lunedì 18 aprile 2016

Il comodo tran tran statale e l'insoddisfazione latente.

Dopo l'assoluzione dei torturatori di Giuseppe Uva, intervenuta in una caserma dei carabinieri il 14 Giugno del 2008, a seguito di un pestaggio terminato solo con la morte del malcapitato, il regime del generale Al Sisi, in Egitto, avrà trovato conferma - quella che diplomaticamente già deteneva - sulla spappolata incongruenza della moralità italiana, espressione, fra l'altro, di un governicchio neppure eletto. Come il suo. L'indagine sulla morte dello sventurato giovane, ad opera dei carabinieri, era stata affidata ai carabinieri stessi ed il processo era stato blando, aveva sconfessato l'unico testimone auditivo delle urla e dei rumori di percosse, detenuto in una camera di sicurezza (sic!) accanto a quella nella quale veniva torturato Uva. A quando un Giulio Regeni che faccia una bella tesi di dottorato sulle morti per tortura ( reato che non si vuole introdurre per non riconoscerlo ) nelle questure, nelle caserme e nelle carceri italiane? Il pubblico ministero non aveva mai accusato frontalmente i carabinieri processati e la testimonianza del più fortunato compagno di sventura, è stata raccolta solo cinque anni dopo il fatto. Se ce ne fosse bisogno, basterebbe guardare come ha reagito un carabiniere, a Napoli, quando una donna ha fatto opposizione alla rimozione della sua auto e che gli aveva fatto volare il berretto: un ceffone e un'aggressione che non si è consumata per l'interposizione di altri presenti. Se qualcuno non soddisfa il desiderio di dominio di questi frustrati, il trattamento pubblico ( anche questo non sanzionato: la denuncia non è stata raccolta, mentre si è dato corso "all'oltraggio a pubblico ufficiale" ), è senza ritegno; figurarsi cosa tocca a coloro che ritengono di avere diritto, anche in stato di costrizione, di dire la loro, di opporsi ai modi ed alle metodiche d'interrogatorio di questi bruti, alla prova dei fatti abilitati a compiere i loro crimini al riparo della capziosa interpretazione della legge. Ci sono magistrati, infatti, che oltre a servirsene per le indagini ( talvolta pilotate? ) e per la costituzione delle prove che vogliono produrre, se ne valgono per la sorveglianza ed il piantonamento delle loro abitazioni, dalle quali tener lontani girovaghi, senz'altra colpa che girovagare. E' stata costituita, da qualche tempo, un'associazione delle vittime delle forze dell'ordine che porta avanti, indipendentemente dalle sentenze, la sua testimonianza. Purtroppo, come per altri caduti istituzionali, la scappatoia comoda di un seggio parlamentare o amministrativo, ne annacqua l'incisività, ma l'immagine clientelare e corporativamente mafiosa che l'Italia dà coerentemente di sé, ne giustifica la mancanza di rispetto nel mondo, di cui sono vittime, come spesso in patria, i suoi cittadini.

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