sabato 28 febbraio 2015

Il metodo meritocratico.

La ‘questione del merito’ sta diventando così centrale nelle nostre vite perché la usiamo individualmente e socialmente per placare la nostra ansia di dare un senso alle frustrazioni umane, professionali ed economiche legate al nostro lavoro. E se talvolta ci capita di pensare di meritare il nostro disagio perché non siamo abbastanza bravi, sicuramente ci è molto più comodo e usuale imputarlo ai nostri colleghi, quei dannati ‘fannulloni’ all’origine di tutta questa ira di dio. E' bizzarro che le rimostranze si mescolino all'invidia verso le anomalie, casualmente precipitate in ambienti autarchici e repressi, veri e prorpi laboratori artificiali delle finalità degli altri. Sarebbe ora che cominciassimo, invece, a considerare le nostrane istanze meritocratiche come la carne di cui il ladro si serve per distrarre i cani mentre entra di soppiatto per svaligiare la casa. Pensare che sistemi valutativi e ‘premiali’ siano a guardia della ‘qualità’ è come pensare che la funzione dei ladri sia quella di cibare i nostri cani. Ti prego, almeno tu che sei intelligente non mangiare mai le polpette degli estranei, sussurro al mio cane, rientrando a casa.

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