sabato 17 gennaio 2015

Il sincretismo degli assurdi.

I musulmani nel mondo e segnatamente in Italia non piangono per i poveri caduti di Charlie hebdo. Sottilizzano, come il pampa-Papa, sulla libertà "da" ( tipico delle religioni e delle ideologie omogeneizzatrici in basso ). Non uccidrebbero, ma non si dolgono che sia avvenuto. Le solite solfe, la solita mancanza di cultura critica e autonoma. Le società teocratiche - la dittatura del super-io - non possono digerire la satira su ciò che non potrebbe neppure essere nominato, se non nel tempio, in determinate e ridotte circostanze e solo da un sacerdote, come nell'antico ebraismo: insomma, una presenza vittimistica ma intollerante, separatista ed ostile nei confronti della società che li sfrutta, ma della quale hanno cercato lo sfruttamento. Da questa interiore frustrazione nasce un "modo d'essere" di queste plebi marginali, ma in esponenziale crescita numerica. La religione è vissuta da questa gente, non come paravento ideologico e di identità, ma come identificazione piena della propria infelicità con la misericorda - ma nel nostro caso, con la possibilità di rivalsa - e l'accoglienza di un padre esigente e dimentico dei suoi figli, nello stesso tempo. I musulmani d'Italia, come quelli ospiti di altri nazioni dell'occidente, sono e resteranno alieni e, in funzione della loro alterità, non si integreranno mai nei nostri costumi; meglio ancora, nei nostri pensieri. Si può, dunque, accettare che, in queste condizioni, continueranno a servire ed a servirsi delle sempre più scarse possibilità di guadagno che il nostro Paese - per restare in Italia - potrà offrirgli? Dobbiamo continure ad accogliere tutta la plebe disorganizzata e confusionaria che cerca un impiego qualsiasi, ma che coltiva, in Moschea, un razzismo all'incontrario? Il lavoro, spesso umilissimo, è richiesto e cercato, ma, soddisfatta questa esigenza essenziale, le differenze antropologiche permangono e quanto più la quotidianità degli atti comuni la confonde, tanto più rimane inalterata e sedimentata nel profondo, pronta a manifestarsi con irruenza ed inconciliabilità. E' utopistico pensare di poter stabilire rapporti di amicizia e familiarità con loro, senza essere risucchiati nella loro sfera d'influenza - parlo anche solo di quella ambientale e domestica - od essere da loro e con loro isolati dal proprio contesto. Sono argomenti ineludibili che la sola valutazione economica dell'utile economico marginale ( quante assunzioni in nero, anche di clandestini, nelle aziende italiane sopravvissute!! ), non contemplandoli, renderà sempre più conflituali o indifferenti con e alla convivenza, a distanze ridotte, di comunità assimilabili nel tempo a quelle palestinesi, nella loro situazione attuale o a quella che creerebbero all'incontrario. E' appena uscita in Italia l'opera di uno scrittore provocatorio e visionario di Francia, ignoto ai più entro i nostri confini, nella quale si postula, fra vent'anni, una "fusione" fra il cattolicesimo in crisi e l'islamismo, a congiunzione risanatrice di decerebrate e destrutturate koiné particolari su di un deserto di percezioni valoriali, in una società umana pratica, utilitaristica, ma bisognosa di illusioni perché priva, per deliberata scelta ( o adattamento? ) politica, di formazione e di capacità d'indagine, nella quale l'assoluto demenziale trova ( speriamo di no ) la sua sintesi tattica o strategica.

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