni di lavoro, ma la sussistenza del lavoro stesso, riprende dialetticamente quella lotta su cui si basa ineluttabilmente l'equilibio dinamico delle società informate, un tempo, dal modello industriale oggi reso vago dall'indeterminatezza dell'approccio nominale e finanziario all'economia. Essere produttore, sia come imprenditore, sia come lavoratore - in posizioni ovviamente agli antipodi - non ha più resa: è solo una condizione faticosa. Nel mezzo, una Babilonia di millenaristici proclami: dal Vangelo ai Pink Floyd, passando per tutte le indeterminatezze consolatorie e fabulistiche del mondo, non ultima qualla pubblicitaria. Intanto, nelle ridotte delle assicurazioni, delle banche e di tutte le formulazioni finanziarie, nel mondo, in piena espansione, dell'indebitamento universale, nazionale e privato, la paura di perdere la propria schiavitù alimenta ogni invidia minuta e innesta competizioni imitative - una volta dette guerre fra poveri - che il sindacato non sa più veicolare verso un'interfaccia diventato di carta. L'imperialismo è una tigre di carta, diceva Mao Tse Thung, ma anche la Cina vi si è adeguata. Figurarsi i sindacati.

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