sabato 14 febbraio 2015

Ci toccherà di andare alla guerra.

Un caffé jazzistico e letterario a Copenaghen ha avuto l'ingenuità o l'interesse merceologico di pubblicizzare un incontro sulla blasfemia e l'Islam, alla presenza del vignettista svedese che raffigurò Maometto con un corpo di cane. L'ambasciatore francese è finito sotto il tavolo, ma ha salvato la pelle; è morto il solito signor nessuno, presente, forse per caso, al dibattito. Ormai l'Islam emigrato in Europa è diventato la tacita base culturale della vendetta e della potenziale sottomissione, che è stato l'occidente a vellicare, sfruttando i sommovimenti regionali per licenziare dittatori nemici o, un tempo, alleati. La stessa incapacità di analisi se la stanno "sdegnosamente" rimangiando fra due fette di pane ai confini russi, come al solito non direttamente. L'islamismo ai confini meridionali del "mondo libero" richiama gli unionati o gli unionisti alla comune responsabilità di difesa ( come a quella di attacco o di consolidamento degli sgangherati risultati degli attacchi ), ma, come per il blocco progressivo degli accessi per gli emigranti e per i diversi scopi di questo o di quell'altro Stato, è possibile che ci tocchi far da soli. Sarebbe normale, ma non per noi, che, per incapacità o per indole compromissoria saremmo capaci di ogni sincretismo, Papa permettendo. L'uscita del ministro Gentiloni che, nel momento in cui indossa l'elmetto, invoca aiuto ed ottiene solo la contro-dichiarazione di "nemico crociato", è nei fatti, dopo la conquista della Sirte da parte del califfato che aspira a far abbeverare i suoi cammelli in piazza San Pietro, ma la risposta, fino ad ora, delle nazioni implicitamente invocate, non c'è stata. L'Italia da ieri è nel mirino, senza che nessuno si sia preso la briga di prenderli un po' per i fondelli. Siamo del resto troppo bravi a farlo per e da noi stessi.

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