lunedì 25 aprile 2016

Fuori contesto.

Settantuno anni e uno sguardo rivolto al passato. Dopo che alcuni dei suoi epigoni ne impersonarono in vecchiaia le sembianti- Sandro Pertini, che lesse alla radio il proclama dell'insurrezione finale, nella quale invitava a collaborare con gli anglo-americani e che, infine divenne presidente della repubblica - fin dai primi anni la restaurazione degli assetti precedenti alla caduta formale del regime, procedette con i buoni uffici realistici del P.C.I. Togliatti, che già negoziava nelle quinte colonne dell'Internazionale comunista ed all'interno delle correnti sotterranee del suo partito, prese atto dell'avvenuta spartizione di Yalta e, non solo disarmò i partigiani, ma, da ministro della giustizia, amnistiò tutti coloro che avevano commesso dei reati protetti dal fascismo. Così tutti i burocrati, di qualsiasi rango, rimasero al loro posto e, nella società civile, i fascisti poterono riciclarsi indisturbati, mantenedno la loro appena celata natura di prepotenti e di spregiatori del deboli, omogeneizzando, nelle varie correnti democristiane, la loro identità clientelare. Alcuni professori universitari fecero il salto della quaglia direttamente dal fascismo cattedratico a comunismo, egemone della cultura. Solo di quella. D'altra parte, non furono ancora una volta i comunisti a consentire con il loro voto la costituzionalizzazione dei Patti lateranensi di Mussolini con la Chiesa? Un realismo da regime conservativo che non ci toccò, per fortuna, o meglio per scelta esogena, americana. Un po' come adesso, a pensarci. Il sistema democristiano, meritevole all'inizio per l'opera dell'unico statista, proveniente dal parlamento austriaco, Alcide De Gasperi, che nei due anni di larghe intese con il P.C.I. pose le basi di un'Italia democratica, ancora assente nelle coscienze, conservatrice e subordinata nell'animo alla pressione "captiva" ed ottusa della Chiesa cattolica, la cui influenza si stempererà nei decenni attraverso la "corrosiva" morale del consumismo. Poi venne il diktat degli americani e i comunisri furono relegati all'opposizione perenne, dalla quale fecero molte cose buone, soprattutto sul piano sociale, dando almeno l'impressione a masse reali di lavoratori di avere un ruolo non solo strumentale e una dignità, da difendere non sulla base dei principi astratti, ma nella rivendicazione di un salario almeno sufficiente, del proprio tempo libero e di un senso dell'ordine istituzionale che i proletari, da soli, non avrebbero mai conseguito e che sarebbe andato disperso negli intrattenimenti volgari e nelle osterie, con compiaciuto piacere delle classi dominanti o semplicemente privilegiate. Insieme, cattolici e comunisti, senza averne entrambi le caratteristiche storiche e tradizionali, concorsero, fra molte contraddizioni, a forgiare il senso diffuso di una nazione, dialettica, sperequata, ma comune. Quella che oggi è in saldo nell'esproprio "sostenibile" di Napolitano-Renzi, che tentano, sotto la direzione straniera, di realizzare quel compromesso storico annacquatissimo, con il quale Aldo Moro cercava di arginare la crisi della Democrazia cristiana e Enrico Berlinguer perseguiva l'inquadramento austero di un popolo fracassone e incline alla corruzione. Ci stanno riuscendo, impoverendolo, adesso. Ormai il 25 Aprile è passato alla memoria e la sua riesumazione annuale concorre, nella dilapidazione, all'integrazione nel modello moderato e conservatore che prevalse subito dopo la fine della lotta armata. La sua tomba fu sigillata dalle Brigate rosse che ne ripresero, al suo decadere non avvertito, o meglio, non razionalizzato, le gesta ideologicamente non insensate, ma politicamente fuori contesto. Fuori contesto, ci siamo rimasti.

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