lunedì 25 aprile 2016

Sul finir del giorno.

La liberazione dal nazifascismo fu opera anche delle truppe alleate (non dimentichiamo tuttavia il prezzo pagato dalle popolazioni civili italiane, dalle città distrutte dai bombardamenti…), ma il contenuto sociale dell’Italia repubblicana nacque esclusivamente dall’opera sapiente e preveggente dei Costituenti, che raccoglievano le istanze profonde del partigianato. E quel contenuto fu espresso in un documento, di un pugno di rappresentanti delle forze politiche che avevano costituito e poi interpretato il tessuto antifascista del Paese se maggioritario o, come penso io, minoritario, non saprei: era una scelta etica basata sui fatti costituiti da chi aveva agito. Nel contempo quel testo raccoglieva il bisogno di rinnovamento, le ansie persino palingenetiche di vastissime masse popolari, di ceti medi, di contadini, di classe operaia e della parte più illuminata della borghesia. Quel testo non era perfetto, era un equilibrio in progress difficile e oggetto di attacchi contraddittori, ma , per decenni, non ne fu messa in rottamazione la diga antifascista che Berlusconi abbattè. Era una diga settentrionale, che nulla ha a che vedere con il leghismo poverello. Ora è tempo di difesa dei principi cardine di quel testo, che prevede la separazione dei poteri e l'elezione dei prescelti. Alla prostituzione pratica di questi valori non è seguita la reazione ristabilizzatrice: si è giunti alla volgarità ed alla sfacciataggine, intrisa di tanta ignoranza, di rivendicarli come il nuovo post democratico e il rischio del plebiscito è reale, Neppure nei tempi peggiori dello scelbismo, del craxismo, del berlusconismo, la Costituzione è stata in pericolo come ora. Quando Berlusconi e sodali tentarono di alterarla, furono fermati dal voto popolare. E comunque quel voto, allora, godeva del sostegno del principale partito di opposizione, il cosiddetto “Partito democratico”. Ma se guardiamo a quel medesimo partito oggi, a ben riflettere, non possiamo che constatare che il trasformismo giolittiano è ancora la cifra di un'Italia unita per forza e per modo di dire. Matteo Renzi, in fondo, non ha fatto che portare a termine la mutazione genetica del partito, che oggi ha perso qualsiasi residuo aggancio non soltanto con la tradizione del comunismo italiano ), ma con l’intero bagaglio della sinistra; da barriera fondamentale contro i tentativi di manomissione della Carta costituzionale ne è diventato il primo artefice. Oggi, perciò, la battaglia per difendere quella che il guitto Benigni aveva decantato come “la (Costituzione) più bella del mondo”, salvo poi saltare sul carrarmato renziano che sparava contro quella stessa Costituzione, parte da un handicap: in Parlamento, in sostanza, ci sono forze di minoranza, e per di più eterogenee, che proveranno a resistere, ossia a fare opposizione; sul fronte opposto, forza di maggioranza, c’è il PD: la sua dirigenza, erede, come Bruto, dell’Assemblea Costituente, è il motore primo della “deforma” costituzionale, portata avanti in modo arrogante, contro la quasi totalità dei costituzionalisti italiani, e larghissima parte del mondo intellettuale. Per preparare il terreno a questo terremoto istituzionale, ci hanno detto che la Costituzione è antiquata: in parte e vero, ma non nei principi giuridici, economici e sociali, già accontonati in via di fatto. E' purtroppo la Costituzione di un Paese ibrido. Se così non fosse, settantun'anni non sarebbero molti. Invece sono poco meno della metà della storia unitaria, durante i quali gli stravolgimenti formali ma sanguinosi per il popolo, sono stati troppi per essere seri. Infatti si sono smepre miscleati nel trasformismo, nel gattopardismo. Quelle dei Paesi di grande tradizione democratica, dal Regno Unito agli Usa, durano da secoli. E per abolire il Senato (finta abolizione, peraltro, come quella delle Province) hanno usato la propaganda antipolitica più becera, quella che dovrebbe toccare il cuore dell’italiano medio, che si indentifica nel portafogli: ridurre i costi della politica. Ma chiunque sa che i costi sono alimentati dalla corruzione e che, alla fine, non diminuiranno affatto, ma, in compenso, accanto a una Camera di nominati dal partito di maggioranza relativa, che prende la maggioranza assoluta dei seggi, si affiancherà un Senato di designati dai Consigli regionali e dalle principali città: doppio incarico, con quale beneficio per l’efficienza del sistema non si vede. Ma con una perdita secca della possibilità di quel controllo incrociato fra le due Camere che è fondamentale per evitare errori, sviste, svarioni… Il PD, che questa “impresa” ha portato avanti con determinazione degna di miglior causa, a prezzo di rompere ogni tessuto sociale, di frantumare definitivamente lo spirito residuale della stessa unità “ciellenistica”, si presenta come la vera destra “perbene” in Italia: oggi quella dirigenza ha deciso, in fondo coerentemente, che toccava al PD rappresentare quella destra che in Italia latitava e che era stata estromessa dal Governo dall'asse franco-tedesco, per ragioni fiscali. Ed ecco, appunto che il PD diventa, nella sua larga maggioranza, con qualche brontolio discorde della cosiddetta “minoranza interna”, il guastatore della Costituzione. La Costituzione che alcuni dei più vecchi esponenti di quel partito si ostinano a riconoscere essere “nata dalla Resistenza”, e vengono tollerati, nell’attesa che la natura faccia il suo corso e li spazzi via. Come Renzi, la sua potentissima e incompetentissima ministra Boschi, con l’ausilio di impresentabili figure pubbliche a cominciare da Denis Verdini, si apprestano a fare non solo con la Costituzione, ma con lo Stato liberaldemocratico: il combinato disposto legge elettorale (il famigerato Italicum) e “riforma costituzionale”, pone le basi per un “superamento” morbido della stessa forma democratica. Se poi aggiungiamo il controllo che ormai in modo quasi totale Renzi esercita sulla Rai , gli accorpamenti di testate giornalistiche, le nomine alla testa delle grandi holding pubbliche, delle istituzioni (dal Consiglio superiore della Magistratura alle diverse forze armate e servizi di sicurezza), il regime, per forza di cose e corollario, non eletto, è disegnato. Oggi, perciò, in attesa dei referendum d’autunno, la celebrazione della Liberazione deve rappresentare un monito e un impegno per quanti si rendono conto che la posta in palio è enorme. E si chiama Welfare, si chiama diritti, princìpi di libertà, possibilità di effettiva partecipazione alla cosa pubblica, sovranità del Potere legislativo (il Parlamento, ridotto a manipolo di ascari obbedienti), indipendenza del “Terzo Potere” (l’ordine giudiziario, non a caso sottoposto ormai ad attacchi quotidiani dal presidente del Consiglio o da suoi emissari, come ai tempi di Berlusconi)…; l’elenco è troppo lungo. Est modus in rebus a segnalare il pericolo. Molti lo asseconderanno, tutti gli altri, pochi o molti, dovranno continuare a contrastarlo.

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