martedì 17 giugno 2014

Radicalità inconsueta.

La rapida evoluzione delle inchieste giudiziarie sulla corruzione endemica di questo comico Paese, si sposa con calibrata sequenzialità e temporalità, con l'incontrastato processo demolitorio della politica. Fin da Tangentopoli, solo dopo la fine della Guerra fredda, l'azione giudiziaria, di rito ambrosiano - quello capitolino resta di riequilibrio e di stabilizzazione - punta e colpisce alcune maxi-truffe, perpetrate all'erario, da ogni sorta di amministratori che siano in grado di appaltare grandi opere. Nel caso della Torino-Lione, però, ci si limita, per ora, a preservare la fattibilità dell'opera, al lordo delle tangenti ed a carcerare gli oppositori. Probabilmente, le tangenti sono solo un aspetto del reticolo vischioso promotore delle uniche opere industriali e ingenieristiche che ancora si svolgono in Italia, essendo defedata tutta l'attività privata, per mancanza di credito. Anche nella parsiomoniosa Banca Carige, il figlio dell'amministratore delegato accusava il padre di essere un cleptomane compulsivo e se ne chiedeva l'utilità: se si fosse limitato a mettere da parte due milioni, anziché rubare su ogni intermediazione, nessuno se ne sarebbe occupato. Resta il fatto, ormai storicamente coerente, che l'azione della magistratura, della quale numerosi esponenti approdano in Parlamento, fino ad occuparne, subito dopo la prima elezione, lo scranno più alto dopo quello del Presidente della Repubblica - provenendo dalla Procura di Palermo, non da quella di Urbino - accompagnano con vigore, pari alla pigrizia antecedente, l'opera di demolizione dello Stato, infliggendo ferite rimarginabili all'impenitente mondo del crimine e della corruzione - che poi è un crimine anch'essa - ed emorragie mortali per partiti storici, sostituiti da altrettante associazioni, dedite solo all'arricchimento personale. E', fra l'altro, una strana ed incongrua versione del capitalismo, come una fonte da spremere per eguagliarne i fasti e per tenerla su di un piano di parità, mentre ci si prosterna, con patologica riflessologia a tutto quanto ce ne viene dall'esterno. Ora, se è pur ovvio che la responsabilità della corruzione è dei corrotti, tanto improvviso spirito di giustizia, in un Paese privo di moralità che non sia invidiosa astiosità, suscita una curiosa e crescente perplessità. E' come se gli elementi che sorreggono la società, almeno formalmente, si fossero separati in un arcipelago senza più contatti reciproci. Può darsi, ma e strano.

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