sabato 5 settembre 2015

Chiusure.

Anche la Grecia chiude ai migranti subito dopo che l'hanno eletta a meta dei loro sbarchi. Sull'isola di Lesbo, nel lontano passato sede degli amori saffici e poetici dell'omonima femminista egea, mille afgani si sono scontrati con la polizia mentre tentavano di salire su di un traghetto, al grido di Atene! Atene! I paesi neo comunitari dell'europa dell'est rifiutano categoricamente di ospitare quote di migranti: sono migranti interni a loro volta. Si comportano come i calabresi, i pugliesi e i campani con i loro raccoglitori di ortaggi: li segregano e li sfruttano razzisticamente e si dolgono del pregiudizio nei loro confronti. Le plebi che invadono il nucleo di un piccolo e diseguale continente, ne scardinano le già periclitanti strutture, ne rinfocolano il razzismo, rimosso dopo averlo praticato, quando era privo di sollecitazioni, mentre i bianchissimi slavi in cuor loro razzisti lo sono sempre stati ed oggi non devono più dissimularlo, costretti dall'internazionalismo comunista, che, crollato, li ha lasciati in balia dello sfruttamento e dell'abbandono da parte dei ricchi. Quindi, anche loro si rifanno su chi possono, si tutelano nei confronti di chi non ha niente per evitare di perdere quel poco che conservano, mentre combattono delle guerre di posizionamento per i loro oligarchi di cui aspirano ad essere le appendici. In fondo, l'unico che combatte una sua guerra di rafforzamento dei confini e dell'identità nazionale è Vladimir Putin che, probabilmente, indipendentemente da chi sia personalmente, ha saputo arrestare lo scempio del suo popolo e riproporlo con un'identità coerente con la sua storia, contro l'indeterminatezza e le crisi importate del disordine finanziario globalizzato. In questo scenario millenaristico Papa Bergoglio pasce un gregge disperso e sempre più vasto, offrendo, in assenza di uno straccio di solidarietà, una parola che faccia levare la testa abbassata: qualcuno ci prende in considerazione, qualcuno ha interpretato la realtà mettendosi dalla nostra parte. Ma l'entità organizzata della migrazione è impressionante ed inaccoglibile. Una genia di reietti non può occupare la mensa altrui, perché in questa quantità divorerebbe tutti i viveri e non ce ne sarebbe più per nessuno. I migranti sono tornati, come una enorme mandria di bisonti, allo stato di natura. Sono in possesso di una sottocultura emozionale che li spinge, tutti insieme, verso diversi territori e, anche se la grande potenza americana è stata la causa recente di tutto questo, sarà lei, per non vedere compromessi i suoi interessi, a tirarci fuori dai guai che, da soli, renderemmo insolubili. Mettendosi nell'ottica inversa alla propria o compatendo, quando non costa nulla, la sofferenza di chi vaga senza meta reale, ci si condanna alla regressione, all'immobilità ed alla decadenza. Le orde disperate contano sulla tenerezza d'animo dei loro ospiti e già si illudono al riguardo; a rigettarli modularmente nella loro terra di nessuno provvederanno Inglesi e Statunitensi, che potranno contare, allora, sulla dissimulata solidarietà logistica e poi "di pace" dell'inconcepibile disunione europea. La convivenza culturale fra immigrati ed indigeni, omogeneizzata inizialmente dalla sottocultura comune della solidarietà, si infrangerebbe alla prima difformità di prospettiva ( come accade già anche fra presunti omogenei ) e darebbe luogo a quegli scontri sul suolo comune che è meglio, molto meglio prevenire, pur portandone la responsabilità dell'innesco. Ma contro la forza, la ragion non vale e cosa fatta, capo ha, a meno che non vogliamo ricominciare da capo anche noi, in forme identitarie neo-primitive.

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