lunedì 6 aprile 2015

Rimozioni e punti di osservazione.

In Turchia, come in Cina, le immagini postate su You Tube, Twitter e Facebook, sono state rimosse per ordine di un giudice tutt'altro che indipendente, che ha aggiunto la centocinquantunesima censura dell'era Erdogan, alla libera espressione del pensiero della società turca, stoppando esclusivamente ciò che uniforma, standardizza il costume culturale nel mondo, di pari passo con la sua uniformità economica e commerciale. Con questi atti si vuole limitare un aspetto, non separabile, dell'unica forma di democrazia, con tutte le imperfezioni che si vogliono, nota storicamente. L'immagine del giudice ucciso a Istanbul - non si sa da chi - non doveva essere vista e i soliti pietosi ne converranno, ma la rimozione ha riguardato anche le notizie della corruzione del Primo ministro e dell'entourage, del suo partito trasformatosi in una piattaforma di potere. In Turchia, l'incontrastato premier ( tranne che dalla società civile ) aspira a fare dell'anatolia la leader "moderata" del medio-oriente, un neo Impero da contrattare con le potenze egemoni, con Israele, fra una giravolta amichevole ed una bellicosa, mentre l'evoluto tecnologicamente Iran aspira alla stessa politica e Israele dà di matto. Uniti nei commerci, ma separati nella subcultura e nei costumi, per un particolare disegno di potenza. La Cina, invece, aspira a travolgere l'economia mondiale e ad attestarsi come la prima potenza finanziaria al mondo ma, dopo aver cristallizzato il sistema statuale su quello, inflessibile, del Partito comunista, non vuole consentire prassi liberaleggianti sul suo continente umano. Per questo, qualsiasi regime che si basi sulla limitazione o negazione dello scambio delle notizie non è e non sarà mai un modello, neppure in evoluzione, di democrazia. Di quà gli uni e di là gli altri. Sarebbe anche opportuno non commerciarci con costoro, evitando così di introdurre nella nostra economia elementi crescenti di disgregazione, che non sono colonizzatori, ma distruttivi e basta. Invece i nostri Stati si adeguano e, con cotale politica economica, distruggono l'economia mediana e consegnano le nazioni ad un resuscitato assetto censitario, l'unico che non si lascerà ammanisire e spedirà i fanti, così liberati, alla guerra. In Israele, la destra, cautelativamente rieletta dai coloni e dagli strati, anche quelli radicali democratici, ma teorici, della borghesia, sempre timorosa alla prova dei fatti, cerca l'appoggio della lobby newyorkese per sovvertire al Congresso, i pallidi tentativi "dell'abbronzato" Obama di imprimere dei contenuti da sinistra alla politica imperiale americana. La visita al Parlamento, a maggioranza repubblicana appena formata, saltando il Presidente in carica, è indicativa della rinnovata nevrosi sionista che ha recentemente invitato tutti gli Ebrei a rifugiarsi in Israele ( a Gaza dovranno restringersi un altro po', prima che gli Israeliani li decimino a sufficienza da rendere l'ambiente meno affollato per i superstiti ) dato che l'Europa si farà di nuovo spinosa per loro. Si tratta di una facile previsione, dal momento che Israele sta per accingersi ad un rinnovato isolazionismo ed a condurre colpi bassi, dove necessario, saltando anche le alleanze, almeno a livello istituzionale, più tradizionali. Tutto per la mancata repressione militare della politica energetica iraniana. Insomma, i vicini devono restare poveri e arretrati o ricchi e collusi. Qui torniamo al punto di fondo: nella forma e nella tecnica si tratta sul nucleare iraniano, nella sostanza il negoziato è geopolitico. La trattativa non sarebbe nemmeno cominciata se, al fondo, occidentali, Russi e Cinesi non fossero convinti del fatto che la Persia è attore abbastanza razionale da non volersi dotare di testate atomiche, ben sapendo che appena scoperta verrebbe "vetrificata" da un primo colpo americano e/o israeliano. Trentacinque anni di contrapposizione fra Stati Uniti e Repubblica Islamica, avvelenata dagli stereotipi negativi ed esasperata dalla propaganda, non si possono però cancellare d’un colpo. Serve passare dalla cruna dell’ago nucleare per ricostruire un equilibrio geopolitico regionale oggi inesistente. Ma sauditi e israeliani non sono disposti a includere la Repubblica Islamica in un accordo di fondo sulla divisione dei poteri nel Grande Medio Oriente. La pensava così anche Saddam Hussein, quando, incoraggaito dagli americani condusse una guerra degli otto anni contro i Persiani, prima di allargarsi in Kuwait e cominciare la sua lunga agonia e quella del suo Paese che non è ancora finita. Per i petromonarchi arabi sunniti di Riyad e i loro satelliti del Golfo, i persiani sciiti sono inguaribili sovversivi. La guerra di civiltà si consuma fra diverse confessioni di una stessa fede che condizionano gli assetti statuali dello scacchiere. Teheran è la centrale della rivoluzione nel mondo islamico, che in ultima analisi nega la legittimità del potere politicoreligioso di Casa Saud. Per gli Israeliani, o almeno per Netanyahu e la quasi totalità dell’establishment politico (ma l’intelligence spesso non concorda), la Repubblica Islamica è una minaccia esistenziale permanente, perché all'alterità religiosa aggiunge un apparato tecnologico di prim'ordine. E’ ciò che l’Unione Sovietica fu per gli Stati Uniti durante la guerra fredda. Un fattore di coesione sociale e geopolitica assolutamente strategico. E si sa che cosa succede quando si perde il Nemico. Verso gli Arabi e gran parte delle istituzioni mondiali, Israele è di nuovo solo e cerca convulsamente alleanze in fieri. Trentacinque anni di contrapposizione fra Stati Uniti e Repubblica Islamica, avvelenata dagli stereotipi negativi ed esasperata dalla propaganda, non si possono però cancellare d’un colpo. Serve passare dalla cruna dell’ago nucleare per ricostruire un equilibrio geopolitico regionale oggi inesistente. Così l'iconoclastia del IS mette a repentaglio i ricordi storici e artistici di un mondo desertico galleggiante su di un mare di petrolio, che un giorno si estinguerà, in maniera più assolutista ma meno efficace delle milizie regolari, che dalla cultura prescindono perchè hanno altro da annientare e di cui impadronirsi. Si stringono accordi, sulla base di un equilibrio di interessi che domani, se si modificherà, trasformerà i sodali in avversari sinergizzando alleanze e si mettono in subbuglio sunniti ortodossi ( sauditi ) e sionisti. Chi ha fomentato tutto questo? Un milione e ottocentomila mila morti nelle guerre di Bush, contro un fenomeno recidivante, se suscitato, come il terrorismo, torture paraticate in prigioni "amiche" negli Stati arabi alleati, a Guantanamo, pagando un regolare contratto d'affitto al Governo cubano, ma anche in Polonia, come si è recentemente scoperto. I civili, portati a migliaia di fronte a delle Corti marziali militari, nell' Egitto del deposto Presidente eletto, amico dei Fratelli musulmani, torture e sentenze di morte, ufficiali e nelle segrete. Si presume che non ci debba essere ribellione? Le alleanze con i dittatori sovvertite quando si è ritenuto, a torto, che non fossero più utili, la sconfessione sul campo di un'alleanza fra Berlusconi e Gheddafi, una campagna elettorale da quest'ultimo finanziata in Francia da rendere indimostrabile. Il Vecchio Testamento, in vigore in quelle terre, predica vendetta. Quello nuovo, da noi, non è mai stato applicato.

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