venerdì 22 aprile 2016

Quindici anni la pena massima per la colonizzazione mafiosa di una regione.

La sentenza di primo grado contro le n'drine cutrine o cutresi in Emilia Romagna sono state miti ed hanno salvaguardato le figure politiche locali. Il referente della cosca Grande Aracri è stato prosciolto dall'accusa di associazione mafiosa. La sanzione più lunga è stata inflitta al "padrino" in loco dell'asssociazione n'dranghetista e l'entusiata commercialista bolognese che teneva la contabilità alla cosca si è becata otto anni e otto mesi di reclusione. Questa, secondo me, è stata l'unica condanna azzeccata della Corte di primo grado, perché la troppo nutrita pattuglia degli inquisiti in solido, proprio per questo, è riuscita a sfuggire ad una condanna inibente per l'attività in regione dell'associazione mafiosa. E' possibile e auspicabile che la sentenza d'appello sia più rigorosa. La giustificazione addotta, per la quale, con il rito abbreviato che era stato prescelto, le condanne sono "scontate", non nel senso che si danno per certe a priori, ma in quello che prevede riduzioni di un terzo delle pene contemplate, come avrebbe detto l'avvocato Azzeccagarbugli, se il rito è breve e meno costoso. Con questa mentalità, applicata alla mafia, si va ai saldi giudiziari, così come assemblando ogni sorta di imputati e di reati si dà agio ai difensori più preparati di svilire, diluire le imputazioni e agli altri di confondere i giudicanti. La stessa camera di consiglio, durata sette ore per centinaia di imputati, sembra che sia stata piuttosto riassuntiva. Non è certo con pene rare e lievi che si mette in crisi una struttura con ampie complicità come la mafia calabrese, che ha certamente già pronti i rincalzi, i subentranti. Il fenomeno mafioso in trasferta, che cerca, come nelle sue zone d'insediamento originario, l'avallo politico alla sua azione, deve essere contrastato, giorno per giorno sul campo, attraverso ampie facoltà d'intervento armato delle forze di polizia, anche se "questa guerra di liberazione" comporterebbe necessariamente molti caduti. Ipotesi di cui non c'è da preoccuparsi, perché non si verificherà. Non voglio sottovalutare l'impatto sui singoli di anni di carcere, però si tratta di figure di spicco della criminalità che all'evenienza erano già psicologicamente preparate e che non dimetteranno la loro veste mafiosa neppure da prigionieri: non hanno, ma neppure si propongono alternative, ragione per cui, trattandosi di un fenonomeno storico legato al potere tradizionale e fondiario, in intensificata espansione finanziaria, non può essere fronteggiato con le pandette abbreviate dei tribunali e neppure con le retate, i sequestri dei beni, che spesso la mafia si ricompra o che vengono assegnati in gestione a poche entità che che dassociazioni senza scopo di lucro diventano, senza colpo ferire, imprese cooperative sempre più opulente, ma solo con l'azione quotidiana e armata sul territorio, che servirebbe a tenere in rispetto ed a togliere l'aura di invincibilità a criminali senza paura perché già coartati all'interno delle loro assolutistiche e soffocanti strutture organizzative.

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