giovedì 1 gennaio 2015

Riforme cinesi e di sinistra.

Chissà se qualcuno, travolto dai brindisi festaioli, si è domandato a che servisse togliere definitivamente la tutela dell'art. 18 ai nuovi lavoratori "just in time", un neo proletariato nel quale, in o out, indigeni o extracomunitari, saranno distinzioni che perderanno di valore, quando non si creano, né si creeranno per questa via, nuovi posti di lavoro e la disoccupazione è prevista in aumento anche per quest'anno. Non servirebbe, "rebus sic stantibus" aggiungere altre parole. Ogni atto del governo Renzie ha costituito, con il beneplacito del dimissionario presidente, che ritiene "stabilizzata" la situazione, è stato il sequel coerente, solo un po' accellerato della restaurazione sociale in corso, spacciata alle nuove generazioni senza memoria, perché i programmi scolastici e universitari, nelle materie deputate, sono sincronici, atemporali. Per distrarci, potremmo pensare che i provvedimenti sotto dettatura, non colpiscono solo il lavoro, ma la scuola e la sanità del prossimo futuro, mentre tornano ai loro fasti guerreschi, di complemento, le spese militari. Si interviene all'ILVA, in spregio alle direttive europee, per permettere alle multinazionali che la rileveranno ( quale imprenditore italiano potrebbe accollarsela? )di risparmiare sui costi di risanamento aziendale, non certo su quelli ambientali, di nuovo omessi, anche sull'onda dei cortei sindacali, che hanno cavalcato lo scontento improvvido delle maestranze. Si lasci stare la retorica del pane; con queste plebi la minestra gliela mangeranno sempre in capo. Per quali esteti sottolineare che tutte le maragliate del governicchio ledono e stravolgono principi giuridici? La cifra reazionaria del decreto sul lavoro mostra sfacciatamente tutta la malafede di chi sa perfettamente che la liberalizzazione, l'arbitrarietà dei licenziamentinon ha mai prodotto, né mai produrrà un solo posto di lavoro in più. Anche esulando sulla bieca profittevolezza della situazione artatamente creata, perchè si dovrebbe assumere se non c'è lavoro da far svolgere? Ma se viene offerta, come cadeau, la possibiltà di mettere in atto quella che le imprese chiamano il processo di ricambio organico del personale, perché non cogliere l'invito a procedere allo scambio di manodopera tra chi ha più e chi avrà meno diritti e salari? Queste norme, per funzionare, hanno bisogno di una massa ricattabile di senza lavoro. Senza di loro, le norme appena emanate resterebbero soltanto lettera morta. Sono certo che l'etica dell'impresa e degli imprenditori farà fallire tutto questo. L'occupazione complessiva - è gioco forza - risulterà ancora minore e quella rimasta, sporadica, assomiglierà - fatte salve tutte le accentuazioni pagane dei fenomeni, per carità - molto di più a quella che lavora oggi in Cina, rispetto anche a quella degli Stati Uniti ed a quella che aveva conquistato, dopo generazioni, diritti e dignità, in Italia. La Cina è vicina, diceva quarant'anni fa Marco bellocchio, oggi Direttore della Cineteca di Bologna, ma non immaginava, lui uomo di sinistra, una riforma attualizzata di sinistra - come quella cinese - nel nostro Paese.

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