lunedì 12 dicembre 2016

L'Italia divisa.

L'Italia dicotomica, con molte altre sotto-divisioni, è sul palcoscenico. C'è una nazione dell'accrocchio e del costume clientelare, ce n'è un'altra che si è messa di mezzo e, pur scontando un dirigismo di tipo aziendale, ha preso spunto dall'inanità evidente della prima, sia di fronte alla crisi, sia nei confronti dei poteri sovranazionali e, da oggi, non partecipa più ai riti "triti e tristi" degli ultimi dei poltronisti, Alfano e la ex D.C. in testa. Il riposizionamento tattico viene respinto e, dall'antica partecipazione al referendum costituzionale, che ha riecheggiato il fervore popolare di tutta la Prima repubblica, tradita dall'immobilità della dicotomia di allora e, come oggi, dagli ordini che venivano dall'estero, si ritornerà all'astensionismo di massa che acquista, alla luce degli ultimi avvenimenti, la fisonomia di una testimonianza democratica che non accetta di essere burattinesca, eterodiretta, involutiva in un regime neppur dichiarato. La prima Repubblica fu messa in crisi soprattutto dal venir meno della sponda comunista e, prima ancora, per dei conati inavvertiti e tellurici, attraverso il passaggio alla lotta armata da parte di gruppi che, per i decenni precedenti, erano stati rappresentati da piccole ma agguerrite formazioni della sinistra parlamentare ( PSIUP-Partito socialista di unità proletaria, Manifesto, prima versione ) ed extraparlamentare ( Lotta continua soprattutto, ma nche altri tutt'altro che banali partiti minoritari ). A destra, in termini di contrapposizione armata ( anche terroristica ) erano risorti gruppi combattenti post repubblichini. Tutti al nord, a parte la Capitale: il sud, tradizionale e borbonico, facente parte di un'altra Italia, continuava a involvere la sua violenza nel costume mafioso, che è un precipitato degli immobili vertici di quella, altrimenti immobile, società. Poi, la politica sterilizzatta da un tardivo, opportunisticamente sospetto, risveglio della magistratura, non a Roma, ma in quel di Milano, è diventata liquida, altrimenti malmentosa, trasformista, mentre si piegava a tutte le pretese dei creditori, risvegliatisi dal "debito", dopo l'unificazioane tedesca e la fine effettiva della seconda guerra mondiale, con l'implosione o la svendita del comunismo. Nell'ambito delle sottocategorie politiche, i "trascurati", dopo i "responsabili", ecc, nell'ultimo caso, i seguaci poltroneschi di Denis Verdini, già sodale di Silvio Berlusconi e poi legato da toscanità, anzi da fiorentinità a Matteo Renzie, perchè restati a bocca asciutta, nel poltronificio ministeriale, "non attribuiranno la fiducia all'esecutivo". Formidabile, ma non imprevedibile la resistenza delle donne-ministro: il meccanismo è mediocremente spartitorio e, con un pretesto o con l'altro, le "beghine" del proprio tornaconto, si sono dimostrate ( per l'ennesima volta, acquisito un approdo, una facoltà d'entrata in un ambito di potere e di privilegi ) insuperabili. Tutte confermate e implementate con rientri stantii. Adesso comincerà una forsennata opera di aggressione e di logoramento verso il Movimento 5 Stelle, mentre i leghisti mostrano una tradizionale vocazione alla divisione, quando si viene in vista del traguardo, dove si trova la tavola imbandita del ristoro. Renzie, ha recitato la sua ennesima "palla": dalla Segreteria dei Dem., nella quale parla solo lui e con i buoni uffici del suo designato e dei suoi ministri/e, cercherà di speculare sugli eventi e di tentare un'improbabile rivincita. La sua occasione, di cui, ad un certo punto, ha cominciato ad ignorare la strumentalità, lasciandosi trascinare dal temperamento rodomontesco del toscano, esplicito ma non verace, anzi, in vero, cafone, è perduta. Potrà, al massimo, finché il P.D. permarrà nel suo stato di indeterminatezza, cercare di condizionare e ricattare la politica governativa, cioè d'esercizio del potere domestico, perchè quello sovrano è stato venduto. Contro questa Italia si dovrà reagire con lucidità.

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