mercoledì 20 aprile 2016

Antropologia del cittadino.

Le rimostranze di Anders Behring Breivik, che cinque anni fa ucccise sessantanove adolescenti su un'isolotto di vacanze norvegese e compì attentati dinamitarsi nel centro di Oslo, erano fondate. Lo Stato, citato in giudizio per "comportamento disumano" nei confronti dell'ultimo esteta militare dell'arianesimo nordico, ha agito in spregio della Costituzione delle leggi detentive del proprio Paese, relegando in isolamento, per cinque anni, l'immoto, nelle sue posizioni e rivendicazioni, Breivik. Costui non l'ha spuntata riguardo alla revoca delle misure restrittive sulla sua corrispondenza, che erano rimaste limitate a quella specificamente intrattenuta con i suoi sostenitori, che non per questo sono stati accusati di alcunché, per cercare di evitare emulazioni. Lo stesso scopo che ci si prefiggeva con l'isolamento. Ma, in Norvegia, non esiste reato che possa contemplare l'esclusione, neppure all'interno delle mura carcerarie. Già, in quell'occsione, si derogò alla legge ordinaria, che non prevede pene superiori ai sedici anni, applicando a Breivik una serie di aggravanti improrie ed irrituali, per prolungarne la detenzione fino a ventun'anni. Il difensore della purezza ariana aveva all'epoca trentadue anni. La legge, anzi il diritto norvegese, come quello degli altri Paesi scandinavi e della Danimarca, non prevedono detenzioni senza fine pena e ne limitano la durata allo stretto necessario per consentire ai condannati, mai definitivamente, di ritornare, se vorranno e sapranno, alla vita civile. E' un portato di una legislazione e di uno Stato laico ( perché i diritti dell'uomo e del cittadino sono portati del pensiero laico, come lo è stato "Dei delitti e delle pene" dell'italiano Cesare Beccaria ) ed è un principio da portare in palmo di mano perché applicato alla gente comune, al popolo e non limitato all'elaborazione elitaria e disattesa di qualche illuminista, anche in nazioni incongrue come la nostra. Un lucido, ancorché pazzo assassino, ha potuto veder riconosciuto dal suo Stato nazionale il suo inalienabile diritto ad una vita carceraria dignitosa, spartana ma igienica e lo Stato è stato condannato per la sua inottemperanza. Da noi, forse non lui, perché segretamente ammirato nel mondo retrivo e reazionario dei custodi dell'ordine, ma qualche delinquentello sarebbe sopravvissuto in qualche topaia, se superstite alla violenza del carcere e, prima ancora, a quella delle guardie. Per chiunque, invece, deve valere il principio del decoro dell'esistenza in ogni sua espressione legale, perché questo rafforza e non indebolisce il prestigio dello Stato, espressione istituzionale fedele della comunità nazionale, anzi di quella comunità nazionale.

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