venerdì 23 dicembre 2016

La vita ridotta all'essenziale, rivelatrice dell'inesistenza di qualsiasi remora e pudore.

Nella storia di Alberto Stasi e Chiara Poggi, con il primo in prigione, per soli sedici anni, dopo una lunghissima inchiesta e due assoluzioni, durante la quale diede prova di una freddezza e di un distacco da bocconiano, come, per altri ma analoghi versi, fece, con successo Raffaele Sollecito, coautore - soggettivamente ne sono convinto - dell'omicidio di Meredith Kercher, che dapprima, lui e la sua fidanzata americana, che si guarderà bene dal riallacciare il rapporto, una volta che era riuscita a rimpatriare, avevano cercato di riversare su un povero cuoco-gestore di frittelle e, infine, sull'unico condannato certamente complice, ma minore per responsabilità, Rudy Guede, in procinto di essere riprocessato, per ricaduta delle argomentazioni assolutorie dei due amanti perversi. In entrambi i casi, due neri e due poveracci. Il delitto, sofisticato e sadico, mal si attaglia a due sottoproletari, ma la violenza, nell'iconografia dei "ben pensanti", si sposa con la marginalità dei costumi e delle condizioni. Invece, nella mente viziata e abituata alla comodità di alcuni ( quanti? ) ambiziosi giovinastri eleganti e con una vita, pre professionale, senza sacrifici ed ambasce, alligna la ricerca del piacere gratuito, del predominio e del sadismo ritualizzato, dei quali appare "improprio" - anche agli occhi della platea borghese - rispondere, in una sorta di mimetismo che vorrebbe rendersi irriconoscibile, irrintracciabile. Da qualche decennio, il rito processuale italiano si è adeguato al modello dialettico anglosassone, che è un diritto giurisprudenziale, passando dal rito inquisitorio ( Codice Rocco, 1930 ) a quello accusatorio, nel quale accusa e difesa si cimentano nella ricerca di prove o indizi di prove presunte e possibili: Se il precedente era un diritto "valoriale ed etico", l'attuale è censitario. Voglio vederlo, un avvocato d'ufficio o anche un avvocato privato che assuma la difesa di un indigente o di un percettore di reddito basso, impiegare somme ingenti nell'indagine privata da contrapporre a quella pubblica, ben finanziata dallo Stato. Ebbene, la famiglia Stasi, tramite i propri legali, che si sono rivolti ad un'agenzia di investigazioni rinomata e costosa, sono andati a riesumare il DNA di un amico della povera ragazza massacrata, per insinuare che, se tanto gli dà tanto, al pari del gelido fidanzato, la pelliccina sotto le unghie della vittima, potrebbe essere rivelatrice di un "altro" diverso assassino. Mi pare di capire che, rimettendo in dubbio tutte le minuziose, faticose e non prive di ambiguità, perizie e controperizie. non si tenti tanto di invertire l'ordine dei colpevoli, ma rimettendo in dubbio la sentenza passata in giudicato e compromettendo un'altra figura, un semplice impiegato, non si punti tanto a far incarcerare quest'ultimo, quanto a far liberare subito, per risopraggiunta incertezza delle prove, il breve-detenuto Stasi. Che poi l'amico del fratello, già, a suo tempo, interrogato due volte, ne abbia la vita e il lavoro compromessi, anche solo per lo stato di agitazione e l'influenza ambientale indotta, che ne mettono a repentaglio le reazioni, agli avvocati all'americana, nulla importa. Certamente continuano ad essere profumatamente pagati. Dal sistema inquisitoriale ed "etico" del fascismo, al mercato delle insinuazioni, a favore solo di chi può pagare una dispendiosa attività d'investigazione privata, in tutti i sensi, di tempo e di denaro, necessari per sottrarre ( il tempo ) ad altre cause, l'immoralità - che non è formalità legale positivistica - coinvolge, con un riflesso rivelatore, nelle insanie e crudeltà dei figli anche le loro famiglie, inavvertitamente ( ma fino a che punto? ) sollecitatrici, se ora ne sono vindici. Chissà quante volte sono state sentenziose del male apportato da altri, da estranei, nella cronaca indifferente, riportata, mentre ora riducono al tornaconto, ignaro di ogni giustizia, la vita umiliata ed anche la vita soppressa, a beneficio di quella di un assassino giudicato. "Ma è loro figlio" ( soprattutto, a quanto si legge, di mamma ) di cui forse sono complici-tutori, ma a quanto si constata, sempre col beneficio del dubbio, non adeguati educatori.

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