giovedì 24 settembre 2015

Metà degli Italiani ha smesso, almeno parzialmente, di curarsi.

Quasi un italiano su due rinuncia alle spese mediche necessarie per mancanza di soldi e questa percentuale è ancora maggiore (arriva a sei su dieci) nelle famiglie che hanno un reddito basso. Si rinuncia soprattutto alle cure odontoiatriche, alla riabilitazione fisica, alle cure ortopediche e oftalmiche e talvolta anche a cure urgenti. Mentre si prendono criminali decisioni sulle prestazioni sanitarie "a rischio inappropriatezza" che diventeranno "a carico" dei cittadini ricchi, gli unici che potranno pagarsele e che già si valgono della sanità privata, fanno pensare le ultime statisctiche pubbliche. Il ministero della salute ha presentato ai sindacati dei medici il decreto sulle prestazioni sanitarie considerate "inappropriate": si tratta di 208 prestazioni a rischio “spreco” che comprendono tac, risonanze magnetiche, odontoiatria, prestazioni di laboratorio, test allergici e genetici. Una lista di prestazioni che potranno essere ottenute solo rispettando delle condizioni di derogabilità: in caso contrario saranno a carico dei cittadini. Uno degli aspetti più contestati dai medici è però la previsione di una sanzione pecuniaria per i medici che prescriveranno accertamenti e prestazioni sanitarie considerate inappropriate. Li si trasforma infatti in secondini dei bilanci sanitari, sotto l'egida di direttori sanitari e di dipartimento che scimmiottano i contenuti delle circolari ministeriali. “Il punto debole del decreto ministeriale della Lorenzin è che mette in moto un meccanismo, quello sanzionatorio rispetto alle prescrizioni cosiddette ‘inappropriate’, che oltre a spaventare il medico e farlo lavorare male, creano un danno al malato che vedendosi negare la Tac o l’esame rinuncerà a curarsi del tutto o andrà nel privato. Salterà il delicato e fondamentale rapporto paziente-medico e sarà sostituito da quello fra un dipendente e la sua azienda, soggetto incontrastato e determinante. I primi risultati delle indagini esperite da enti accreditati confermano una tendenza diffusa e diventata certezza: gli italiani (molti) rinunciano a curarsi perché non possono. Non hanno i soldi. Si legge nell’indagine: “Per curarci spendiamo sempre più soldi di tasca nostra: in media il 14% del reddito netto familiare. Come dire che in un anno spendiamo quasi 2mila euro a famiglia per cure sanitarie essenziali. E si sale a 2.400 euro se ci prendiamo cura di un malato cronico. Dall’indagine che abbiamo condotto risulta che quattro italiani su dieci hanno difficoltà a saldare i conti per le visite e i farmaci. Quasi la metà degli intervistati rimanda il più possibile l’appuntamento con il medico o rinuncia a curarsi perché non ha abbastanza soldi”. La salute costa cara e chi non può far fronte alle spese sanitarie ha due alternative, :rinunciare a curarsi (scelta fatta dal 46% delle famiglie italiane) oppure indebitarsi (13%). Ma la percentuale di chi rinuncia alle cure necessarie è ancora più alta e sale al 61% fra le famiglie con reddito inferiore ai 1550 euro al mese. E sale ancora in alcune regioni d’Italia: in Campania (73%), Calabria (69%) e Lazio (64%). Sono poi il 13% gli italiani che hanno chiesto un prestito – più della metà ai familiari piuttosto che alle banche – per pagarsi le spese sanitarie: in media è una cifra di tremila euro l’anno. Il 46% degli italiani rinuncia ad almeno una cura l’anno (un po’ meno quelli che hanno un’assicurazione sanitaria, il 33%: è un dato comunque alto, ma chi ha stipulato un’assicurazione non è al riparo dai pagamenti che finiscono per coprire il 12% dell’introito netto). Fra le cure più sacrificate ci sono quelle odontoiatriche (38%), oftalmiche (22%), alla riabilitazione fisica (15%) e quelle ortopediche (11%). Nei casi più gravi si rinuncia anche a visite assolutamente urgenti: il 23% in Sicilia, ad esempio, oppure il 18% tra coloro nella fascia di reddito inferiore a 1000 euro al mese. Nel frattempo sul provvedimento del Ministero è scattata la battaglia. Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin è intervenuta e ha detto che le sanzioni scatteranno solo dopo “un eccesso reiterato di prescrizioni inappropriate e solo dopo un contraddittorio con il medico che dovrà giustificare scientificamente le sue scelte” e ha sottolineato che “si vuole avere un’appropriatezza della prescrizione diagnostica: ovvero che le persone siano indirizzate a fare le diagnosi che servono e non quelle che non servono”. I medici però sono sul piede di guerra e annunciano mobilitazioni. L’Anaao Assomed parla di “un decreto sbagliato nel merito e nel metodo”. “Non è, infatti, compito della politica – commenta il Segretario Nazionale dell’Associazione, Costantino Troise – definire i criteri dell’appropriatezza clinica, valore in cui pure ci riconosciamo, invadendo l’autonomia e la responsabilità dei Medici. Senza contare i veri e propri strafalcioni o gli esempi di inappropriatezza assunti a sistema presenti nella parte tecnica del decreto, che la dicono lunga sulle competenze e sull’attenzione riservate a materia delicata che attiene il diritto alla salute dei cittadini. Se il tema dell’appropriatezza prescrittiva, ed il relativo consumo delle risorse, viene considerato fondamentale per l’equilibrio economico dei sistemi sanitari evoluti, è impensabile procedere attraverso note, tabelle e sanzioni.Con il rischio di inquinare il rapporto medico-paziente e di spingere i cittadini verso le strutture private, obbligando le fasce più deboli della popolazione ad ingrossare il numero di coloro che già ora rinunciano alle cure ed alimentando una spesa out of pocket che già è ai massimi in Europa”.

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